[NuovoLab] Calendario della fine del mondo a Genova

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Autor: Antonio Bruno
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Il 17 luglio, dalle 10,00 alle 12,30, al sottoporticato di Palazzo Ducale, nello spazio degli eventi culturali, sarà presentato il libro di DKm0 “Calendario della fine del mondo” (Intra Moenia) a cura di Anna Pacilli, Anna Pizzo e Pierluigi Sullo.

I curatori e alcuni degli autori ne discuteranno con Alberto Magnaghi (docente, urbanista), Paolo Cacciari (saggista, Associazione per la decrescita), Antonio Bruno (Capogruppo Sinistra europea – Prc al comune di Genova).

Nel volume, dal titolo esplosivo, «Calendario della fine del mondo. Date previsioni e analisi sull’esaurimento delle risorse del pianeta» sono raccolti infatti brevi saggi di una ventina di autori, tutti italiani tranne Serge Latouche; e tutti, Latouche compreso, molto rappresentativi di quello che il mensile-settimanale sapeva far scrivere. Gli autori, come Giorgio Nebbia, Guido Viale, Gianni Tamino tra i tanti altri, danno quasi sempre il meglio di sé e il meglio consiste nello scrivere con chiarezza e spiegare gli aspetti di una linea ambientale anticapitalistica: difesa dei beni comuni, filosofia della decrescita, impegno per mitigare il riscaldamento globale, attenzione all’impronta umana nella natura. Qualche volta però fanno di più, propongono aspetti di una ricerca che ha fatto qualche passo avanti. E questo è il bello della sinistra – qualche volta.

Latouche rilegge il «Collasso» di Jared Diamond senza prenderlo del tutto sul serio. Le cause delle catastrofi sono spesso diverse dall’aumento di popolazione e dalle carestie dovute al clima, non entrano sempre nella categoria dei fenomeni ineluttabili, anzi non si trovano quasi mai in cause che trascendono gli errori umani. E attacca: «…Ricercare la crescita a tutti i costi vuol dire prima di tutto non andare troppo per il sottile sui mezzi per ottenerla… Che si tratti di Chernobyl, della mucca pazza o dello scandalo del sangue contaminato…» Ci si trova di fronte a «una quantità incredibile… di imbrogli, abusi e raggiri dovuti nell’essenziale a tre fattori: la vanità, l’avidità e la volontà di potenza». Ecco quindi il triangolo micidiale: crescita, ingordigia, catastrofe. E Latouche scriveva prima del disastro di Fukushima.

Credevamo di avere ormai imparato tutto da Riccardo Petrella sull’acqua, e che la questione fosse semplice, infine: andare al referendum e vincerlo. Invece nel suo intervento Petrella va ancora avanti. Prima di tutto suggerisce un’equivalenza tra povertà e sete, tra ricchezza e spreco di acqua. «L’acqua rivela che il diritto alla vita per tutti non costituisce una priorità politica ed economica dei gruppi sociali dominanti… Non ci si può, quindi, attendere da loro l’assunzione di decisioni e di misure per modificare il corso attuale della storia». Ci dicono che l’acqua è una risorsa in via di esaurimento e che per questo va pagata applicando i due principi del «paghi chi consuma» e «paghi chi inquina». Petrella spiega che non è così. L’acqua è sempre nella stessa quantità, da milioni di anni e sarà altrettanta per altri milioni. Solo che l’acqua «buona» è prelevata in eccesso e inquinata. Secondo i padroni dell’acqua, per averne abbastanza, si devono sopportare costi elevati e quindi ci vogliono prezzi elevati per ripagare i costi a chi li ha sopportati, con un qualche giusto profitto. Petrella replica che il ragionamento non tiene. Non si tratta di costi, ma d’«investimenti» che le popolazioni fanno per poter fruire del bene comune per eccellenza, l’acqua. «Quel che in una logica capitalista di mercato è considerato un costo per il privato… in una logica di economia pubblica e dei diritti umani e sociali alla vita e del vivere insieme è invece considerato un investimento comune, per il benessere comune».

Carta sapeva affrontare temi attuali e il volume segue quella falsariga. Tra i tanti discorsi pratici attraversati dal «Calendario» eccone uno, l’uranio. Mario Agostinelli fornisce numeri poco abituali. Per le centrali nucleari occorre un quantitativo tot di uranio arricchito (11.521 tonnellate). Quello che si scava e setaccia e tratta ogni anno non basta per le centrali esistenti. E allora come tornano i conti? Per ora le grandi potenze atomiche hanno smantellato le loro riserve di bombe, vendendo sul mercato l’uranio in esse contenuto. Ma anche l’arsenale atomico spendibile – quello che gli stati maggiori considerano non indispensabile per i loro piani di distruzione di Terra e quindi alienabile – sta per finire. Il prezzo dell’uranio sale, sale. Ricavare uranio dal minerale di partenza costerà sempre di più – fino all’esaurimento tra qualche decennio – sia in termini di dollari che di energia utilizzata che di inquinamento; un inquinamento a monte, molto prima che la produzione di energia elettrica dal reattore cominci. E poi c’è il problema dell’uranio arricchito ma non abbastanza; in altre parole l’uranio impoverito. Cosa farne, dove riporlo? Se lo si spara un po’ in giro, assicurano gli stessi stati maggiori di prima, gli interventi umanitari riescono meglio e poi ci penseranno altri a risolvere i problemi delle scorie.

Propriamente della fine del mondo promessa, si tratta in due articoli: ecco Daniele Barbieri che rilegge le fini del mondo prospettate nella fantascienza e Marinella Correggia che fa parlare un albero, l’ultimo rimasto. L’antologia di disastri finali suggerita da Barbieri è naturalmente un breviario di orrori, vergogne e paure nella vita attuale, nel giorno dopo giorno del genere umano. L’albero che parla è davvero l’ultima sentinella: «Mi presento. Sono l’ultimo pezzo di Amazzonia rimasto vivo. Vivo. Qualcuno deve pure aspettare, essere quello che chiude la porta dietro il nulla…». E così via dicendo.

In libreria dai primi di aprile del 2011. Si intitola «Calendario della fine del mondo» e nel suo genere è un fatto nuovo. Intanto perché è il primo libro che rechi in copertina il «marchio» DKm0 (Democrazia chilometro zero). E’ il capostipite – noi crediamo – di molti altri libri nel prossimo futuro. Poi, è forse il primo libro in cui scrivono insieme, secondo le rispettive competenze e inclinazioni, autori come Serge Latouche, Riccardo Petrella, Guido Viale, Gianfranco Bologna e così via. In coda a questo testo, le prime recensioni del libro (dell’Agenzia giornalistica Italia, Agi, e dell’agenzia Ansa) e un breve resoconto della prima presentazione, domenica 27 a San Benedetto del Tronto).

«Calendario della fine del mondo» non vi stupirà con i suoi effetti speciali. Come quelli di «2012», ad esempio, il kolossal hollywoodiano che vi fa vedere la California mentre esplode come un vulcano e scivola in mare. Non vi intratterrà nemmeno raccontandovi storie di mondi paralleli o futuri come quelli di Isaac Asimov o di altri grandi della fantascienza. Non cercherà nemmeno di terrorizzarvi gridando, come un profeta pazzo, che il giudizio universale è imminente.

Molto più pacatamente, e in modo convincente, vi spiegherà – fornendo cifre, dati, circostanze, nomi di protagonisti, racconti, date di «scadenza» – come l’Isola di Pasqua, chiamata dai suoi abitanti Rapa Nui, sia in piccolo un esempio per tutto il pianeta. Di noi umani rischiano di restare grandi monumenti, come le gigantesche ed enigmatiche statue che da quell’isola scrutano l’oceano, mentre l’umanità sarà costretta a prendere congedo dalla sua Terra. Perché quel che Serge Latouche chiama «economia della crescita infinita», vale a dire del consumo senza freni, sta letteralmente divorando il solo pianeta di cui disponiamo. Ogni bene essenziale, dal petrolio all’acqua, dal suolo edificabile al mare, dallo spazio per nuove automobili alla biodiversità, ha una data di scadenza, proprio come lo yogurt che trovate sugli scaffali del supermercato. Solo che, una volta «scaduto» l’equilibrio climatico, ad esempio, non ci si potrà rifornire in un altro supermercato.

A conversare con voi lettori di questi decisivi argomenti abbiamo chiamato molti tra i migliori osservatori, scienziati, analisti. Ed è appunto la prima volta che il loro lavoro, concentrato su un singolo tema, diventa un coro in cui ciascuno, con il suo timbro di voce, intona la canzone di Madre Terra. Persone che lavorano nelle università e si dedicano alla ricerca, altre che sono attive in grandi associazioni ambientaliste o in movimenti come quello per l’acqua pubblica, scrittori e giornalisti, svolgono racconti appassionanti e drammatici, indicano possibili soluzioni e individuano colpevoli. Fino alla morale finale: quel che ci manca prima di tutto, scrive Guido Viale, è una «risorsa» che non si trova in una miniera o in un pozzo petrolifero, ma nella nostra testa: è la conoscenza, la capacità di imparare dagli errori e di cambiare rotta.

E’ per questo che «Calendario della fine del mondo», edito dalla casa editrice Intra Moenia, reca in copertina anche il simboletto di DKm0: una campagna, una rete di persone e comitati cittadini sparsi in tutto il paese, un sito internet, il cui scopo è trovare nuovi modi della democrazia, far sì che siano i cittadini a decidere sui beni comuni. Cambiare rotta significa per noi innanzitutto questo.

A DKm0, e al suo sito www.democraziakmzero.org, andrà per intero il ricavato del libro.

Anna Pizzo, Pierluigi Sullo e Anna Pacilli hanno curato il libro.

Vi hanno scritto Serge Latouche (l’introduzione), Riccardo Petrella e Tommaso Fattori (l’acqua), Gianni Tamino (la crisi della biodiversità), Antonio Onorati (l’agricoltura), Roberto Musacchio (L’Europa e il clima), Mario Agostinelli (il nucleare), Andrea Masullo (l’automobile), Gianfranco Bologna (l’impronta ecologica), Eva Alessi (la chimica), Giorgio Nebbia (il consumo del pianeta), Daniele Barbieri (la fine del mondo nell’immaginario), Alessio Ciacci (i rifiuti), Federica Barbera e Sebastiano Venneri (il mare), Rossella Marchini e Antonello Sotgia (il suolo urbano), Claudio Della Volpe (il picco del petrolio), Guido Viale (la dittatura dell’ignoranza), Luca Tornatore (la crisi climatica), Marinella Correggia (la deforestazione).

Guglielmo Ragozzino