care e cari, scusate se vi rompe le scatole ancora, ma ho rivisto la cosa buttata giù ieri sera a caldo. ve la invio come un piccolo contributo ad una discussione e ad un lavoro che ci compete fare per difendere i beni e i luoghi comuni e costruire i commons materiali ed immateriali. a presto. fabrizio bertini
Per i nuovi commons della contemporaneità
Lo straordinario risultato dei referendum sui servizi pubblici-acqua e nucleare-energia l’ avevamo percepito nel respiro e nel sentire delle donne e degli uomini che incontravamo nei porta a porta dei volantinaggi.
Non v’ ha dubbio che il 12 e il 13 giugno c’è stata una sconfitta della politica liberista e la chiara messa in discussione collettiva di una specifica forma di accumulazione capitalistica basata sull’ espropriazione dei beni e dei luoghi comuni, sulla privatizzazione dei servizi – in particolare quelli locali : acqua, gas, energia, rifiuti, salute - quali settori dove estrarre profitti nell’ attuale fase di crisi globale della produzione di merci.
Questa espropriazione della collettività è centrata sulla appropriazione indebita da parte del Mercato sia dei beni materiali ( sistemi ed elementi naturali, fonti di energia non rinnovabile, materiali in via di esaurimento, biodiversità ), che di quelli immateriali ( conoscenza, saperi tradizionali, competenze tecniche, relazioni sociali ).
La vittoria referendaria è il frutto succoso del movimento a difesa dei beni e dei luoghi comuni, della vita e della biodiversità, contro la privatizzazioni dei servizi ( in particolare quello dell’ acqua). Un movimento dal basso inclusivo, capace di seduzione, di lungimiranza e di una costante mobilitazione. E allo stesso tempo capace di pensare e costruire progetti altri in grado di invertire la rotta del liberismo e della distruzione del Pianeta, dei suoi ecosistemi e dei luoghi comuni.
La consapevolezza che abbiamo costruito un passaggio importante, forse decisivo, per invertire la rotta e uscire in tempi rapidi dall’ attuale modello di sviluppo distruttivo di natura, vita e relazioni sociali, non deve farci dimenticare che la lotta non è finita. Anzi, per certi versi comincia adesso. Per questo è necessario rafforzarci e rilanciare la sfida.
1. Va rivendicata e difesa l’ autonomia dei movimenti, a partire da quello straordinario dell’ acqua. La nostra autonomia è il bene comune più prezioso. Dobbiamo dire no – come stiamo facendo in queste ore - alla strumentalizzazione della vittoria referendaria da parte di partiti ormai senza arte né parte, fino a ieri lontani dalle nostre battaglie, se non ad esse ostili. Dobbiamo essere vigili per evitare che attraverso norme truffaldine venga scippata questa potente la riappropriazione dell’ acqua e dei servizi locali da parte della collettività. Dobbiamo imporre la nostra proposta di legge di iniziativa popolare. Dopotutto le proposte dei movimenti a difesa dei beni e dei luoghi comuni hanno la maggioranza assoluta (54%).
2. La grande accumulazione di saperi e di energie umane, l’ apprendimento collettivo diffuso, gli esercizi di democrazia diretta e partecipativa fatti in questi anni, pongono le condizioni materiali, simboliche ed emotive per una nuova fase costituente : la costruzione collettiva dei nuovi commons della contemporaneità.
La riappropriazione del “comune”, dei beni e dei luoghi che sono di tutte e tutti noi, è indispensabile per uscire da uno sviluppo che distrugge il Pianeta, i suoi ecosistemi, la biodiversità, che attacca la salute e la vita stessa. Per uscire da una crisi economica e sociale rappresentata dalla diffusione al Nord come al Sud del mondo della precarietà come forma comune dell’ esistenza.
Non abbiamo tempo da perdere; il tempo che abbiamo è quello per costruire nuovi commons. Beni e luoghi comuni.
-l’ acqua, ovviamente, costituendo nuove aziende pubbliche-comuni, aprendo la discussione e la battaglia a partire dalla nostra proposta di legge;
-le terre, partendo dalle terre demaniali, dagli usi comuni e civici che da tempo immemore sono di proprietà collettiva, per la difesa del territorio, il cibo, per rispondere alla crisi e disegnare un altro modo di abitare la terra e un’ altra economia (bioeconomia). Terre civiche che nel dopoguerra rappresentavano buona parte del territorio montano e collinare – ma anche di pianura - e che sono state alienate dallo Stato e dalle Regioni comunque colorate.
Dobbiamo uscire dall’ alternativa tra proprietà pubblica e proprietà privata, per costruire i nuovi commons materiali e immateriali ( una proprietà, quella collettiva/comune, ignorata anche dai padri costituenti, che hanno messo nella Costituzione solo quella privata o pubblica dello Stato : due forme individuali di proprietà ).
-il cibo. un bene civico indispensabile, prodotto da nuovi contadini in una logica di sussistenza, resistenza e ciclo locale corto ( un cibo non contaminato e prodotto con modalità organiche, biologiche, sinergiche).
-la casa, che deve diventare il nuovo bene civico come l’ abitare nel suo complesso.
-la materia e quindi la riappropriazione di un nuovo pubblico-comune nella gestione dei rifiuti, strappandola al pari dell’ acqua, del gas e dell’ energia, dalle logiche del libero mercato.
-l’ energia, ora che il nucleare viene ricacciato nel non senso tecnologico e sociale, con il risparmio e la riduzione nell’ uso di energia non solo attraverso le fonti realmente rinnovabili (una ambiguità anche nostra risiede nel fatto che diamo per assodata la quantità di energia da produrre, optando solo per una fonte più pulita ).
-la salute e quindi il blocco di cicli produttivi e di impianti nocivi, a partire dall’ incenerimento dei rifiuti urbani e industriali e dalla combustione delle biomasse : il primo nocivo ed evitabile attraverso riduzione/ riutilizzo/riciclaggio; la seconda un non senso ecoenergetico e una assurdità in quanto utilizza la terra non per produrre cibo sano, ma per produrre energia elettrica di cui non abbiamo bisogno.
Non si tratta però tanto di un elenco di cose, si tratta di avviare un grandioso sacrosanto ecologico processo di riappropriazione e di messa in comune : questo soprattutto sono i commons della contemporaneità.
Senza velleitarismi, costruiamo insieme le nuove relazioni sociali e umane, le nuove economie parsimoniose, i nuovi sistemi insediativi non distruttivi, attraverso programmi pubblici-comuni di recupero e manutenzione del territorio, delle città, per l’ accrescimento della biodiversità e della sociodiversità, per accogliere l’ altro.
Fabrizio Bertini della Rete Nazionale Rifiuti Zero