[Forumlucca] Il G20 dei ministri dell'agricoltura

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Autor: Roberto Sensi
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A: forumlucca, lucca-mattaccio, progetto-cosa
Assumpte: [Forumlucca] Il G20 dei ministri dell'agricoltura
*Di Roberto Sensi
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2825&fromHP=1
Si apre oggi (22 giugno 2011, ndr) a Parigi il vertice dei ministri
dell’Agricoltura dei Paesi del G20. *L’obiettivo sarà quello di discutere un
piano di azione per combattere la volatilità dei prezzi alimentari,
sostenere gli investimenti per lo sviluppo agricolo e la sicurezza
alimentare. La Francia, che detiene la presidenza del G20 e che ha posto
l’agricoltura tra le priorità in agenda, non poteva prevedere momento
migliore per discutere di questo tema. A partire dalla metà del 2010, stiamo
assistendo a una nuova ondata di rialzi dei prezzi delle commodity agricole
sui mercati internazionali, con il picco registrato nel febbraio scorso
quando l’indice dei prezzi della Fao -che registra la media dei prezzi di un
paniere determinato di prodotti- ha superato i livelli record della crisi
del 2007/2008. Allora, come oggi, i prezzi delle più importanti commodity
agricole, cereali, oleaginose, raggiunsero i livelli più alti dalla crisi
degli anni Settanta, causando enormi conseguenze nei Paesi più poveri. Come
risultato della crisi del 2007/2008, la FAO stimava che nel 2009 il numero
di affamati a livello globale aveva superato il miliardo di persone.
Nell’aprile del 2011, la Banca mondiale sosteneva che in conseguenza della
nuova ondata di rialzi dei prezzi dei prodotti agricoli e alimentari, 44
milioni di persone, che vivono nei Paesi a medio e basso reddito, sono
finite sotto la soglia della povertà estrema. Sempre secondo la Fao, non
siamo ancora entrati in una nuova crisi alimentare, ma data l’instabilità
presente nei mercati agricoli, qualsiasi evento, ad esempio una nuova grande
siccità in un importante Paese esportatore, come è avvenuto per la Russia la
scorsa estate, potrebbe funzionare da detonatore. 
Ma cosa sta accadendo sui
mercati agricoli? Fino ad appena dieci anni fa, infatti, era abbastanza
impensabile che l’agricoltura finisse come tema prioritario di un ipotetico
G20. Non solo, anche nelle politiche di sviluppo dei Paesi del Sud, essa
occupava un ruolo di cenerentola come settore di intervento. Il problema,
semmai, era proprio il contrario, ovvero come affrontare il declino costante
dei prezzi registrato a partire dagli anni Ottanta: un problema enorme per i
Paesi esportatori di specifiche commodity come lo erano molti del Sud del
mondo, quelli più poveri in particolare, grazie alle politiche di riforma
macroeconomica propinategli da istituzioni come la Banca mondiale ed il
Fondo monetario internazionale. Adesso assistiamo invece a qualcosa di
completamente diverso: i prezzi sono su livelli decisamente più elevati del
periodo pre-crisi e le stime di tutte delle più importanti organizzazioni
internazionali concordano nell’affermare che l’era dei prezzi bassi è
finita, e che è aumentata anche la loro volatilità, elemento intrinseco nei
mercati agricoli che oggi ha assunto una dimensione patologica.
La crisi dei
prezzi agricoli è una delle crisi di questo inizio secolo. Come per le
altre, quella climatica e quella finanziaria ed economica, è l’evidenza
della crisi di un modello, quello neoliberale, e della sua governance,
ovvero una crisi di regole e di politiche. Per questo motivo, un
insegnamento da trarre da queste situazioni è proprio quello di
riconsiderare i modelli di politiche pubbliche come strumento di regolazione
dei mercati per garantirne il corretto funzionamento. L’agricoltura è, da
questo punto di vista, paradigmatica. L’eccessiva volatilità dei mercati è
il prodotto sia della finanziarizzazione dell’agricoltura, ovvero del
condizionamento sempre più determinante che la speculazione sui mercati dei
derivati agricoli esercita nella dinamica dei prezzi nei mercati fisici
attraverso i relativi meccanismi di trasmissione; sia di un’idea assurda ed
impraticabile, quella di contribuire a risolvere i problemi dei livelli di
emissioni di gas ad effetto serra sostituendo i combustibili fossili con
biocarburanti, ovvero combustibili ricavati da prodotti agricoli. La
produzione dei biocaburanti è sostenuta da miliardi di euro all’anno di
soldi pubblici, anche nell’Unione Europea. Se consideriamo che, secondo
stime della Fao, con il costo del petrolio attorno ai 100 dollari al barile,
i produttori di etanolo sono in grado di rimanere competitivi sul mercato
pagando il mais 162 dollari per tonnellata metrica e, addirittura, fino a
220 dollari grazie ai sussidi, è evidente che la domanda di biocarburanti
avrà un impatto sempre più consistente sui livelli dei prezzi degli
alimenti, in quanto sottrarrà sempre più produzione dalla destinazione
alimentare. 
Servono regole per limitare la speculazione finanziaria sui
mercati dei derivati agricoli, così come regole che non incentivino una
produzione insostenibile di biocarburanti. Ricordiamo che, per lo meno per
quelli di prima generazione, ovvero che utilizzano materia prima alimentare,
gli unici attualmente in commercio, il livello di emissioni di gas ad
effetto serra è superiore, secondo le stime, all’equivalente utilizzando
combustibili fossili, guardando all’intero ciclo di produzione, dal campo al
serbatoio. Questi due fattori, la speculazione e la domanda per
biocaburanti, creano una correlazione sempre più stretta tra i mercati
finanziari, quelli energetici e quelli alimentari, aumentando enormemente la
volatilità dei prezzi in questi ultimi. I primi due, lo osserviamo
quotidianamente, sono soggetti ad enormi forze speculative che, anche a
causa della crisi finanziaria, hanno cominciato ad investire anche
nell'alimentare. Oggi, gli hedge fund sono i proprietari delle maggior parte
delle commodity commerciate a livello globale. 
Oltre alle regole servono
nuove politiche pubbliche. È il mercato e non l’agricoltura che è incapace
di garantire sufficiente cibo per tutti. Come affermato dallo stesso Special
Rapporteur per il Diritto al Cibo, Olivier De Schutter, la fame non è un
problema di quantità, bensì di politiche. In questo senso lo Special
Rapporteur è chiarissimo: “Siamo onesti nel riconoscere che ci siamo
sbagliati: la fame non è né un problema demografico e nemmeno un problema di
domanda ed offerta. Essa è in primo luogo il risultato di politiche che
condannano i piccoli contadini, le prime vittime della fame, alla povertà.
Queste politiche sono rappresentate dalla mancanza di accesso alla terra,
all’acqua ed al credito; dalla debolezza dei mercati locali; dalla mancanza
di infrastrutture; dalla debolezza contrattuale che i piccoli produttori
hanno nei confronti degli altri intermediari della filiera in un contesto di
crescente concentrazione del potere di mercato degli attori
agroindustriali”.
È in questa direzione che le politiche pubbliche
dovrebbero indirizzarsi e non al mercato. Limitare la volatilità dei prezzi
sui mercati è possibile attraverso nuove politiche di gestione dell’offerta,
l’introduzione di riserve alimentari in grado di intervenire non solo in
caso di emergenza, ma anche come strumento di stabilizzazione dei prezzi.
Rafforzare i mercati locali, nazionali e regionali, togliendo la produzione
di cibo dai meccanismi che informano i mercati globali dalla cui dipendenza,
i paesi più poveri, hanno avuto come conseguenza il progressivo aumento del
costo delle loro importazioni di cibo -la “bolletta” alimentare- che,
segnala la FAO, quest’anno ha raggiunto la cifra globale di 1,29 trilioni di
dollari, più di quanto registrato durante la crisi del 2007/2008. Per questo
è necessario ritornare a strategie di sviluppo e sicurezza alimentare che
sostengano prioritariamente la capacità dei Paesi di alimentare la propria
popolazione. 
Non è un problema di soluzioni ma di volontà politica di
adottarle. Non basta dire che servono più investimenti, più commercio, più
sostegno all’agricoltura. Bisogna che essi siano declinati nella direzione
del sostegno a un diverso modello di sviluppo agricolo, altrimenti la
soluzione diverrà parte del problema,aggravandolo. Per questo motivo è
importante diffidare anche del linguaggio. Nella dichiarazione finale dei
ministri dell’Agricoltura, infatti, troveremo sicuramente il riferimento ai
piccoli contadini e ad un modello di produzione sostenibile. Il problema
però non l’accesso di questa agricoltura e dei suoi produttori al mercato
mondiale, ma è il diritto al cibo e l’uso sostenibile delle risorse che
l’attuale sistema di produzione agricolo e alimentare internazionale
garantisce. Per questo motivo dall’incontro di Parigi, prima tappa di
discussione dell’agenda agricola del G20 in vista del vertice di novembre
2011, dovranno uscire parole chiare su biocarburanti, politiche commerciali,
riserve alimentari, organizzazione dei mercati agricoli etc. Perché il
binomio biocarburanti e sviluppo agricolo non può funzionare.