著者: ugo 日付: To: aderentiretecontrog8, forumgenova 題目: [NuovoLab] il voto alla fiat
| Gabriele Polo
Ora è tutto più chiaro
Ci sono luoghi e fatti che diventano rivelatori. A volte inspiegabilmente, raccolgono in sé un tasso di verità estrema. Cruda, persino crudele. In questo senso l'unico pregio del diktat imposto da Sergio Marchionne ai lavoratori Fiat, consiste nella rivelazione di Mirafiori. Costringendo, loro malgrado, i 5.300 delle carozzerie a squarciare il velo di mille finzioni e ipocrisie. E tutto è apparso più chiaro: dall'inesistenza del progetto industriale evocato alla strumentalità finanziaria del suo enunciatore, dalle complicità dei sindacati di mercato alla pesante responsabilità di chi vuole rappresentare la centralità del lavoro, dalla solitudine politica degli operai al loro dover scegliere tra diritti e occupazione.
Tutto squadernato in maniera «pura», cruda, realista, fino all'esito di un voto che, pur estorto e non libero, ha definito la mappa della fabbrica: la divisione del lavoro e della fatica (il no vincente dove più pesanti sono le condizione e più radicali i peggioramenti della «cura Marchionne», il sì decisivo dei più tutelati, gli impiegati e i lavoratori notturni); la soggettività della scelta che spacca, tra chi è costretto a piegare la testa e chi comunque non lo fa.
Con queste crude realtà da domani si misurerà il futuro, non solo quello di Torino e dei suoi lavoratori. Per Marchionne, il management e la proprietà sarà più complicato continuare a nascondere le vere intenzioni di trasformare Fiat in una sottomarca di Chrysler e fugare il sospetto - per molti una certezza - di voler sbarazzarsi sia di Mirafiori che di Pomigliano.
Inoltre il voto di venerdì frena l'operazione autoritaria che riduce il lavoro a merce e i lavoratori in servitù. E, forse, più di un'impresa italiana già pronta a disdire il contratto nazionale e costruirsene uno a proprio uso e consumo, ci ripenserà sperando di evitare i conflitti più che annunciati dalle settimane di Mirafiori. Dove si è consumata una frattura sindacale anch'essa emblematica: con i sindacati «complici» che hanno sposato e rappresentato presso i lavoratori gli interessi dell'azienda (concepita come unica comunità possibile, magari combattente con altre), mentre la Fiom rimasta da sola con la propria indipendenza è ora chiamata a reggere tutto il peso della rappresentanza nel pieno di una crisi che è ormai l'habitat consueto della globalizzazione. E con la Cgil a dover scegliere tra i due modelli dispiegati a Mirafiori, in primis sulla questione democratica, decidendo se «una testa un voto» (sul lavoro e nell'organizzazione) sia o meno la pratica fondante del sindacato. Quanto alla politica e alla sinistra... beh, per affrontare la propria irrilevanza dovrà ripensarsi e scegliere da che campo ripartire: il patto tra produttori non funziona più nemmeno nell'«Emilia rossa e democratica».
Ma a fare i conti con la verità cruda di questi giorni saranno soprattutto le donne e gli uomini che hanno detto «no». Di quel coraggio loro porteranno il peso, insieme a chi li ha sostenuti. Sapendo però di essere ancora in piedi. Non hanno nulla di cui esultare, ma basta guardarli per capire quanto siano felici di aver difeso un futuro da condividere. Con i loro simili. Amici. Persino compagni.