[NuovoLab] 442° ora in silenzio per la pace

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Rete controg8
      per la globalizzazione dei diritti

      mercoledì 17 novembre dalle 18 alle 19 sui gradini del palazzo
      ducale di Genova, 442° ora in silenzio per la pace.

      Incollo il volantino che verrà distribuito

      ----------------

Da Peacereporter

14/11/2010
Tre

        storie dal presidio


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Parlano tre immigrati che in Italia
      lavorano, pagano le tasse e hanno speso migliaia di euro per la
      tanto contestata sanatoria. Oggi sono ancora clandestini

Dopo cinque minuti che chiacchiero con Sharef e
Mohammed, capisco che il taccuino non mi servirà.
      Le loro storie sono troppo intense, di quell'intensità che fa
      paura, per essere dimenticate. Sono entrambi egiziani e, entrambi,
      sono in quella fase della vita che, qui in Italia, è nota come “i
      migliori anni”. 
Il primo ha 27 anni e il secondo 24.
      Li incontro al presidio di via Imbonati a Milano dove, dal 5
      novembre scorso, un gruppo di cinque immigrati, senza permesso di
      soggiorno, è salito in cima alla 
torre dell'ex industria chimica Carlo Erba,
      per protestare contro quella che è ormai nota come la 
“sanatoria truffa”. Da lì non
      scenderà nessuno finché le tanto agognate certificazioni del
      Ministero degli Interni, non verranno concesse a “tutti i fratelli
      che lavorano”.


      “Secondo te che accadrà?” mi chiede Sharef. “Non lo so, posso solo
      sperare che, chi lavora, otterrà il permesso di restare in
      Italia”. Sul volto del ragazzo un timido sorriso sottolinea la
      consapevolezza che lui, in quella categoria, la categoria di chi
      lavora, ci rientra eccome. “Sono nipote di un cittadino italiano –
      racconta – Mio zio è stato regolarizzato perché è venuto qui a
      lavorare. 
Dal 2008 lavoro ogni giorno, ho fatto
      richiesta per ottenere il permesso ma mi hanno dato solo un
      “foglio di via” che non mi garantisce la sicurezza nel vostro
      Paese. Ora faccio l'imbianchino e ho un contratto a tempo
      indeterminato, 
pago le tasse e i contributi ma, per lo
        Stato italiano, sono ancora clandestino
”. Gli chiedo se
      anche lui ha perso dei soldi tentando la via della “sanatoria
      2009”. “No, io di soldi ne ho spesi, e continuo a spenderne, già
      abbastanza in tasse; questo lo Stato deve riconoscerlo e
      rilasciarmi il permesso di soggiorno”. 


Mohammed è arrivato in Italia quando aveva diciassette
        anni
e, stando al suo racconto, ha sempre lavorato. In
      Egitto ha lasciato la famiglia per raggiungere gli altri tre
      fratelli che erano arrivati in Italia in cerca di una vita
      migliore. Nel luglio del 2009 ha versato al suo datore di lavoro,
      un ricco imprenditore sardo, quattromila dei settemila euro totali
      richiesti dall'uomo per certificare il suo lavoro come colf. “
Mi

        alzo alle cinque e mezza del mattino ogni santo giorno per
        andare a lavorare
– svela il ragazzo - Sono un
      carpentiere e da un anno e mezzo faccio la spola da Milano a
      Bergamo (dove è in esame la sua pratica 
ndr) per avere
      notizie sul mio futuro. La risposta è sempre la stessa: “Devi
      aspettare”. Ma ogni giorno che passo in Italia potrebbe essere
      quello in cui 
sarò rispedito in Libia”.
      Mohammed non ha gli occhi di un ventiquattrenne. Il suo sguardo è
      cupo e arrabbiato, come quello di chi sa di subire un'ingiustizia
      che, giorno dopo giorno, lo fa invecchiare. “Qualche mese fa è
      morto mio padre e non sono potuto tornare in Egitto per i suoi
      funerali”. Mohammed è uno di quelli che si chiede perché lo Stato
      ha incassato i suoi cinquecento euro per istruire la pratica
      tramite modello F24, invece di bloccare tutte le richieste fin da
      subito. “Mi dici se perderò questi soldi? - mi chiede – Ne ho già
      spesi tanti, sai? Qualche mese fa si è sposata mia sorella e ho
      pagato io per il suo matrimonio. Dall'Egitto mia madre mi chiama
      ogni giorno per sapere se, finalmente, mi hanno regolarizzato o
      corro ancora il rischio di essere arrestato e rimandato indietro”.
      Le preoccupazioni delle mamme verso i loro figli, sembra voler
      dire Mohammed, sono uguali in tutto il mondo: la certezza del
      lavoro, la salute e la lontananza dai problemi con la legge.
      Dell'estraneità a questi, il giovane si vanta, guardandomi fisso
      negli occhi e senza mai tradire la certezza dei suoi buoni
      propositi: “Noi egiziani qui in Italia lavoriamo. Stiamo
      costruendo da soli le infrastrutture che ospiteranno l'
Expo.
      Non siamo come i rumeni che pensano solo a ubriacarsi dalla
      mattina alla sera e a delinquere. Noi siamo persone serie e
      meritiamo che l'Italia lo riconosca. I ladri veri non sono quelli
      che vengono da Egitto o Marocco, ma quelli che hanno dichiarato di
      avere decine di persone come colf e badanti, hanno preso i soldi,
      e sono scappati. Il limite imposto dalla legge è una colf e due
      badanti per ogni datore di lavoro; il vostro governo doveva
      controllare le domande prima di incassare i soldi e permettere che
      gente truffasse migliaia di quelli come me”.

“È vero”, aggiunge un altro
        Mohammed
che, dopo aver ascoltato tutto il discorso,
      decide di sfogarsi con chi potrebbe raccontare la sua storia agli
      altri. Lui ha 38 anni e arriva dal Marocco, dove 
ha
        lasciato tre figli e una carriera da avvocato
. Qui in
      Italia è imbianchino, e irregolare. Nonostante le 
otto
        pratiche
avviate per conseguire un permesso di
      soggiorno, e le sveglie presto di mattina, non ha ancora ottenuto
      ciò che gli consenta di passare un normale controllo di polizia
      senza rischiare di essere rispedito a casa sua. “Tra il viaggio,
      l'Inps, le tasse e le varie pratiche ho speso tredicimila euro in
      un anno. I risparmi di una vita – mi dice gesticolando
      placidamente. L'ultima persona che poteva accertare che qui in
      Italia lavoro, è morta poco prima del colloquio in questura. Ho
      sbagliato io a venire qui. L'Italia, come il 
Portogallo,
      la 
Spagna e la Grecia, non è poi così tanto
      differente dai posti da dove veniamo noi”. Un'affermazione forte
      nella sua perentorietà. Perché mai un avvocato marocchino che
      viene in cerca di lavoro in Italia pensa che il nostro Paese, nel
      G20, nel G8, una delle prime potenze mondiali, non sia migliore
      del suo. Decido di chiederglielo e la risposta è, se possibile,
      ancora più sorprendente della stessa domanda. “Vedi – mi dice – il
      problema è che gli italiani, come popolo, non sono consapevoli
      delle leggi che li circondano. É come se viveste trasportati da
      una corrente alla quale sottostate, ma che gli altri decidono per
      voi senza che ne abbiate coscienza”.

Antonio Marafio