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Autore: laura picchi
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Oggetto: [Forumlucca] dalle news del sito www.ritaatria.it: "Milano, iniziato il processo per l'omicidio di Lea Garofalo"

09/07/2011 - Milano, iniziato il processo per l'omicidio di Lea Garofalo In aula la figlia della donna.

Il Comune di Milano si costituisce parte civile.ì, LIberaInformazione
Milano, iniziato il processo per l'omicidio di Lea Garofalo
In aula la figlia della donna. Il Comune di Milano si costituisce parte civile


Lea Garofalo
Mentre salgo le scale del Palazzo di Giustizia,
ripenso all'ultima domanda che il giornalista Mario Calabresi, lunedì
sera nel suo Hotel Patria ha rivolto a Denise Cosco, che per la prima
volta ha accettato di raccontare la propria storia in televisione. «Che
cosa ti piace ricordare di tua madre?». «La risata» è la risposta della
diciannovenne che da anni vive inserita in un programma di protezione. E
penso a quanto sia coraggiosa Denise a portare avanti la propria
battaglia, a chiedere giustizia per la morte di Lea Garofalo, sua mamma.
Tra i sei imputati del processo iniziato ieri, mercoledì 6 luglio, a
Milano, figura anche Carlo Cosco: è il padre di Denise, accusato di
aver, con l'aiuto di complici, sequestrato, torturato e ucciso l'ex
compagna per poi provvedere a sciogliere il corpo nell'acido.

Perché
Lea si era ribellata alla propria famiglia, come Rita Atria, la
diciassettenne morta suicida il 26 luglio 1992, straziata dopo
l'omicidio del giudice Paolo Borsellino al quale aveva affidato la sua
vita di testimone di giustizia. Perché Lea era nata e cresciuta in una
famiglia di 'ndranghetisti così come Rita era nata e cresciuta in una
famiglia di mafia, e ad entrambe la criminalità organizzata aveva ucciso
sia il padre sia il fratello. E anche Lea, come Rita, aveva deciso di
ribellarsi alla sua famiglia, dopo che anche il suo compagno, Carlo
Cosco, era stato incarcerato. Era il 2002: Lea iniziò a raccontare agli
inquirenti tutto ciò che aveva visto, sentito, vissuto e che riguardava
la sua famiglia, coinvolta in una faida con una famiglia rivale.

Lea
Garofalo e la figlia Denise vengono inserite in un programma di
protezione che si tradurrà in continui trasferimenti, nella rinuncia
alle proprie identità, in cambi continui di scuole, nella non
possibilità per la giovane mamma di andare a lavorare, di vivere una
vita sociale, una quotidianità normale. Nel 2006 Lea Garofalo rinuncia
al programma di protezione ma ormai il suo destino sembra essere
segnato, e lei ne è consapevole. Sa che Carlo Cosco la ritiene
doppiamente colpevole: per essersi rivolta alle forze dell'ordine prima e
alla magistratura dopo e per averlo lasciato all'indomani della sua
incarcerazione. Dopo ennesimi trasferimenti, riavvicinamenti e violenti
litigi, nel novembre 2009 Lea Garofalo decide di tornare in Calabria, ma
prima vuole rivedere il padre di sua figlia, a Milano.

Enza
Rando, responsabile dell'ufficio legale di Libera e in aula avvocato di
Denise che si costituirà parte civile, cercherà fino al loro ultimo
incontro avvenuto a Firenze di dissuadere la giovane donna, ma invano.
La sera del 24 novembre 2009 le telecamere del Comune di Milano
riprendono Carlo Cosco che fa salire sulla propria auto la figlia Denise
per poi tornare dopo dieci minuti, far scendere la ragazza e far salire
l'ex compagna. Quelle sono le ultime immagini di Lea Garofalo.
Quando
sono arrivata davanti alla porta dell'aula della prima Corte d'Assise,
ho provato un senso di disorientamento: un capannello di persone – una
ventina – aspettava il passaggio degli imputati. Alla vista di ognuno di
loro erano risate, abbracci, baci, occhiolini d'intesa. In quel momento
ho ancora di più compreso le parole di Enza Rando: «Quando ci sono
processi di questo tipo è importante esserci, dimostrare la nostra
vicinanza ai famigliari vittime delle mafie, lanciare un messaggio di
presenza a chi sta dall'altra parte che spesso, troppo spesso, soverchia
verbalmente e dal punto di vista numerico».

E in effetti prima
che il processo inizi arrivano anche alcune insegnanti “portatrici sane”
di legalità all'interno delle scuole e vicine a Libera Milano, ma anche
diversi studenti della facoltà di Scienze Politiche dell'università
Statale di Milano, qui in veste di giornalisti in erba della redazione
del giornale on line Stampo Antimafioso, accompagnati dal loro
professore Nando dalla Chiesa, direttore editoriale del progetto.

Ha
inizio il processo. La difesa – sei avvocati – all'unanimità avanza le
proprie accezioni. In primis, la cosiddetta “incompatibilità
territoriale”: si presume che il corpo di Lea Garofalo sia stato
occultato in un terreno situato nel comune di San Fruttuoso in provincia
di Monza, ergo il processo dovrebbe svolgersi presso quel tribunale e
non presso quello milanese. In secondo luogo, gli avvocati difensori
dichiarano una presunta incompatibilità di ruoli di Enza Rando, che
figura una delle testimoni chiave ma al contempo legale di Denise Cosco.
Infine, sono stati sollevati dubbi circa la costituzione parte civile
dei comuni di Milano e Petilia Policastro oltre che delle Provincia di
Crotone e della Regione Calabria, etichettando queste richieste come
“politiche”.

In merito alle richieste della difesa, la Corte,
presieduta dal giudice Filippo Grisolia, si è così espressa: il processo
continuerà a celebrarsi a Milano in quanto in questa città, secondo i
pm Marcello Tatangelo e Letizia Mannella, si sarebbe consumato il
delitto nella notte tra il 24 e il 25 novembre 2009. Riconosciuta la
compatibilità di ruoli dell'avvocato Enza Rando, così come vengono
ammesse le richieste di costituirsi parte civile da parte di Denise
Cosco, Marina e Santina Garofalo, rispettivamente figlia, sorella e
madre della vittima. Infine, anche il Comune di Milano è stato
riconosciuto come parte lesa e dunque può costituirsi parte civile: è la
prima volta che l'amministrazione comunale, per volontà del proprio
sindaco Giuliano Pisapia, prende una posizione di questo tipo rispetto a
fatti legati alla 'ndrangheta avvenuti sul territorio meneghino.

La
prima udienza si è conclusa nel tardo pomeriggio, ripresa più volte. Il
clima è surreale: non è difficile accorgersi del vociare che si alza
quando prende la parola l'avvocato Rando, degli sguardi d'intesa –
schermati dagli agenti della polizia penitenziaria – che si scambiano
gli imputati e i loro parenti, del clima che diventerà sempre più
difficile da sostenere. Il pensiero corre inevitabilmente di nuovo a
Denise, a ciò che sta attraversando e al giorno in cui dovrà entrare in
quest'aula. E alle sue parole: «Fino a quando non sentirò con le mie
orecchie che queste persone, non mi importa se si tratta di mio padre o
del mio ex fidanzato, pagheranno per quello che hanno fatto, non potrò
costruirmi una vita».

Domani, venerdì 8 luglio alle 9.30, sempre
presso la prima Corte d'Assise, si terrà la seconda udienza del
processo, durante la quale si dovrebbero ascoltare i primi testi.