[Forumlucca] unità d'Italia/ due note scritte da un anarchic…

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Autore: laura picchi
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To: m.ciancarella, info, marco marcucci, marisa.pareto, roberto sensi, mrseye, forumlucca, lucca, lucca, giulio sensi, alessio ciacci, salah chfouka, gicavalli, giovanna duranti, la gurfata, lista123lm
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Oggetto: [Forumlucca] unità d'Italia/ due note scritte da un anarchico lucano su cui riflettere e da approfondire: i lager sabaudi e fenestrelle




      http://cronologia.leonardo.it/storia/a1863b.htm



Dopo l' "invenzione" 
        del "contrassegno per marchiare gli ebrei con un panno sulla spalla" 
        (vedi 
        AMEDEO VIII DI SAVOIA) - quindi un precursore dello "antisemitismo" 
        hitleriano - nel 1863 un altro sabaudo inventava i "lager", 
        e le "vasche di calce" per scioglierci dentro i cadaveri dei 
        reclusi soccombenti borbonici.




1863 - cronologia
di un anno infame





            la pulizia 
            etnica piemontese 


             I LAGER SABAUDI






IL TALLONE DI FERRO
DEI SAVOIA - Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte.

Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863

MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI

DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD

di STEFANIA MAFFEO


Il "lager" di Fenestrelle. La ciclopica
sabauda cortina bastionata


  Cinquemiladuecentododici 
    condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. 
    Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità 
    d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale 
    operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata 
    dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… 
    per la repressione del brigantaggio nel Meridione"[1]. 



    Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il 
    Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne 
    e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui 
    portata è mitigata solo dalla fuga e dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile 
    comandamento di destino: "O briganti, o emigranti".




    Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: "… 
    genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso 
    intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere 
    i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano 
    siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, 
    della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della 
    vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, 
    della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite 
    degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma 
    in quanto membri del gruppo nazionale". 




    Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, 
    profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie 
    di "briganti") costretti ai ferri carcerari. 


    Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui 
    furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette 
    affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico 
    (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la caricatura dell'esercito 
    borbonico: il soldato con la testa di leone, l'ufficiale con la testa d'asino, 
    il generale senza testa) e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora 
    resistevano nelle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. 




    Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la pietas che 
    sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo tentativo di risolvere 
    il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni 
    dei soldati duosiciliani incominciarono già verso ottobre del 1860, 
    in quanto la resistenza duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non 
    coordinati nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa 
    fu presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava 
    alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 1860 
    nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si presentarono 
    solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si diedero alla macchia 
    e furono chiamati "briganti". (nel '43, dopo l'8 settembre, accadde 
    quasi la stessa cosa, ma dato che vinsero (gli anglo-americani) la lotta la 
    chiamarono di "resistenza" , e gli uomini "partigiani". 
    Ndr.)




    A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o nelle 
    carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì 
    "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto 
    esercito delle Due Sicilie". 


    La Marmora ordinò ai procuratori di "non 
    porre in libertà nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito". 



    Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche 
    se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova, 
    da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano smistati 
    in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, 
    Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo, Forte di 
    Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località 
    del Nord. 




    Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe Santomartino, 
    che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla caduta del baluardo 
    abruzzese, Santomartino fu processato dai (vincitori) Piemontesi e condannato 
    a morte. In seguito alle pressioni dei francesi la condanna fu commutata in 
    24 anni di carcere da scontare nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, 
    una notte, fu trovato morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che 
    aveva tentato di fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta 
    un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso. 




    In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento di "correzione 
    ed idoneità al servizio", i prigionieri, appena coperti da cenci 
    di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di pane nero raffermo, 
    subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di nefandezze fisiche 
    e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre 
    40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti 
    e malattie.




    Quelli deportati a Fenestrelle [2], fortezza situata a quasi duemila metri 
    di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, ufficiali, 
    sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire 
    il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti quelli che 
    si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono 
    aperta resistenza 
    ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce.




    Fenestrelle (nella foto di apertura) più che un forte, era un insieme 
    di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella 
    roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale 
    asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. 
    Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono 
    anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della 
    fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l'inasprimento 
    delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi 
    e catene. 




    Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani 
    e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Un carcerato 
    venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito ingiurie 
    contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con 
    il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati 
    a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi 
    solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei. 





    Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati 
    ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati 
    catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti 
    non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni venivano 
    processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.




    Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche 
    per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non 
    superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati 
    la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi 
    intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi 
    alla fine delle ostilità. 


    Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame 
    che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati 
    di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi. 




    La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in 
    uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una 
    grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. 
    Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché 
    non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, 
    su un muro è ancora visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non 
    in quanto è ma in quanto produce".


    (ricorda molto la scritta dei lager nazisti "




    Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di 
    San Martino" presso Torino per la "rieducazione" dei militari 
    sbandati, rieducazione che procedeva con metodi di inaudita crudeltà. 
    Così, in questi luoghi terribili, i fratelli "liberati", 
    maceri, cenciosi, affamati, affaticati, venivano rieducati e tormentati dai 
    fratelli "liberatori".




    Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a Gorgonia, 
    Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma malarica. Tutte 
    le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti 
    Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul Brigantaggio, 
    nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi 
    dove si svolsero i fatti. 




    Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento: "Ma 
    che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, 
    tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro 
    Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre 
    inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. 
    Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? 
    Perché abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione 
    uomini nati in Italia come noi?". 




    Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli Atti 
    Parlamentari, vietandosene la discussione in aula [3]. Il generale Enrico 
    Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua autobiografia riporta 
    una lettera alla moglie, in cui dice: "Partiranno, 
    soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando, 
    a proposito della resa di Capua, "...le truppe 
    furono avviate a piedi a Napoli per essere trasportate in uno dei porti di 
    S.M. il Re di Sardegna. Erano 
    11.500 uomini" 
    [4]. 




    Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'età giolittiana, che compilò 
    "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno 
    illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo 
    Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti 
    nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 
    chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando il campo 
    fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 3.000 soldati 
    delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a 12.447 uomini.




    Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a Gaeta 
    e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di "Stampa 
    Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui versavano, 
    in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il ritorno alle famiglie 
    dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di Messina e Civitella del Tronto 
    ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19 novembre 1861 il generale Manfredo 
    Fanti inviava un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero 
    dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così 
    scriveva al luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho 
    pregato La Marmora di visitare lui stesso i prigionieri napoletani che sono 
    a Milano", ammettendo, in tal modo, l'esistenza di un altro 
    campo di prigionia situato nel capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani. 





    Questa la risposta del La Marmora: "…non 
    ti devo lasciar ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo 
    spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che 
    acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e 
    quel che è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. 
    Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa 
    perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà 
    a Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, 
    e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che 
    erano un branco di car…che avessimo trovato modo di metterli alla ragione". 





    Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i magistrati, 
    i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero passivamente con 
    l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad ogni livello della 
    stampa legittimista clandestina contro l'occupazione savoiarda. Particolarmente 
    eloquente è anche un brano tratto da Civiltà Cattolica: 
    "Per vincere la resistenza dei prigionieri 
    di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso 
    ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena 
    coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione 
    con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle 
    gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri 
    luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, 
    come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri 
    schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie". 




    Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti, 
    nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di sintesi): "Nella 
    mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo questa campagna che per aver 
    tradimenti si sono perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba 
    dovettimo fuggire, aggiunti alla provincia della Basilicata sortí un 
    prete nemico di Dio e del mondo con una porzione di quei giudei e ci voleva 
    condicendo che meritavamo di essere uccisi per la federtà che avevamo 
    portato allo notro patrone. Ci hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa 
    condicendo perché aveva tardato tanto ad abbandonare quell'assassino 
    di Borbone. Io li sono risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché 
    aveva giurato fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare 
    indietro asservire sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, 
    giunto a Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto 
    a quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio Re 
    no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri soperiori traditori; 
    siamo fatto questioni e lo sono lasciato". 


    "Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione 
    mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno portato 
    affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte all'ospidale 
    e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito da sotto le armi 
    di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 sono andato alludienza 
    del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2 e li ò raccontato tutti 
    i miei ragioni"[5]. 



    Vittorio 
    Emanuele II, il re vittorioso...




    ...e Francesco II, il re vinto, nella fortezza di Gaeta



  Un ulteriore passo 
    avanti nella studio di questa fase poco "chiara" del post unificazione 
    è stato fatto recentemente, quando un ricercatore trovò dei 
    documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli Esteri attestanti 
    che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare un'isola dall'Argentina 
    per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, quindi dovevano essere ancora 
    tanti [6]. 


    Questi uomini del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, 
    certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria 
    lontana. Molti di loro erano poco più che ragazzi [7]. 




    Era la politica della criminalizzazione del dissenso, il rifiuto di ammettere 
    l'esistenza di valori diversi dai propri, il rifiuto di negare ai "liberati" 
    di credere ancora nei valori in cui avevano creduto. I combattenti delle Due 
    Sicilie, i soldati dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei 
    "lager dei Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida 
    memoria che ne è giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti 
    concreti, ed in molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque 
    sia capace di adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo 
    opporsi ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi 
    non si lascia asservire dallo "spirito del tempo". 
  STEFANIA MAFFEO 
  NOTE
  [1] Legge Pica: 


    " Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate dal brigantaggio, 
    e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o 
    banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche 
    strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, 
    saranno giudicati dai tribunali militari; 


    Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono 
    resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione; 


    Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o 
    si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione 
    della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena; 


    Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un 
    tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, 
    alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonché 
    ai manutengoli e camorristi; 


    Art.5: In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 è 
    aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire 
    alle spese di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera 
    dei Deputati) 


    [2] Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perché già 
    Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre 
    napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti 
    fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del 1799, che vi aveva passato 
    9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 
    82 anni. 


    [3] Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti 
    tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000.


    [4] Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei saggi 
    "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine, nella 
    rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito 
    del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore, 
    pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8.


    [5] Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999.


    [6] S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997.


    [7] Sul sito www.duesicilie.org/Caduti.html 
    è possibile ritrovare i nomi, con data di nascita e provenienza di 
    alcuni martiri di Fenestrelle, nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1865. 
    Erano poco più che ragazzi: il più giovane aveva 22 anni, il 
    più vecchio 32.


Questa pagina

(concessa solo a Cronologia)

è stata offerta gratuitamente

dal direttore di

http://www.storiain.net


vedi 
      BRIGANTAGGIO: 
  LA GUERRA DEI POVERI >
vedi L'INSABBIAMENTO CULTURALE 
  DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE" >  
vedi I 
  BRIGANTI? VI DICO IO CHI SONO! >


From: impossibilepentirsi@???
To: m.ciancarella@???; info@???; m.marcucci@???; marisa.pareto@???; rsensi@???; mrseye@???; forumlucca@???; lucca@???; lucca@???; sensi99@???; alessiociacci@???; salahchfouka@???; gicavalli@???; giovanna.duranti@???; la.gurfata@???; lista123lm@???
Subject: unità d'Italia: due note scritte da un anarchico lucano su cui riflettere e da approfondire.....
Date: Thu, 17 Mar 2011 10:34:38 +0100








Perchè l'Italia sia davvero una e indivisibile come scritto nella Costituzione del 1948 e gli italiani si sentano uniti come popolo da nord a sud, dal continente alle isole, superando campanilismi e razzismi, evitando di rivivere un neomedioevalismo di neosignorie e neocomuni o di ripiombare in un'epoca neonazifascista dove la propria nazione e razza sia considerata superiore alle altre e dunque le altre nazioni e popoli si pensa di avere il diritto di annientare, ci deve anche essere la verità sulla storia d'Italia di questi 150 anni che è una sola e quasi mai/mai è quella "scritta dai vincitori" : ecco perchè porto alla vostra attenzione queste due note di questo anarchico lucano, comunque da verificare punto per punto sulla documentazione da cui sono prese queste notizie. In queste due note l'autore non cita le sue fonti e dunque indipendentemente da chi scrive, dalla sua cultura e convinzioni politiche i contenuti vanno verificati punto per punto con studio e ricerca, quando non si è a conoscenza come la sottoscritta dei fatti storici in esse denunciati, studio e ricerca che non ho potuto fare e dunque vi prego di prendere con cautela quanto scritto in queste 2 note che porto alla vostra attenzione e se l'argomento vi interessa, come interessa a me potrete di certo approfondire voi stessi come farò io appena ne avrò il tempo quanto scritto in queste 2 note. laura picchi
1861-2011: Il Genocidio dei Terronipubblicata da Nico Guevara brigante lucano il giorno mercoledì 16 marzo 2011 alle ore 8.04Non tutti sanno che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni. E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.

Non tutti sanno che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).

Non tutti sanno che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.
In Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila».

Non
tutti sanno che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza
processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid. Grazie alla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti, una legge simile, grazie a Nazi-Cossiga, servì oltre un secolo dopo per sterminare i nuovi Briganti.

Non tutti sanno che i briganti fossero guerriglieri per difendere il proprio paese invaso.

Non tutti sanno che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.

Non tutti sanno che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce).

Non tutti sanno che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.

Non tutti sanno che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.

Non tutti sanno che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.

Non
tutti sanno che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva
ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud,
fatta senza nemmeno dichiararla.

Non tutti sanno che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).

Non tutti sanno che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
Non tutti sanno che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.

Abbiamo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi…la storia la scrive chi vince…




1861-2011:IL PRIMO LAGER AL MONDO, FENESTRELLE! Leggete questa storia,leggetela con attenzione e con una lacrima nel cuore.pubblicata da Nico Guevara Brigante Lucano il giorno giovedì 17 marzo 2011 alle ore 8.41Il primo campo di sterminio dell’era moderna era piemontese e vi morirono migliaia di soldati delle Due Sicilie.
All’entrata le parole: “Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce”.
Gli storici continuano a voler ignorare una storia piena di dolore, disperazione e di morte
che da quasi 150 anni aspetta di essere scritta sui testi scolastici.
L’esempio piú emblematico di questa continua censura storica è il Lager
di Fenestrelle.
Ma facciamo un piccolo passo indietro, cosa ha
comportato l’Unità d’Italia? Le cifre ufficiali, anche se molto
sottovalutate, sono terrificanti: 5212 condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Una vera e propria repressione consumata all’indomani dell’Unità d’Italia dai Savoia e forse la si può definire come la prima pulizia etnica dell’epoca moderna, operata sulle popolazioni meridionali, dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti.

Se
queste argomentazioni ci indignano, niente può farci venire il ribrezzo
piú delle vicende che hanno coinvolto il forte di Fenestrelle dal 1860
al 1870.
In quel periodo si concretizzò il primo campo di sterminio della storia moderna, in esso trovarono la morte piú di 8.000 soldati del Regno delle Due Sicilie, ai quali va aggiunto un numero imprecisato di letterati, preti, briganti e miseri contadini.
Ma tutto ciò continua ad essere ignorato dalle menti illustri della storiografia “ufficiale” italiana e
dai letterati; addirittura sul sito dell’Amministrazione Provinciale la
fortezza viene presentata come “Monumento simbolo della Provincia di
Torino“ (con tanto di foto in notturna per decantarne implicitamente la
bellezza), mentre sul sito ufficiale del Forte, si invita alla
devoluzione del 5 per mille!

Sempre sul sito De Amicis scrive:
«Uno
dei piú straordinari edifizi che possa aver mai immaginato un pittore
di paesaggi fantastici: una sorta di gradinata titanica, come una
cascata enorme di muraglie a scaglioni, un ammasso gigantesco e triste
di costruzioni, che offriva non so che aspetto misto di sacro e di
barbarico, come una necropoli guerresca o una rocca mostruosa, innalzata
per arrestare un’invasione di popoli, o per contener col terrore
milioni di ribelli. Una cosa strana, grande, bella davvero. Era la
fortezza di Fenestrelle». Si chiude con «Guardiano immobile e supremo della nostra indipendenza e del nostro onore».
È la pura esaltazione dell’inferno! Ora immaginate se invece di Fenestrelle si parlasse di Auschwitz, e con in mente il nome del famoso lager nazista rileggete le parole di De Amicis appena sopra riportate!!
Noi popolo meridionale abbiamo l’obbligo morale di dire tutte
le verità sulla cieca e razzista politica di aggressione che i Savoia e
i Piemontesi hanno fatto nelle nostre meravigliose regioni!
Di seguito la vera storia, quella che non troverete mai nei testi scolastici dei vostri figli, leggetela con attenzione e con una lacrima nel cuore.

Fenestrelle, storia di un lager sconosciuto


“Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce”.
È
l’iscrizione che un visitatore legge oggi su un muro, entrando a
Fenestrelle, fortezza ubicata sulle montagne piemontesi dove, dal 1860
al 1870, furono deportati i migliaia di meridionali che si opposero
all’unità d’Italia e alla colonizzazione piemontese.
Gli
internati erano soprattutto poveri contadini ed ex soldati borbonici,
gli stessi che sarebbero morti di stenti e vessazioni perpetrati da chi
si reputava un liberatore!
Un insieme di forti protetti da
altissimi bastioni ed uniti da una scala di 4000 gradini scavata nella
roccia: ecco cos’era a quel tempo Fenestrelle, una gigantesca cortina
fortificata resa ancor piú spettrale dalla naturale asperità di quei
luoghi e dalla rigidità del clima.
Assassini, sacerdoti, giovani,
vecchi, miseri popolani e uomini di cultura privi di luce e coperte,
senza neanche un pagliericcio lottavano tra la vita e la morte in
condizioni disumane; perfino i vetri e gli infissi venivano smontati per
rieducare con il freddo i segregati.

Laceri
e poco nutriti passavano le giornate standosene appoggiati ai
muraglioni nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi di sole
invernali, e chissà che in quei momenti non ricordassero con nostalgia
il calore di climi piú mediterranei.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: le aspettative di vita in quelle condizioni non superavano i tre mesi e spesso i carcerati venivano uccisi anche solo per aver proferito ingiurie contro i Savoia.
Nessuna spiegazione logica dunque alla base della loro misera prigionia, molti non erano nemmeno registrati, da qui la difficoltà di conoscere oggi il numero preciso dei morti, processati e non.
E
proprio a Fenestrelle furono imprigionati la maggior parte di quei
soldati che, subito dopo la resa di Gaeta nel 1861, avrebbero dovuto
trovare la libertà. Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero,
invece, subire un trattamento infame: disarmati, derubati di tutto e
vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi, morirono di stenti.
Poi,
il 22 agosto del 1861 arriva il tentativo di rivolta: uno sforzo
inutile, sventato per tempo dai piemontesi e che ebbe come risultato
l’inasprimento delle pene tra cui la costrizione di portare al piede
palle da 16 chili, ceppi e catene.
L’unica liberazione possibile era dunque la morte,
delle piú atroci: i corpi venivano sciolti nella calce viva, collocata
in una grande vasca nel retro della chiesa all’ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti.

I NOSTRI MORTI
I
nostri morti, i quali per quasi un secolo e mezzo sono stati insultati e
poi dimenticati da ogni scuola ed istituzione del “nostro” Paese.
ED
OGGI TUTTI PRONTI A FESTEGGIARE CON LE BANDIERINE MACCHIATE DAL SANGUE
DI MIGLIAIA DI MERIDIONALI! TUTTI PRONTI A FESTEGGIARE, SENZA NEMMENO
SAPERE COSA REALMENTE SI FESTEGGIA, IGNARI, COME TANTI “BALILLA”.