[Forumlucca] 2 giugno 2011: in ricordo di Nicola Perretta e …

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Autor: laura picchi
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Assumpte: [Forumlucca] 2 giugno 2011: in ricordo di Nicola Perretta e del collega morti in uno scontro tra elicotteri alla vigilia della parata del 1990

Vorrei dedicare questo 2 giugno al pilota elicotteristi dei Carabinieri Nicola Perretta in servizio a Pratica di Mare anche nel giugno 1980 all'epoca della Strage di Ustica e al collega morti alla vigilia della parata militare del 2 giugno 1990 in uno scontro tra elicotteri.

Nicola Perretta si disse non dormiva più nei giorni precedenti, aveva paura di una collisione tra elicotteri visto la difficoltà della formazione a cuneo che dovevano eseguire durante la parata del 2 giugno e visto che nella formazione ci sarebbe stato un collega che per Perretta non aveva la necessaria esperienza e preparazione per fare quanto veniva chiesto dai superiori.


Il mio pensiero in questo 2 giugno 2011 va a questi piloti il cui caso è stato dimenticato da politici e vertici militari. Bisognerebbe rileggersi attentamente le carte invece e cercare di capire.

Falco Accame disse che "non si può morire perchè interessa a chi di dovere la spettacolarità della Parata e non la vita umana".

Auguri alla Repubblica Italiana e a tutti noi di avere il coraggio e le forze per lottare per chi civile e militare è stato vittima del potere, Auguri a tutti noi di riuscire a fare in modo che le vittime civili e militari che hanno denunciato, hanno detto la verità, si sono spesi per la tutela dei Diritti della Persona e per la costruzione della Democrazia in Italia non vengano dimenticate.

Laura Picchi associazione antimafie rita atria

'ERA PREOCCUPATO, NON DORMIVA PIU' '
02 giugno 1989 — pagina 3 sezione: MORIRE DA MILITARE
ROMA Non dormiva la notte per quella difficile formazione a cuneo che
gli stavano facendo provare. L' ho incontrato ieri sera, era
preoccupato, temeva che le pale degli elicotteri potessero toccarsi. Mi
ha detto che il suo co-pilota era un allievo non ancora
abilitato a volare come secondo. Triste, non è vero, che la vita umana
sia nelle mani di chi si preoccupa solo del lustro delle parate?. La
confessione, con la voce rotta dal pianto, è di un amico carissimo e
anonimo di Nicola Perretta, uno dei due piloti caduti
nel corso dell' esercitazione a Villa Borghese. Nel cortile del San
Giacomo, l' ospedale più vicino a piazza di Siena, dove i due Agusta AB
412 precipitati sono ormai fumanti rottami, c' è un affannato viavai di
divise e il clima si fa più teso di minuto in
minuto. Le ambulanze militari arrivano a sirene spiegate: quattro, una
dopo l' altra. Per ragioni di sicurezza altre quattro erano pronte, nel
prato di Villa Borghese che i romani conoscono come valletta dei cani,
tra i pullman blu degli allievi carabinieri,
i gipponi, le gazzelle del nucleo radiomobile. Erano decisamente in
ombra, così tanti furgoni con la croce rossa su un fianco, nel clima
festoso della prova generale per le celebrazioni dell' anniversario
dell' Arma. Al portone del pronto soccorso si risponde
con energia all' avvicinarsi dei curiosi: il primo civile che si accosta
viene caricato su una macchina da due carabinieri e portato via. Solo
dopo che il chirurgo del San Giacomo, Costanzo Nardi, ha rassicurato i
commilitoni dei feriti col suo bollettino medico,
un giovane militare scioglie il riserbo e racconta come l' esercitazione
si sia mutata in una tragedia: Gli elicotteri si sono urtati e si sono
schiantati al suolo. Ho visto solo che da uno si è staccata una pala e a
un certo punto si è diretto pericolosamente
verso di noi. Il carabiniere fa la guardia compunto a due berretti con
la fiamma dorata e un' uniforme nera, che qualcuno ha tolto a un ferito
ed ha poggiato su una sedia a rotelle. Non c' è stato niente da fare per
Nicola Perretta, 43 anni, di Sessa Aurunca,
alle spalle 5000 ore di volo, istruttore, e Ugo Cortesi, 49 anni, di
Licciana Nardi, in provincia di Massa Carrara, la coppia di piloti
rimasta imprigionata nell' elicottero che è esploso in aria dopo essersi
scontrato con l' altro velivolo della formazione.
I loro corpi, straziati e semicarbonizzati, questa mattina saranno
portati all' Istituto di Medicina legale. Se la sono cavata invece con
poco i due militari alla guida del secondo elicottero, abbattutosi a 500
metri dall' altro sulla chioma di un leccio. Nel
giro di poche ore sono stati dimessi tutti. Il primo a tornare a casa,
nonostante la prognosi di dieci giorni, è il maresciallo Marco Tartari,
42 anni. Originario di Ferrara, sposato con due figli, istruttore di
volo, Tartari ha un forte trauma alla zona cervicale
e il blocco dei muscoli alla spalla destra. Il maresciallo Antonio
Straccamore, 43 anni, di Ferentino in provincia di Frosinone, un uomo
robusto con la barba grigia, anche lui esperto nell' istruire gli
allievi elicotteristi, arriva in barella nella saletta
del pronto soccorso con una flebo nelle vene per uscirne poco dopo con
un cerotto sulla fronte. Confuso, lo sguardo nel vuoto, non ricorda
niente ma non è grave. Tra 15 giorni sarà guarito dal trauma cranico e
dalla costola fratturata: sorretto dai familiari,
varca il portone del San Giacomo. In tuta verde, scortato da due
militari ecco il tenente colonnello Vittorio Savino, il coordinatore
della formazione in volo su Villa Borghese che ha prestato i primi
soccorsi ai feriti e poi si è accasciato sul prato, sopraffatto
dalla tensione. Accenna un sorriso malinconico: Non posso dire niente e
sfugge ai cronisti nascondendosi nella portineria dell' ospedale. Torna a
casa anche il tenente colonnello Nicolò Mazzaccara, che respirava a
fatica dopo aver inalato i gas esalati dall'
elicottero in fiamme. I volti sono tirati. Un ufficiale medico si
rifugia in un angolo per cercare conforto in un collega civile e
sussurra: Quei morti, quei morti pesano più di ogni altra cosa. - di STELLA CERVASIO


'CHE IL SACRIFICIO DEI PILOTI SERVA A EVITARE
ALTRE SCIAGURE'
03 giugno 1989 — pagina 11 sezione: MORIRE DA
MILITARE

ROMA Tre squilli di tromba annunciano
l' arrivo delle bare. Sono le 16 in punto e piazza Santi Apostoli, la
grande piazza nel cuore di Roma, è già colma di gente.
Qualche civile isolato dietro le transenne, e tanti, tantissimi
militari. Ci sono tutti, ognuno stretto nelle divise tirate a lucido.
Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Aeronautica, Esercito,
persino la Marina. Il mondo delle stellette fa quadrato e si chiude
nel suo dolore. Quattro morti in due giorni. Due disgrazie che,
forse, si potevano evitare. Prima due ragazzi dell' esercito
precipitati in un burrone con un M-113, poi due piloti carabinieri
carbonizzati nel loro elicottero schiantatosi sui prati di Villa
Borghese. Per dare l' estremo saluto ai motoristi di Pratica di Mare
si organizza una cerimonia imponente, sontuosa, impeccabile. La
chiesa è quella dei XII apostoli. I cancelli all' ingresso
sono drappeggiati di nero e ornati da decine di corone offerte da
amici, compagni, parenti e colleghi. Due carabinieri in alta
uniforme, pennacchio sul cappello, sostano immobili in attesa delle
autorità. Generali, ammiragli, colonnelli, maggiori. E poi i
rappresentanti dello Stato e del governo: dal nuovo comandante
generale dell' Arma, Antonio Viesti, al ministro della Difesa Valerio
Zanone. L' arrivo della bare con i corpi dei marescialli Nicola
Perretta e Ugo Cortese è forse il momento culminante di tutta
la cerimonia. In un' atmosfera tesa e commovente, la piazza viene
avvolta, improvvisamente, da un silenzio grave e profondo.
Carabinieri, poliziotti e finanzieri si schierano sull' attenti
formando due lunghe ali. I feretri, due bare in legno scuro avvolte
nel tricolore, vengono scaricate dalle auto blu e portate a spalla da
11 elicotteristi. Il corteo avanza lentamente, i passi scanditi dal
cupo rintocco delle campane. Dietro ogni bara, su dei cuscini rosso
porpora, sono adagiati il berretto e la sciabola d' ordinanza delle
vittime. A fianco della basilica, un picchetto di carabinieri, guanti
bianchi e fucile, rende gli onori militari ai compagni periti nell'
incidente. Il classico presentat' arm ritmato da ordini e dal battere
dei tacchi. I pochi civili giunti al solenne appuntamento osservano
la scena con aria mesta. Qualcuno commenta, altri scuotono la testa.
A molti, se non a tutti, questa tragedia sembra assurda e
impossibile. I marescialli Nicola Perretta e Ugo Cortese erano due
piloti esperti. Avevano alle spalle oltre 5000 ore di volo. Tra i
migliori, aggiunge il comandante del gruppo di elicotteristi di
Pratica di Mare. Eppure, il caso, la sfortuna, l' imperizia hanno
rischiato di trasformare una semplice esercitazione in un massacro.
Il giorno dopo la tragedia, superato lo choc del momento, si pensa a
quello che sarebbe potuto accadere. Villa Borghese sorge nel cuore
della città, a due passi da via Veneto, dal Muro Torto, da
strade, piazze e quartieri generalmente ingolfati dal traffico. I due
elicotteri si sono schiantati in una valletta frequentata da cinofili
e da mamme, bambini e baby-sitter. Se l' impatto in volo fosse
avvenuto poche centinaia di metri più in là, l'
incidente avrebbe avuto conseguenze catastrofiche. E questo funerale,
forse, avrebbe avuto ripercussioni ben più pesanti. Lo pensano
e lo capiscono in molti. Tranne i parenti delle due vittime: padri,
madri, sorelle, fratelli, mogli e figli. Il loro pianto, la loro
disperazione, spezzano il silenzio della piazza. Sguardi tristi e
disperati, occhi arrossati dal dolore che da giovedì
pomeriggio cercano una spiegazione, un motivo. Mille perché di
una morte ai quali, per il momento, nessuno sa offrire una risposta.
Solo don Piergiorgio Pozzi, cappellano del comando generale dell'
Arma, nella sua omelia tenta di offrire un appiglio. Un conforto. Una
speranza. Parla di vita, di morte, della necessità di
continuare a credere che questo sacrificio serva ad evitare altre
vittime. Un discorso pacato, senza accenni polemici. E infatti,
nessuno, nemmeno tra i parenti, abbozza uno sfogo, una contestazione.
E' stata una fatalità, i due marescialli sono morti in
servizio. Poteva accadere ad altri, è toccato a loro. E con la
stessa fatalità, mista a rassegnazione, quei padri, quelle
madri, quei figli e quelle mogli, siedono composti sulle panche loro
riservate. La messa dura tre quarti d' ora. Quarantacinque minuti,
scanditi di tanto in tanto dagli squilli di tromba che intonano il
silenzio. Mani tese sulle visiere dei berretti, lo sbattere dei
tacchi, l' incenso, la benedizione delle bare, la preghiera del
carabiniere. In prima fila, Zanone, reduce da un altro funerale per i
due militari morti nell' incidente dell' M-113, osserva pensieroso
quelle due bare. Non rilascerà alcun commento. Così
faranno gli altri. Solo il generale Viesti, da un mese alla guida
dell' Arma, risponde alle domande dei cronisti, senza però
offrire novità sulle cause dell' incidente: I due elicotteri
si sono scontrati in volo. Non sappiamo altro. Le due inchieste,
quella militare e quella giudiziaria, stabiliranno l' esatta dinamica
dei fatti. Le indiscrezioni sulle ipotesi aggiungono qualcos' altro.
Abbiamo sentito il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio
Mario Porta, che tentava di spiegare al ministro Zanone cosa può
essere successo. Nel fare la manovra di distacco dalla pattuglia, i
due elicotteri si sarebbero toccati con la coda. Il primo doveva
virare a destra, il secondo a sinistra. Forse lo hanno fatto
contemporaneamente. Erano troppo vicini e le code hanno finito per
urtarsi. Il Pm Davide Iori, titolare dell' inchiesta, ieri è
tornato a Villa Borghese per un sopralluogo. Nei prossimi giorni
interrogherà i due piloti superstiti. Anche se la dinamica
dell' incidente è ormai chiara: l' urto in volo ha fatto
esplodere un elicottero e solo la bravura dei piloti ha consentito
all' altro velivolo di atterrare in una zona in quel momento deserta.
- di DANIELE MASTROGIACOMO