www.liberazione.it
Checchino Antonini
Domani potrebbe essere un giorno importante. La Corte europea dei diritti dell'uomo emetterà una sentenza definitiva sul caso Giuliani. Nel ricorso presentato all'epoca i familiari denunciarono l'uso eccessivo della forza, l'inadeguatezza dell'organizzazione delle operazioni di ordine pubblico e la mancanza di soccorso immediato. Ma i familiari affermavano pure che l'indagine sulla morte di Carlo non era stata efficace e che il governo italiano non aveva fornito alla Corte di Strasburgo tutte le informazioni in suo possesso. Una prima sentenza dall'amaro sapore cerchiobottista, il 25 agosto 2009, ha assolto le autorità italiane dalle accuse più gravi, sostenendo che Placanica, che si autoaccusò, aveva agito per legittima difesa. Tuttavia, i giudici europei hanno anche stabilito che il governo non aveva condotto un'inchiesta sufficientemente approfondita per identificare «le eventuali mancanze nella pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico». Che Carlo Giuliani sia stato ucciso dalla pistola di un carabiniere lo sappiamo perché si autodenunciò un militare di leva sulla cui credibilità nessun tribunale si sarebbe mai potuto pronunciare. Di fronte a un filmato che dimostra che il ragazzo raccolse un estintore per difendersi dalla pistola puntata un giudice pensò nel 2003 che non valeva nemmeno la pena di un processo pubblico. Che le cariche da cui mossero gli scontri fossero illegali lo stabilirà una sentenza ma nessun magistrato ha avuto il fegato di aprire un fascicolo contro chi le comandò.
Domani la parola fine, ma solo sul versante giudiziario. Perché il percorso di verità e giustizia continua intrecciandosi continuamente con le battaglie antiliberiste. Le questioni aperte dal public forum di dieci anni fa, contrapposto alla kermesse del G8, sono ancora tutte aperte. «Compresa la denuncia della repressione e il disvelamento della strategia in campo allora. Mica è reducismo una rilettura di quei fatti», precisa Giuliano Giuliani. E la strada per Genova dovrà attraversare le prove referendarie, il turno di sciopero generale e, prima ancora, la presa di parola contro la guerra. «Adesso!», ha detto ieri il leader Fiom, Landini. «Perché i bombardamenti servono solo a eludere le risposte alle istanze popolari», ha spiegato il segretario Flc, Mimmo Pantaleo, in una sala romana dove Arci e Cgil hanno voluto fornire un contributo alla costruzione delle iniziative per il decennale di quel luglio, «nella logica della costruzione dello spazio forum, per mettersi al suo servizio, riempirlo di soggetti, c'è una catena da ricostruire», chiarisce Raffaella Bolini che, per l'Arci, cura le relazioni coi movimenti sociali. L'ingresso in grande stile della Cgil «risana una ferita e sarà utile, con le altre grandi organizzazioni, nell'apertura di uno spazio comune», ricorda Agnoletto, tra gli artefici del decennale e, allora, portavoce del Genoa social forum: nel 2001 i percorsi del più grande movimento e del maggior sindacato si divaricarono almeno fino all'anno successivo per ricomporsi nel primo Fse. Eppure proprio tra Genova e Porto Alegre, l'elaborazione altermondialista fece maturare contenuti e relazioni sulla difesa dei beni comuni, sull'apertura di uno spazio mediterraneo dei movimenti, sulla lotta alla guerra, alle economie e alla finanza criminali. Un rapido sguardo ai titoli di un qualunque tg rivela quanto avessero ragione le "Cassandre" (emblematico titolo della grande mostra al Ducale che verrà inaugurata il 24 giugno) che abitarono Genova.
Democrazia, giustizia sociale e ambientale: le questioni genovesi sono ancora tutte aperte - ha ricordato aprendo il convegno Enrico Panini, della segreteria di Corso Italia, provando «ad accelerare un dibattito su questi temi» sfruttando tutte le occasioni, da qui a luglio, con lo snodo cruciale dello sciopero del 6 maggio. «Avevamo previsto tutto - guerra e crisi - ma non siamo riusciti a fermare il liberismo», dirà Paolo Beni, presidente dell'Arci. Le impellenze sono stringenti: la ricerca di nuovi strumenti, la riscrittura del modello di sviluppo, l'interruzione di un parallelismo tra i percorsi. Perché se è vero che esistono mille rivoli di conflitto e buone pratiche da allora è pure vero che dialogano a fatica e a esigere quel dialogo sono prima di altri le giovani generazioni. Chi a Genova non c'era, come gli studenti della Rete della conoscenza, è intervenuto per chiedere di interrompere una separatezza delle lotte: «La questione generazionale è la questione sociale». Ciascuno con un tassello anche Legambiente, Libera, Uisp, Slow food, Filctem, il forum dei movimenti per l'acqua, Banca etica e le reti per il commercio solidale hanno abbozzato temi e forme di quello che Beni definisce lo «spazio comune proiettato all'azione» che dovrà attraversare Genova.
23/03/2011
--
antonio bruno.
capogruppo Sinistra Europea - PRC Comune di Genova
00393666756779