COMUNICATO EQUIVITA 31/03/11
I segreti della bistecca clonata
Gli interessi commerciali, ancora una volta, prevalgono sulla tutela della
salute, dell'ambiente e del principio di precauzione a Bruxelles
In occasione della revisione del ³Regolamento 258/97 sui nuovi prodotti e
ingredienti alimentari" (Novel Foods) e del dibattito sugli alimenti
derivanti da animali clonati o loro discendenti, la proposta del Parlamento
di un'etichettatura obbligatoria per tali alimenti è stata respinta dal
Consiglio dei Ministri. Rimane dunque intatta quella che il Commissario alla
Salute John Dalli ha definito, con allarme, una condizione di "completa
assenza di controllo". Sarà, infatti, ancora possibile immettere sul
mercato, senza previa autorizzazione, né etichettatura di riconoscimento,
prodotti alimentari derivati dai discendenti degli animali clonati (ne¹ ci
conforta sapere che la commercializzazione dei prodotti derivati da cloni
"di prima generazione" richiederà invece espressa autorizzazione ... tale
autorizzazione non sarà mai richiesta: l'animale clonato ha un costo troppo
elevato per essere destinato al macello).
L'ostilità della grandissima maggioranza dell'opinione pubblica alla
riproduzione clonata degli animali, basata su ragioni scientifiche,
ambientali, etiche e giuridiche, si evidenzia in alcuni dati significativi:
1997: in Italia il Ministro della Sanità Rosy Bindi vieta la clonazione
animale;
2001: gli USA adottano una moratoria volontaria sull¹immissione in commercio
dei prodotti derivati da animali clonati nonostante le forti pressioni
dell¹industria biotech;
2007: in USA, un sondaggio Gallup effettuato in occasione del "Cloned Food
Labeling Act", dimostra che il 65% dei cittadini è contrario alla clonazione
animale e all'acquisto dei prodotti da essa derivati;
3/9/08: il Parlamento Europeo adotta una risoluzione contro la clonazione
animale a scopo alimentare;
2009: la Commissione Europea propone una moratoria quinquennale sulla
clonazione animale a scopo alimentare;
07/07/10: il Parlamento Europeo vota a maggioranza schiacciante contro la
clonazione animale a scopo alimentare.
Il dissenso si basa su numerose e assai valide ragioni. Ecco riassunti i
punti principali:
· I danni che derivano da una visione riduzionista, o meccanicistica, della
materia vivente, in virtù della quale gli animali sono assimilati a prodotti
industriali (vedi il caso dei polli alla diossina o della mucca pazza).
· Il rischio di danni ancora più diretti derivante dal consumo di animali
³difettosi² sin dalla nascita.
Pochi ricordano, a questo proposito, che lo stesso lan Wilmut del ³Roslin
Institute², "padre" della pecora Dolly, ha dichiarato: "Abbiamo prove che la
clonazione produce difetti: artrite e invecchiamento precoce, nel caso di
Dolly. Essa è un procedimento ancora imperfetto. Dobbiamo procedere in modo
cauto", (vedi la Repubblica del 29/04/02, articolo ³L'allarme del padre di
Dolly: i cloni hanno difetti genetici"). Gli scienziati del ³Roslin
Institute² scoprono nel 2002 che sia Dolly che le altre pecore clonate
nascono con alterazioni cromosomiche che le rendono geneticamente difettose
sin dalla nascita. Wilmut, prosegue l'articolo (di Riccardo Trizio), ritiene
che l'invecchiamento precoce non sia l'unico difetto prodotto dalla
clonazione: vi è gigantismo nelle mucche, ingrassamento abnorme e aumento
della placenta di quattro volte nei gatti, difetti del sistema immunitario e
cardiaci in altri mammiferi. Wilmut chiede con insistenza maggiore
trasparenza ai ricercatori, che a suo parere sono in possesso di segreti non
rivelati sui difetti genetici degli animali.
· Il gravissimo problema etico causato dal mancato rispetto degli altri
essere viventi. La clonazione reca un'enorme, non quantificata, sofferenza
agli animali, siano essi la pecora Dolly, affetta da artrite e
invecchiamento precoce, siano essi i "prodotti di scarto² di una tecnologia
del tutto imperfetta che fallisce in oltre il 95% dei casi.
· I danni che derivano alla biodiversità animale e, di riflesso, alla nostra
sicurezza alimentare, poiché l¹industrializzazione della produzione porterà
a una riduzione delle varietà animali.
Ma vi è un¹ulteriore considerazione di cui poche persone sono oggi
consapevoli: il danno politico, sociale ed economico portato all'umanità da
un altro passo verso la privatizzazione del nostro bene comune più
importante: la materia vivente del pianeta. Dietro alla clonazione animale,
riproposta di frequente negli ultimi decenni, vi è il progetto delle
industrie biotech: accrescere ancora più il controllo sulla produzione
alimentare mondiale, estendendolo anche alla zootecnia.
La riproduzione clonata è necessaria per ottenere nell'animale ciò che nelle
piante avviene perlopiù spontaneamente: la conservazione, da una generazione
all'altra, di una modifica genetica introdotta. Questa modifica ha permesso,
fino ad oggi, mediante il brevetto la proprietà esclusiva della pianta e la
riscossione dei diritti di brevetto a ogni ciclo riproduttivo.
L'animale clonato sarà, ne siamo più che certi, un animale modificato per
produrre di più (carne, latte, lana o altro ...). Il controllo sulla
produzione alimentare da parte delle aziende biotech è in continuo aumento
e, al momento attuale, tenta di estendersi anche ai "prodotti non
geneticamente modificati". L'Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) ha iniziato
il rilascio di brevetti anche su piante e animali riprodotti con metodi
convenzionali, pur essendo tuttora in corso una vertenza su tali brevetti
presso l¹Alta Corte d¹Appello dell¹EPO (vedi comunicato EQUIVITA 09/03/11,
http://www.equivita.it/).
Per il Comitato EQUIVITA è d¹obbligo infine denunciare un altro progetto
ambito da alcuni scienziati e implicitamente promosso attraverso la
clonazione animale. E¹ il business più grande di tutti i tempi: la
clonazione umana (con la produzione di ³designer babies², o bambini su
ordinazione). Vi è perfino chi, già nel 1998, non vedeva ³nulla di male²
nella produzione di umanoidi anencefalici, prodotti con cloni di embrioni
umani, quale deposito di organi per trapianto (Time Magazine, 18 gennaio
1998, articolo sul Prof. Lee Silver di Princeton).
Comitato Scientifico EQUIVITA
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