Autor: retecosenza Data: Para: retecosenza Assunto: VIA GLI STRANIERI DALLA NOSTRA TERRA
VIA GLI
STRANIERI DALLA NOSTRA TERRA!
È ora di dire basta. È ora che gli stranieri sappiano che non sono
i benvenuti e se ne tornino a casa propria. È ora che ci riprendiamo la
nostra terra.
Vengono qui e ci rubano tutto. Come se non bastassero i problemi
che abbiamo già, dobbiamo sopportare gente che viene da fuori e mangia
sulle nostre spalle. E lo stato che li aiuta pure, spendendo soldi per
loro, mentre a noi chiudono ospedali e scuole.
Vengono accolti dai nostri governi, che prendono i loro soldi
dandogli in cambio cose che appartengono a tutti noi: le nostre coste,
i nostri terreni e persino l’acqua che scorre dai nostri rubinetti.
Così loro possono decidere di farcela pagare quanto vogliono e se non
saldiamo le bollette sono pronti a togliercela in qualunque momento.
Vengono qui coi loro barconi, i loro macchinoni, jet privati,
elicotteri… attraversano i nostri territori col passo deciso di chi si
sente padrone e vengono ossequiati da tutte le autorità. Comprano a
basso costo i frutti delle nostre campagne e poi ce li rivendono a
venti, trenta volte tanto dentro i centri commerciali che nel frattempo
ci hanno costruito vicino casa. Altre volte comprano a quattro soldi
direttamente i terreni, sradicano gli alberi e al loro posto ci mettono
centrali o altri mostri, avvelenando l’aria e la terra anche a quelli
che non gliel’hanno venduta.
Sono questi, non gli immigrati che vengono qui a lavorare, che vanno
additati come stranieri e che stanno mettendo noi nella condizione di
stranieri nella nostra terra.
Dalla Calabria alla Romania, dall’Europa nel Mediterraneo
organizzare la solidarietà, praticare l’utopia
Sono già trascorse due settimane da quando un gruppo di persone di
varia provenienza visitava la piana di Gioia Tauro. Venivano dalla
Francia, dalla Spagna, dalla Polonia, dalla Romania… dall’Africa. Già
dal nome, “Rete europea per la difesa dell’agricoltura contadina e
contro lo sfruttamento dei braccianti”, li abbiamo riconosciuti
come parte della stessa lotta che conduciamo qui e della stessa
speranza che cerchiamo di coltivare.
Con le organizzazioni contadine di questi paesi ci siamo confrontati,
nella convinzione comune che il sistema di sottomissione della piccola
agricoltura governato dalla Grande Distribuzione Organizzata
sia lo stesso in tutta Europa, primo responsabile dello strozzamento
dei piccoli contadini e del supersfruttamento dei braccianti, locali ed
immigrati. Confermando che la lotta contro questo sistema va combattuta
ovunque, abbiamo conosciuto come viene condotta in Francia da Via
Campesina e dal sindacato contadino Confederaciòn Paysanne, che
riunisce migliaia di piccoli agricoltori. O in Spagna dal Sindacato
Obrero del Campo.
Durante gli incontri e i dibattiti, i lavoratori africani della Piana
di Gioia Tauro, presenti a decine, hanno ascoltato insieme a noi da Spitou
Mendy l’esperienza di chi in Andalusia vive le stesse circostanze
che hanno determinato l’anno scorso la rivolta di Rosarno: lo
sfruttamento selvaggio e la violenza che sta dietro le confezioni di
pomodori esposte sui banchi della Carrefour. Dalla sua esperienza, i
braccianti della piana hanno colto come sia impossibile una conquista
di pieni diritti senza imparare a parlare per sé, darsi
un’organizzazione propria, unirsi al di là dell’appartenenza etnica,
non delegando a nessuno la difesa dei propri interessi.
Un percorso già intrapreso da alcuni dei loro fratelli che l’anno
scorso, dopo la rivolta e le deportazioni, si sono trovati in qualche
centinaio a Roma e qui hanno trovato nella solidarietà di alcune realtà
di movimento la rete d’appoggio necessaria a cominciare un percorso di
autorganizzazione e lotta, che li ha portati alla conquista del
permesso di soggiorno e che oggi continua, di assemblea in assemblea.
La testimonianza dei compagni dell’Assemblea dei Lavoratori Africani
di Rosarno a Roma ha significato per gli africani presenti una
verifica importante di come uscire dall’invisibilità e lottare insieme
sia una via davvero praticabile.
Un cammino ancora tutto da cominciare nella piana. Se l'accumulo di
esasperazione esploso nella rivolta è figlio di questa condizione
d'impotenza, dell'impossibilità a dar voce alle proprie esigenze, oggi
possiamo partire da quel gesto disperato per organizzare la rabbia in
lotta e trasformare l'urlo scomposto in rivendicazione cosciente. Un
corso nuovo in cui tutti sono coinvolti, le realtà di movimento, le
organizzazioni di solidarietà, gli stessi sindacati, a mettere in
discussione le proprie pratiche e iniziarne di nuove.
Uno stimolo ben recepito dal sindacato che dai braccianti è nato, la FLAI-CGIL.
La recente esperienza del sindacato di strada, condivisa con i
partecipanti ai dibattiti in quei giorni, dimostra la disponibilità di
quest'organizzazione a mettersi in discussione e riformulare il proprio
essere, negli assetti come nelle pratiche, alla ricerca del modo più
giusto per svolgere la propria missione nella situazione nuova.
Un'esperienza ancora tutta da sviluppare, soprattutto nella sua
dimensione vertenziale, che può convergere con le altre istanze di
lotta presenti sul territorio e nella varietà di culture politiche
diventare forza aggiunta sullo stesso fronte di lotta.
Braccianti e piccoli contadini, autoctoni e immigrati: a chi giova la
contrapposizione?
Insieme abbiamo ragionato sull’alleanza necessaria tra piccoli
contadini e braccianti contro le multinazionali e i loro alleati
locali, siano mafiosi, politici o imprenditori. Di contro al fossato
etnico che l’anno scorso si è espresso dopo la rivolta in una dinamica
di guerra civile, che ha visto violentemente contrapposti poveri ad
altri poveri, abbiamo puntato il dito sul blocco sociale dominante che
specula e s’arricchisce nel sottosviluppo e questo alimenta, in un
rapporto di simbiosi con i grandi gruppi stranieri, svendendo a questi
la nostra terra e le nostre vite. Sono quelli che dalle annose truffe
sui contributi europei, sugli elenchi anagrafici e le finte giornate ed
anche sulle strozzature all’intermediazione verso la grande
distribuzione hanno speculato, trasformando l’economia agricola un
tempo fiorente di questo territorio in un pantano immobile, un vivaio
di assistenze clientelari, nel quale il guadagno dipendeva dal rapporto
di fedeltà verso un sistema politico-imprenditorial-mafioso corrotto
che invischiava i piccoli contadini nelle clientele dell’elemosina
diffusa. Nel mentre pochi grossi realizzavano profitti sulla quantità
di prodotto a poco prezzo, anche i piccoli si accodavano a questo
modello nutrito di chimica ad impoverire i suoli e le colture e
compromettere la possibilità di un’agricoltura di qualità.
L’abbassamento dei prezzi arriva come colpo di grazia insieme al
cambiamento della Politica Agricola Comunitaria, che prima
alimentava la frode diffusa con le “arance di cartone” ed oggi premia
solo la grande proprietà, commisurando i contributi non al prodotto ma
all’estensione.
Oggi che la nostra agricoltura è prossima alla morte, il blocco
speculativo che ha determinato questa situazione volge altrove i propri
interessi, trovando nel territorio in sé la merce da svendere e su cui
speculare senza bisogno che ci sia qualcuno a coltivarlo, ma rinnovando
sempre quel ciclo del cemento da cui è nata la moderna impresa
mafiosa. Così pure i grossi proprietari, ancora satolli dei contributi
statali ed europei e forti di una produzione a costi ridottissimi
grazie alla manodopera immigrata, s’accodano al nuovo corso pensando di
convertire i suoli ad altre colture industriali e destinare quelle meno
redditizie ad altri scopi, come le centrali a biomasse… se le arance
vanno vendute a 5 centesimi, che ci sia la diossina dentro importa poco
e così il diavolo può camminare a braccetto con l’acqua santa a
cospargere il nostro territorio di veleni.
Nel variegato panorama delle organizzazioni di categoria, l’istanza dei
piccoli contadini può al massimo trovare un posto di subalternità,
ancora, dentro strutture verticali che pensano di unire grossi
proprietari e piccoli produttori, toccando a volte nelle proposte le
possibilità offerte dalla filiera corta ma non mettendo mai in
discussione il sistema dell’agricoltura industriale. Come fa chi ad
esempio da una parte organizza mercati contadini per bypassare le
intermediazioni e dall’altra si limita a chiedere una quantità maggiore
di succo d’arancia per i prodotti industriali, una specie d’elemosina
maggiorata all’agricoltura stracciona della piana. In questo panorama
di soggetti che si accingono a gestire insieme ai governanti della
regione i fondi europei per lo sviluppo rurale, non esitiamo a dire che
la classe contadina non è rappresentata nei suoi interessi e meno che
mai l’istanza di uno sviluppo locale sostenibile.
Da questo punto di vista, la necessità di una sindacalizzazione della
manodopera immigrata fa il paio con quella di un’organizzazione
autonoma dei piccoli contadini. In questo, l’esempio francese di Via
Campesina e Confederaciòn Paysanne può rappresentare un
modello che già in Italia sta trovando emuli e filiazioni, come l’Associazione
Rurale Italiana e Via Campesina - Italia, presenti quei giorni
agli incontri.
A dare corpo e voce all’alternativa per la Calabria, i piccoli
produttori della Campagna SOS Rosarno hanno raccontato di come
attraverso la rete dei gruppi d’acquisto solidale sia possibile
emanciparsi dalle forche caudine del mercato monopolistico, realizzare
un prodotto genuino, senza avvelenare la terra e senza sfruttare
nessuno, vendere ad un prezzo giusto che consente di retribuire
giustamente i lavoratori. A partire da esperienze come questa, oggi che
gli assetti delle politiche nazionali e comunitarie cambiano a
discapito di questo territorio ed abbandonano la piccola agricoltura
alle crisi feroci del mercato mondializzato, noi vediamo una grande
possibilità: quella di rompere la solidarietà verticale tra dominanti e
dominati e trovare nella lotta per i propri diritti il collante
naturale tra questi soggetti sociali al di là delle appartenenze di
razza o nazione. Filiera corta, filiera solidale, sostenibilità sociale
ed ambientale sono i punti cardinali di questo nuovo corso storico.
Da questi assunti, gli obiettivi volti a generalizzare
quest'esperienza pilota:
1- Creare le strutture di una filiera corta calabrese: disertare i
centri commerciali, organizzare gruppi d’acquisto e mercatini in cui
possiamo acquistare i prodotti della nostra terra, lasciando sul
territorio in cui viviamo il valore economico dei nostri consumi.
2- Lo sviluppo locale così inteso è il contrario della chiusura,
dell’egoismo particolaristico e rappresenta al contrario un modo per
centrarsi, ritrovare la propria identità, anche dal punto di vista
economico-produttivo, e a partire da questa realizzare relazioni di
scambio, incontri con altri territori e popolazioni, nel segno del
mutualismo senza competizione. La filiera solidale è dunque il modo in
cui i territori si comunicano e scambiano il rispettivo specifico
produttivo e si aiutano a superare le difficoltà, ad affrontare le
necessarie lotte.
3- Produrre senza inquinare, lavorare senza essere sfruttati o
sfruttare, questa è l’alternativa definita dal concetto di
sostenibilità, rifiutando la logica della competizione tra servi che i
padroni vorrebbero imporci.
Ancora, questi percorsi s’incontrano nell’esigenza di un’accoglienza
degna per i lavoratori immigrati, che non è affatto contrapposta
alla qualità della vita degli abitanti pianigiani né foriera di degrado
ambientale, come vorrebbe farci pensare chi promuove la segregazione
nei ghetti di cemento come unica soluzione di “civile convivenza”. Non
stupisce affatto che questi siano i progetti dello stesso Ministero
degli Interni che vuole aumentare i CIE e concepisce la
gestione dei flussi migratori in termini di contenimento e ordine
pubblico.
Lo stesso governo che ha creato ad arte la crisi di Lampedusa e
fatto esplodere la psicosi dell'invasione per i flussi provenienti dal
nord Africa, incapace a gestire l'arrivo di 20.000 esseri umani quando
la sola Tunisia non ha esitato un attimo ad accoglierne 150.000, a far
ben sperare sul nuovo corso di civiltà inaugurato in quel paese dalla
recente rivoluzione. L'offerta di accoglienza partita dalla Locride si
sposa con le prese di posizione del sindaco di Riace, di
Domenico Lucano a rifiutare con nettezza modelli basati sulla
concentrazione e il contenimento, siano realizzati in tendopoli o basi
militari. Di contro alle speculazioni politiche ed economiche che
prospettano la costruzione di nuovi lager, rilanciata in questi giorni
dal governo a violare ancora una volta i diritti umani fondamentali, il
coinvolgimento attivo delle istanze locali in formule d'accoglienza
diffusa resta l'unica soluzione sensata. L'incontro tra le persone
l'unico antidoto alla paura di massa alimentata da politici e
mass-media.
Lo stesso Lucano, a partire dalla virtuosa esperienza realizzata nel
suo comune ormai da anni, ci ha restituito una chiara visione di come
l’ipertrofia cementizia dei nostri territori cozzi contro l’abbandono
del patrimonio edilizio, urbano e rurale. Questo scellerato e continuo
consumo di suolo è insensato tanto in relazione all’edilizia
residenziale quanto alle strutture d’accoglienza. I sigilli posti
qualche settimana fa ad abitazioni del centro cittadino di Rosarno,
fatiscenti e malsane, occupate, a pagamento, da lavoratori e
lavoratrici immigrati, dimostrano come già ci sia una pratica abitativa
della popolazione immigrata che usa il patrimonio edilizio in abbandono
dei nostri comuni.
Una politica coerente con gli interessi del territorio e non con quelli
della speculazione dovrebbe orientarsi al recupero di queste strutture
e destinare i fondi pubblici all’accoglienza diffusa anziché
costruire nuove strutture invasive dal costo esorbitante. Ancor di più,
nel segno di una nuova pianificazione del territorio volta alla
promozione dello sviluppo rurale sostenibile, il recupero dei casolari
abbandonati, e ad oggi occupati con gravi disagi dai lavoratori
immigrati, rappresenterebbe una virtuosa attivazione dell’impresa edile
locale, finalizzata al recupero anziché alla speculazione ed alla
ripresa dei vecchi mestieri e saperi connessi all‘architettura rurale,
oltre che un ripopolamento delle campagne che in prospettiva può
coniugare esperienze di turismo solidale con un nuovo impulso per
l’impresa contadina e di tutte le connesse attività dell‘artigianato
locale oggi purtroppo in decadenza. Anche questo è un fronte di
convergenza tra piccoli contadini e braccianti immigrati, che a Rosarno
e nella piana di Gioia Tauro non mancheremo di sviluppare nei prossimi
mesi chiamando alle proprie responsabilità tutti gli enti locali e
chiedendo loro di schierarsi in tal senso con fatti concreti.
Dall’organizzazione alla lotta comune
Ma questa pratica dell’utopia deve incanalarsi in una lotta politica
che sappia imporsi alle varie istanze di governo nazionali e
sovranazionali, imporre un diverso orientamento delle politiche
agricole, così come coordinarsi ai movimenti antirazzisti per
combattere le politiche migratorie come la Bossi-Fini, che creano ad
arte il contesto giuridico in cui maturano le situazioni che conosciamo
nelle campagne del meridione italiano, come di varie altre zone
d’Europa. Non è più possibile affrontare separatamente questi problemi.
I dati del lavoro nero nelle aziende agricole fanno il paio con quelli
della riduzione in clandestinità, come fatto o come minaccia, ad opera
delle leggi dello stato italiano che così impediscono a queste masse il
diritto ad avere diritti. Se queste sono le basi del made in Italy, un
sistema diverso non può che partire dalla lotta per il riconoscimento
degli immigrati, tutti, come esseri umani con diritti civili e come
lavoratori con diritti sindacali, una lotta unica che va condotta
contetestualmente sul fronte economico e politico.
La piattaforma elaborata dalle realtà romane d’appoggio all’Assemblea
dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma, come pure quella stilata dal
“gruppo di lavoro per la difesa dell’agricoltura contadina e contro lo
sfruttamento bracciantile” ci sembrano due fondamentali punti di
partenza per un percorso vertenziale che sappia articolarsi in varie
dimensioni territoriali, dai tavoli regionali alle sedi del governo UE.
In tal senso accogliamo e rilanciamo la proposta fatta durante le
assemblee di quei giorni dall’Osservatorio Antirazzista
Pigneto-Torpignattara di Roma di una manifestazione unitaria davanti al
Ministero dell’Agricoltura a Roma in cui far convergere tutte le lotte
esistenti nel Mezzogiorno agricolo italiano.
Ma non dobbiamo scordarci che dietro la controparte politica c’è sempre
una controparte economica. Ad oggi, l’agricoltura in tutte le sue
determinazioni, sia essa contadina od industriale, trova nei colossi
della Grande Distribuzione Organizzata gli attori del comando
capitalistico sulla produzione che determinano prezzi, condizioni e
modi di produzione. Il proliferare dei centri commerciali nelle città è
un attentato alla salute pubblica dei consumatori così come l’invasione
di questi nei territori rurali, soprattutto nel Mezzogiorno,
rappresenta uno schiaffo d’impronta coloniale sferrato alle popolazioni
locali, con la complicità del capitalismo mafioso che in questi
circuiti ed in generale nel ciclo del cemento trova solidi canali di
riciclaggio e valenti alleati al proprio strapotere.
Oltre le manfrine retoriche imbastite dai professionisti
dell’antimafia, la vera lotta contro le organizzazioni criminali si può
e si deve condurre sul fronte economico, attaccando i presidi
territoriali degli interessi masso-mafiosi che s’intrecciano con i
circuiti della Grande Distribuzione Organizzata fino a diventare una
cosa sola. Una campagna nazionale di boicottaggio dei centri
commerciali ed in generale delle grandi catene rappresenta allora
il momento principe del fronte comune tra gruppi di consumatori
consapevoli, piccoli contadini e lavoratori agricoli, ed in generale la
società civile meridionale asfissiata dal viluppo
masso-politico-imprenditorial-mafioso.
La piana di Gioia Tauro, punto più estremo del Mezzogiorno:
alla periferia della crisi, il laboratorio sociale dell’utopia?
La piana di Gioia Tauro rappresenta storicamente il laboratorio forse
più eloquente del sottosviluppo capitalistico innestato in questo
territorio dai tempi della conquista regia sabauda per tutta la storia
nazionale, anche repubblicana, in cui questo territorio più di molti
altri del Mezzogiorno ha visto confermato il suo ruolo di colonia
interna. Oggi, proprio negli ultimi mesi, dentro la crisi generale
italiana, si moltiplicano gli indicatori di una crisi locale accelerata
dai fattori esterni, gli stessi fattori del sistema economico-politico
nazionale che hanno determinato e mantenuto per decenni lo status quo.
I barbari sono arrivati in questa terra molti anni fa, ne hanno
succhiato il nettare risputandoci indietro lo scarto ed ora s’accingono
ad esaurirne l’ultima essenza prima d’abbandonare a se stessa questa
gigantesca discarica sociale a cielo aperto.
A cominciare dall’acqua, elemento primo di vita, stanno
procedendo a sottrarci le risorse fondamentali alla sopravvivenza, come
testimonia l’ultimo episodio avvenuto a Cinquefrondi solo alcune
settimane fa, dove un intero paese è rimasto bloccato per 5 giorni
perché privato del prezioso liquido e i cittadini, sindaco compreso,
impediti da guardie private ad accedere all‘acquedotto. Non è casuale
che il nome francese, Veolia, ricorra tra i controllori di
questa e delle altre nostre risorse idriche come pure tra i gestori del
ciclo dei rifiuti, attraverso discariche e soprattutto l’inceneritore
di Gioia in via di raddoppio, a compromettere nell’aria l’altro
elemento essenziale alla sopravvivenza. Ecco le loro ricette per il
nostro territorio: rovinare la terra per produrre energia attraverso
l’incenerimento dei rifiuti in un territorio che già l’energia
l’esporta e non dovrebbe sopportare neppure mostri come la centrale Turbogas
di Rizziconi, che sputa rumori assordanti e fumo sopra gli ulivi e
gli agrumeti a rendere insopportabile agli abitanti locali la vita
quotidiana in casa propria. Senza andare poi al futuro prossimo del Rigassificatore,
per cui già altre terre sono state svendute nella zona di San
Ferdinando ed altre colture verranno distrutte, o del vicino Ponte
sullo Stretto, già l’eterno ammodernamento dell’autostrada ha
visto gli stessi colossi della megaopera, come Impregilo e Condotte
d’Acqua, prendere miliardi dallo stato e lucrare sul bisogno di
lavoro di quanti, come i dipendenti del Consorzio Scilla, si
vedono sbattuti in mezzo alla strada da un giorno all’altro. Cose che
succedono in modo molto simile al Porto di Gioia Tauro, dove la
stessa multinazionale che dichiara di non aver problemi a relazionarsi
con le cosche per i propri interessi, schiaccia i lavoratori che ne
hanno fatto la fortuna nel ricatto di dover rinunciare ad ogni diritto
per continuare a poter lavorare, pena l’abbandono dello scalo ed il
ritorno della struttura nel lungo novero delle cattedrali nel deserto.
Fino ad altri francesi, quelli della Valtur, che quest’anno
chiuderanno a Nicotera Marina il megavillaggio dove ogni anno
rinserravano i turisti, dopo decenni di profitti realizzati
appropriandosi dei nostri luoghi e del nostro mare, lasciando a casa
decine di lavoratori e la costa comunque occupata dalla megastruttura.
In questo quadro di dismissione della Calabria e dei calabresi, non
stupiscono allora provvedimenti come il sistema delle autonomie e il federalismo
fiscale, ovvero la privazione a questo territorio delle risorse
erariali per cui paghiamo le tasse, ricchezza nazionale che a buon
diritto qui dovrebbe tornare a memoria del lavoro di generazioni dei
nostri emigranti che l’hanno costruita. Nel quadro di povertà diffusa e
crescente che ne seguirà, l'emigrazione, che si conferma alle quote
degli anni ‘50, non potrà allora che aggravarsi assumendo il senso del
definitivo abbandono.
Veramente allora ci appare come la ritrosia del paziente di fronte
alla medicina urticante la paura sociale che qui si è diffusa ed è
stata indotta, ugualmente e diversamente che nel resto del paese, verso
la popolazione immigrata. Piuttosto che minaccia al quieto vivere,
secondo la visione di un senso comune da sonnambuli ubriachi, questa
presenza ci sembra piuttosto un benefico novum, umano, culturale,
sociale, in potenza anche economico, in grado di dare a questo
organismo compromesso una possibilità di guarigione. A patto,
s’intende, che l’osso sano di questa società sappia levarsi di dosso la
polpa marcia stratificata in decenni di degrado e lasciar respiro alla
pelle nuova, che può essere fecondamente ibridata dai vari elementi di
quest’altra umanità.
A vederla in quest‘ottica, l’apocalisse alle porte può essere vista
anche come possibile nuovo inizio, a patto però che si sappia collocare
ogni questione in questo scenario generale e inserire ogni percorso di
resistenza e lotta nella prospettiva generale di una nuova
pianificazione del territorio che passa, prima di tutto, per la
riappropriazione dei beni comuni.
Per questo facciamo nostra l'istanza del referendum contro
privatizzazione del servizio idrico e nucleare, accogliendo l'appello
della Rete per la Difesa del Territorio Franco Nisticò a
“costruire insieme un grande percorso di mobilitazione che metta fine
al Commissariamento per l'emergenza rifiuti. Consegnando la gestione
dei beni comuni alle popolazioni calabresi. Delle nostre vite decidiamo
noi.”.
PERCHE' NOSTRA E’ L’ACQUA, NOSTRA L’ARIA, NOSTRO IL MARE E LE COSTE.
NOSTRA LA TERRA E GLI STRANIERI CHE DOBBIAMO CACCIARE SONO QUANTI LE
DEVASTANO E SE NE VOGLIONO APPROPRIARE E NON QUELLI E QUELLE CHE
VENGONO QUI PER FECONDARLA INSIEME A NOI COL LORO LAVORO.
INVITIAMO TUTTE LE REALTÁ DI SOLIDARIETÁ E LOTTA DEL MEZZOGIORNO
ITALIANO AD ORGANIZZARE UN'ASSEMBLEA PREPARATORIA PER UNA GRANDE
MANIFESTAZIONE DA TENERSI A ROMA DAVANTI AL MINISTERO DELL'AGRICOLTURA
PRIMA DELLA PROSSIMA STAGIONE DELLE ARANCE, A PARTIRE DAL CONFRONTO SU
UNA PIATTAFORMA COMUNE.
PER
l'istituzione di un aiuto speciale per le piccole aziende,
riconoscendo la loro funzione economica, sociale e territoriale, a
partire da politiche reali che contrastino il monopolio della Grande
Distribuzione Organizzata e sostengano la filiera corta;
una campagna nazionale di boicottaggio contro la Grande Distribuzione
Organizzata;
politiche di sostegno alla filiera del biologico e una moratoria alla
costruzione di impianti inquinanti legati al ciclo di smaltimento dei
rifiuti e alla produzione d'energia, incompatibili con l'agricoltura di
qualità;
l'introduzione nei disciplinari dei prodotti certificati (DOP, IGP,
STG, DOC e IGT e BIO) di criteri che tutelino i lavoratori, dando pari
importanza alla qualità organolettica ed alla qualità sociale del
prodotto;
l'introduzione degli indici di congruità nel settore agricolo;
politiche più efficaci contro il fenomeno sociale ed economico del
caporalato, in linea con la campagna nazionale Stopcaporalato;
l'attuazione della condizionalità degli aiuti legati al rispetto del
diritto del lavoro;
il divieto per gli stati membri di sostenere e di sovvenzionare gli
agricoltori che non rispettino i loro obblighi di datori di lavoro;
la firma, la ratifica e l'attuazione da parte di tutti i Paesi europei
della Convenzione internazionale sui lavoratori migranti;
la firma, la ratifica e l'attuazione da parte di tutti i Paesi europei
della convenzione internazionale 184 dell'Organizzazione Internazionale
del Lavoro;
la regolarizzazione dei lavoratori agricoli e lavoratori senza
documenti;
né respingimenti né segregazione: politiche d'accoglienza diffusa
basate sul recupero dell'edilizia in disuso tanto nei centri urbani
quanto nelle zone rurali, contro strutture di contenimento,
separazione, reclusione.
CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO IDRICO E IL RITORNO AL NUCLEARE
OSSERVATORIO MIGRANTI AFRICALABRIA – ROSARNO
EQUOSUD
C.S.O.A. ANGELINA CARTELLA – REGGIO CALABRIA
KOLLETTIVO ONDA ROSSA – CINQUEFRONDI
CHIESA BATTISTA – REGGIO CALABRIA
GAS FELCE E MIRTILLO – REGGIO CALABRIA
COLLETTIVO UNIVERSITARIO uniRC
COMITATO ACQUA PUBBLICA VILLA SAN GIOVANNI
adesioni:
ASSEMBLEA DEI LAVORATORI AFRICANI DI ROSARNO A ROMA
FIOM-CGIL – REGGIO CALABRIA/LOCRI
FLAI CGIL – PIANA DI GIOIA TAURO
CGIL – COMPRENSORIO DI GIOIA TAURO
OSSERVATORIO ANTIRAZZISTA PIGNETO – TORPIGNATTARA
per adesioni: africalabria@???, equosud@???,
infoeventi@???