[Forumlucca] DONna GELMINI augura buon anno

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著者: Aldo Zanchetta
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題目: [Forumlucca] DONna GELMINI augura buon anno
Le università meridionali finiscono nell'angolo. Ricercatori assunti solo a
tempo determinato: precari a vita. Il finanziamento pubblico agli atenei è
il più basso d'Europa, dietro di noi solo la Bulgaria. Eppure si taglia «per
evitare sprechi». Difficile immaginare che il merito venga premiato, posti
che vanno e vengono e non diventano mai cattedre

E il ministro Gelmini ci regala l'università della Confindustria
27-12-2010
di Guglielmo Forges Davanzati

Sulla cosiddetta riforma dell'Università, è bene sgombrare il campo da un
equivoco: il suo reale obiettivo non è introdurre criteri di valutazione che
premino il merito, bensì operare un depotenziamento del sistema formativo
pubblico che non ha precedenti nella storia recente del Paese[1].
Depotenziamento che è già, in parte, passato attraverso la legge 33/2008,
con la quale si è provveduto a sottrarre al sistema universitario pubblico
circa un miliardo e mezzo di euro, per il biennio 2010-2011, mettendo a
rischio la sopravvivenza stessa di molti Atenei. I fondi recuperabili con la
Legge di stabilità non serviranno a ripianare i bilanci degli Atenei
italiani, ma, nella migliore delle ipotesi, ad arginare le proteste degli
attuali ricercatori in ruolo, che hanno consentito - negli anni passati - la
sopravvivenza di corsi di studio, svolgendo attività didattica non
retribuita, e ai quali il Ministero offre oggi in cambio la messa ad
esaurimento del loro ruolo. Peraltro - e non si tratta di un aspetto
marginale - la riduzione dei finanziamenti è 'lineare', ovvero non tiene
conto delle variabili di contesto (PIL procapite, tassi di disoccupazione)
e, dunque, grava maggiormente sulle Università meridionali. La
delegittimazione mediatica del sistema universitario pubblico (che regge
sulla duplice retorica dei professori 'baroni' e 'fannulloni') sostiene
questo disegno[2].

Sebbene nessuno possa negare che casi, anche frequenti, di nepotismo negli
Atenei italiani esistano, occorre sottolineare che l'intervento legislativo
non contiene misure che pongano argini a questi problemi[3]. Queste misure
sono demandate a regolamenti che il Ministero dovrà emanare successivamente
all'approvazione della Legge, e alcune sono di difficilissima attuazione (si
pensi alla previsione, di cui all'attuale stesura del DDL Gelmini, di
commissioni concorsuali nelle quali uno dei componenti deve essere un
docente strutturato in una Università dell'area OCSE). Misure ulteriori che
si aggiungono agli oltre 1.500 provvedimenti che hanno riguardato l'Università
nell'ultimo decennio. Difficile, poi, immaginare che il merito venga
premiato con la precarizzazione del ruolo di ricercatore. Nella stesura
attuale del disegno di Legge, si prevede che i ricercatori verranno assunti
con contratti a tempo determinato triennali, rinnovabili, ai quali può far
seguito la prosecuzione dell'attività di ricerca solo in caso di definitiva
stabilizzazione: il che, con il taglio dei finanziamenti, è un'ipotesi
piuttosto ardua[4].

E' del tutto evidente che questo dispositivo non ha nulla a che fare con il
merito e, semmai, può produrre danni rilevanti, generando esiti esattamente
opposti a quelli che si dichiara voler ottenere: accentuare la 'fuga di
cervelli', già in atto, e reclutare ricercatori qualitativamente inferiori a
quelli che si potrebbero assumere con contratti a tempo indeterminato e
stipendi più alti. L'esito esattamente opposto a quello che i sostenitori
della riforma dichiarano di voler ottenere.

Il DDL Gelmini, come è noto, è apertamente sostenuto da Confindustria, ed è
di fatto pensato dal Ministero dell'Economia. Per comprendere le ragioni del
sostegno imprenditoriale alla riforma è opportuno partire da alcuni dati.

L'ultimo Rapporto Almalaurea certifica che fra i 27 paesi dell'Unione
Europea, il finanziamento pubblico in istruzione superiore italiano è più
elevato solo di quello della Bulgaria. Il quadro non migliora nel settore
strategico della Ricerca e Sviluppo al quale l'Italia ha destinato l'1,2%
del PIL nel 2007, risultando così ultimo fra i Paesi più avanzati. A fronte
del sottofinanziamento della ricerca, si rileva che le pubblicazioni dei
ricercatori italiani - per quantità e qualità - sono classificate fra le
prime dieci al mondo[5]. Aumenta sensibilmente la disoccupazione rispetto
allo scorso anno, e non solo fra i laureati triennali. La disoccupazione
cresce anche fra i laureati magistrali, dal 14 al 21%. Infine cresce anche
fra i c.d. specialistici a ciclo unico (laureati in medicina, architettura,
veterinaria, giurisprudenza), dal 9 al 15%. Una tendenza questa che si
registra indipendentemente dal percorso di studio (anche fra i laureati
tradizionalmente caratterizzati da un più favorevole posizionamento sul
mercato del lavoro, come gli ingegneri) e dalla sede degli studi e che si
estende anche ai laureati a tre ed a cinque anni dal conseguimento del
titolo. Diminuisce il lavoro stabile e le retribuzioni medie, a un anno
dalla laurea, si assestano attorno a 1.100 euro ad un anno dalla laurea.
Ciononostante, la condizione occupazionale e retributiva dei laureati resta
migliore di quella dei diplomati di scuola secondaria superiore. Nell'intero
arco della vita lavorativa, i laureati presentano un tasso di occupazione di
oltre 10 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (78,5 contro 67%).
Viene confermato che la retribuzione premia i titoli di studio superiori:
nell'intervallo compreso fra i 25 e i 64 anni di età, essa risulta più
elevata del 55% rispetto a quella percepita dai diplomati di scuola
secondaria superiore. Si tratta di un differenziale retributivo in linea con
quanto rilevato in Germania, Regno Unito e Francia.

Nel caso italiano, il migliore posizionamento dei laureati nel mercato del
lavoro discende dal fatto che - essendo l'Italia fra i Paesi OCSE quello con
minore mobilità sociale - i laureati provengono, di norma, da famiglie più
ricche rispetto ai non laureati e, conseguentemente, potendo disporre di
redditi non da lavoro, hanno maggior potere contrattuale. La riduzione dei
finanziamenti pubblici, inducendo gli Atenei ad aumentare le tasse
universitarie, non può che produrre un duplice effetto negativo. In primo
luogo, e in linea generale, l'aumento della tassazione rende più difficile
la mobilità sociale, dal momento che un numero minore di giovani potrà
permettersi di pagarle. In secondo luogo, questa misura si renderà
necessaria nei casi nei quali la decurtazione dei finanziamenti pubblici non
è compensata da finanziamenti privati. Il che riguarda la gran parte degli
Atenei meridionali, con la conseguenza che il sottofinanziamento del sistema
universitario pubblico penalizzerà soprattutto i giovani meridionali. In
sostanza, il provvedimento incide negativamente sulla (già bassa) mobilità
sociale italiana ed è oggettivamente redistribuivo a danno del Mezzogiorno.
Ed è un provvedimento che non solo non agisce sul merito dei ricercatori, ma
finisce per penalizzare gli studenti meritevoli con basso reddito.

A ciò si può aggiungere che, da oltre un decennio, è in atto un
significativo processo di accentuazione dell'overeducation, ovvero di
'eccesso di istruzione' rispetto alla domanda di lavoro qualificato espressa
dalle imprese. Acquisita la laurea, si svolgono attività non adeguate alle
competenze acquisite o, soprattutto nel caso del Mezzogiorno, si emigra. L'eccesso
di offerta di lavoro qualificato dipende essenzialmente dalla bassa
propensione all'innovazione da parte delle imprese italiane, a sua volta
imputabile in primis alle piccole dimensioni aziendali e - dato non
irrilevante - al fatto che solo il 14% dei nostri imprenditori è in possesso
di laurea[6]. E' chiaro che in un Paese nel quale non si produce
innovazione - se non per rare eccezioni - il finanziamento della ricerca
scientifica è solo un costo, al quale le nostre imprese neppure riescono a
far fronte reclutando dall'estero manodopera qualificata. E' una buona
ragione, sul fronte confindustriale, per dare sostegno e impulso alla
politica dei tagli all'istruzione, continuando a perseguire una modalità di
competizione basata sulla compressione dei costi (e dei salari, in
primis)[7].
[1] La valutazione della ricerca è demandata all'ANVUR, agenzia costituita
nel 2006 mai resa operativa. In ogni caso, il DDL Gelmini stabilisce un
dispositivo premiale per la produttività scientifica nella misura massima
del 10% del fondo di funzionamento ordinario
[2] Occorre rilevare che il DDL Gelmini non solo non incide su questo
problema, semmai lo accentua. Se per "baroni" si intendono i professori di I
fascia, le nuove disposizioni normative - in quanto attribuiscono loro la
gran parte del potere di decisione sulla governance degli Atenei e sul
reclutamento - rendono l'Università italiana più gerarchizzata e, dunque,
potenzialmente più "baronale".
[3] La previsione di un codice etico può fare ben poco a riguardo, anche in
considerazione del fatto che la gran parte delle Università italiane negli
ultimi anni si sono dotate di codici etici. Può fare ben poco perché un
codice etico indica ciò che non occorrerebbe fare, ma non contiene misure di
sanzionamento di comportamenti eticamente censurabili.
[4] A ciò si aggiunge che la disposizione di blocco degli scatti stipendiali
(resi ora triennali) penalizza maggiormente coloro che, in Università,
percepiscono gli stipendi più bassi, ovvero proprio i ricercatori (a tempo
indeterminato, con ruolo ad esaurimento) e a tempo determinato, a
legislazione vigente.
[5] Cfr. http://www.chim.unipr.it/riforma.pdf
[6] E' quanto risulta dall'ultimo censimento Almalaurea. Si veda
http://www.almalaurea.it/universita/occupazione/occupazione08/premessa2.shtml
[7] Per una trattazione più ampia di questo aspetto, si rinvia al mio L'Università
che piace a Confindustria, su questa rivista.