30/10 - PER IL DIPARTIMENTO DEL TESORO USA IL FRATELLO DELL'EX
MINISTRO DEGLI INTERNI COLOMBIANO E' UN NARCOTRAFFICANTE
Gli Stati Uniti hanno formalmente identificato come narcotrafficante
l'ex capo della procura di Antioquia (il secondo dipartimento più
importante della Colombia), Guillermo León Valencia, fratello
dell'ex ministro degli Interni ed ex ambasciatore in Italia Fabio
Valencia Cossio.
Quest'atto permette al Dipartimento del Tesoro degli USA di porre
sotto sequestro i suoi beni. Nel comunicato che accompagna l'atto
formale si legge che il fratello dell'ex ministro di Uribe è
stato individuato per “i suoi legami con l'organizzazione criminale
colombiana del narcotrafficante Daniel Rendón, alias Don Mario”, e
per gli abusi di potere per conto di questa banda paramilitare.
Nel 2008 a León Valencia erano stati revocati gli arresti
domiciliari, ed era stato tradotto in carcere, dove permane tuttora
in attesa di giudizio, con le accuse di arricchimento illecito,
associazione a delinquere aggravata, violazione del segreto
istruttorio, falso ideologico per distruzione e utilizzazione
indebita di informazioni privilegiate.
Persino gli Stati Uniti, che non sono certo campioni di diritti umani
e lotta al narcotraffico, riconoscono dunque il ruolo del fratello di
un ministro di Uribe, che utilizzava i privilegi derivatigli dalla
sua carica per favorire la banda dello spietato “Don Mario”, uno
dei maggiori capi narco-paramilitari del paese. Vale la pena
ricordare che un altro ex ministro di Uribe, Juan Manuel Santos, è
l'attuale presidente del paese; e come dimostra quest'ennesimo
episodio di cronaca, l'intero blocco del governo colombiano è legato
a doppio filo a narcotrafficanti e paramilitari. Proprio come Uribe,
già figlioccio di Pablo Escobar.
28/10 - LA PROCURA GENERALE CONFERMA LA DESTITUZIONE DEL CORROTTO E
CORRUTTORE EX MINISTRO ED EX AMBASCIATORE IN ITALIA, SABAS PRETELT
La Procura Generale della Repubblica colombiana ha annunciato di
aver confermato la destituzione (con inabilitazione a ricoprire
incarichi pubblici per 12 anni) dell'ex ministro degli Interni e
della (In)Giustizia, nonché ex ambasciatore in Italia, Sabas Pretelt
de la Vega , accusato di aver corrotto diversi congressisti per
favorire la riforma costituzionale che ha poi permesso la rielezione
di Uribe nel 2004.
Secondo la Procura , “Il ministro Sabas Pretelt
de la Vega per mezzo della sua carica, e deviando dal proprio compito
istituzionale, ha profuso offerte che hanno modificato, inciso o
influito in modo effettivo sugli interventi di due congressisti
(Yidis Medina e Teodolindo Avendaño) sull'atto legislativo relativo
alla rielezione presidenziale”.
La principale prova contro Pretelt è la testimonianza della stessa
Yidis Medina, ex congressista del Partito Conservatore, che, dopo
aver manifestato in diverse occasioni la sua contrarietà allo
strappo costituzionale per permettere la rielezione di Uribe,
improvvisamente aveva cambiato idea, votando infine a favore del
truffaldino progetto.
In seguito la Corte Suprema di Giustizia giunse alla conclusione che
Medina aveva venduto il proprio voto, e la condannò a quasi 4 anni
di arresti domiciliari, aprendo poi un'inchiesta su Pretelt.
Nel documento presentato dalla magistratura si chiarisce che l'ex
ministro “ha interferito sullo strumento legislativo predisposto
per la riforma costituzionale, con l'intenzione di introdurre la
rielezione del presidente Uribe”, e che “sin dall'inizio era
cosciente di trasgredire la legge”
Inoltre, “Pretelt de la Vega ha mancato sostanzialmente ai compiti
propri della sua funzione, ignorando patentemente i principi della
funzione pubblica; la moralità, la trasparenza, l'obiettività, la
legalità, l'imparzialità, la neutralità”.
Ma Pretelt si trova in buona compagnia, se consideriamo l'abnorme
numero di congressisti colombiani inquisiti per corruzione,
narcotraffico, paramilitarismo; non ultimo, l'altro ambasciatore
“lampo” in Italia, Felipe Arias, che a pochi giorni
dall'assegnazione dell'incarico ha dovuto rinunciare a causa dei suoi
guai giudiziari per aver elargito -quand’era ministro
dell’agricoltura- denaro destinato ai contadini poveri a
politicanti e soubrette.
26/10 - URIBE HA INFILTRATO ELEMENTI DEL DAS NELLA CORTE SUPREMA DI
GIUSTIZIA PER DISARTICOLARE I SUOI PROCESSI
La detective Alba Luz Flórez, integrante dei servizi segreti del
Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS), soprannominata la
“Mata Hari” colombiana, è riuscita nell’arco dei primi mesi di
quest’anno ad infiltrarsi nella Corte Suprema di Giustizia, alla
ricerca di informazioni per screditare l’istituzione e
disarticolare i processi sui legami fra la famiglia Uribe ed il
paramilitarismo.
Per le implicazioni nel caso delle intercettazioni
illegali e dello spionaggio ai danni di oppositori politici,
magistrati e giornalisti, lo scorso 4 ottobre la Procura aveva
destituito ed inabilitato ad esercitare incarichi pubblici per 18
anni Bernando Moreno, il segretario generale del narco-expresidente
Álvaro Uribe, ed imposto sanzioni a tre ex capi del DAS: Jorge
Noguera (20 anni), Maria di Pilar Hurtado (18 anni) e Andrés Peñate
(8 mesi).
In sua difesa la detective Flórez, di 32 anni, ha dichiarato di aver
solo eseguito gli ordini dei suoi superiori. La strategia, secondo le
dichiarazioni della Flórez, era quella di manipolare anche
“sentimentalmente” figure che le avrebbero permesso di arrivare
fin nelle viscere della Corte, come nel caso del capitano Julio
Hernández Laverde, promosso a capo della Sicurezza del Parlamento ed
usato per approdare al massimo tribunale della Colombia. Allo stesso
modo ha circuito le guardie del corpo e gli autisti dei magistrati
potendosi muovere nelle loro sedi in libertà, convincendo poi le
scorte a rubare dalle auto dei giudici documenti che la Presidenza
della Repubblica aveva evidentemente interesse a conoscere. Alba Luz
Flórez si è servita anche di Maria Torres e Blanca Maldonado, due
signore delle pulizie che servivano il caffè durante le sessioni
della Corte, per depositare registratori e microfoni sotto gli
scranni. Le trascrizioni delle conversazioni private dei magistrati
erano inviate al Palacio de Nariño, sede della Presidenza. Entrambe
le donne delle pulizie sono costrette oggi a vivere nascoste con le
proprie famiglie per via delle minacce di morte, ricevute affinché
non rilascino dichiarazioni. La detective Flórez tornerà comunque a
casa. L’ordinamento giuridico colombiano prevede infatti l’esonero
da investigazioni e processi per chi collabora in modo decisivo con la
giustizia. Lo stesso succederà con l’antica numero due dei servizi
segreti, Marta Inés Leal, tutt’oggi in prigione. L’ex direttrice
del DAS, Maria Pilar Hurtado, personaggio chiave di questo puzzle,
l’ha obbligata a trattare con avvocati e capi paramilitari che si
dedicarono a montare operazioni di discredito contro magistrati,
giornalisti e oppositori in riunioni durante le quali intervenivano
diversi complici del presidente. In due di questi incontri ha
partecipato l’avvocato di “Don Berna”, capo paramilitare
estradato negli Usa, e Antonio López, alias “Job”, altro capo
paramilitare successivamente assassinato. A dirigere l’orchestra
l’avvocato Sergio González, intimo di Santiago e Mario Uribe,
rispettivamente fratello e cugino dell’ex presidente narco-mafioso
Uribe, che vede sgretolarsi ogni giorno di più il muro di menzogne
alzato per nascondere i suoi crimini contro il popolo colombiano.
24/10 - SOLDATO PROFESSIONALE DENUNCIA COLLABORAZIONE FRA ESERCITO
COLOMBIANO E PARAMILITARI
Il soldato professionale John Quirama ha denunciato alla
magistratura colombiana (e in una clamorosa videointervista) la
protezione assicurata dai militari del Battaglione 43 dell'Esercito
alla banda mafiosa e paramilitare di “El Cuchillo”, uno dei più
pericolosi latitanti colombiani.
Quirama ha chiarito che la cattura del capo narcotrafficante non è
stata possibile a causa dell'intervento di agenti dell'Esercito, e
che il
colonnello Gómez Ibeto Oscar Orlando, oltre ad aver ricevuto 700
milioni di pesos (circa 280.000 euro) dai paramilitari “perché li
lasciasse lavorare col narcotraffico”, è lui stesso un
narcotrafficante e possiede persino la strumentazione per la
raffinazione della cocaina.
Stando alla testimonianza di Quirana, il controllo del territorio del
dipartimento del Guaviare (nella zona sudorientale del paese) è stato
oggetto di una guerra fra la banda dei “macacos” e quella di “El
Cuchillo”, che al momento è riuscita a prevalere grazie all'aiuto
del suddetto colonnello dell'Esercito.
Il soldato ha inoltre asserito di non conoscere il numero complessivo
dei morti causati da questa faida, ma di sapere che i cadaveri sono
stati gettati nei fiumi Conuco e Vichada.
Il testimone ha poi dichiarato che, in seguito all'alleanza fra
Esercito e paramilitari, almeno 22 civili innocenti sono stati uccisi
a sangue freddo e presentati poi come morti in combattimento.
Quirama aveva provato a denunciare questi delitti ai più alti gradi
militari, e come risultato ha subito diverse minacce di morte ed è
stato anche oggetto di indagine da parte dell'Esercito.
La ragnatela di omertà, complicità, collaborazione e reciproca
protezione tessuta da forze armate e paramilitari di Stato, clan
mafiosi e cartelli narcotrafficanti, grandi imprenditori e
politicanti dei poteri regionali o centrali, pervade la Colombia ed
asfissia il popolo, che potrà liberarsene solo a patto di reciderla
drasticamente.
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