Ricevo e inoltro
Rosario.
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Intervista del mensile Resistenza al Segretario Generale del (n)PCI
Presentazione dell’intervista ai lettori dei Comunicati del CC del (n)PCI
Nel nostro paese la costituzione del Governo di Blocco popolare è la via più rapida, meno dolorosa e meno distruttiva per far fronte immediatamente agli effetti più disastrosi già prodotti dalla crisi (economica, ambientale, sociale, morale e intellettuale) che devasta il nostro paese e che affligge tutti gli altri paesi del mondo e andare verso la sua soluzione definitiva: l’instaurazione del socialismo.
La crisi attuale è per sua natura tale che i lavoratori organizzati e le masse popolari organizzate la possono risolvere, mentre non si risolve prima o poi da sé sola né per le misure prese dalla borghesia, dal clero e dalle loro autorità nel rispetto dell’attuale ordinamento sociale. La soluzione della crisi attuale non è una questione di politica economica, è semplicemente una questione politica. Ci vuole un governo che, per eliminare gli effetti più disastrosi della crisi e ad avviare la ricostruzione del paese, sia deciso a prendere caso per caso i provvedimenti necessari anche a costo di ledere gli interessi costituiti e i privilegi della borghesia, del clero e dei ricchi e contravvenire alle loro abitudini e decisioni. Questi provvedimenti, combinandosi tra loro, grazie alla rinascita del movimento comunista porteranno all’instaurazione del socialismo. Se la borghesia e il clero, per cancellarli, oseranno ricorrere alla guerra civile, le masse popolari organizzate stroncheranno allora i loro tentativi.
Per la correlazione delle forze e delle organizzazioni di massa che la storia ha creato nel nostro paese, per la storia che essa ha alle spalle, per la natura e il ruolo che si ritrova, la FIOM è in Italia il centro naturale del movimento per la costituzione del GBP. Attorno ad essa devono aggregarsi e con essa devono combinarsi gli altri sindacati di categoria della CGIL che si sottraggono alla direzione della destra sindacale (Guglielmo Epifani, Susanna Camusso e gli altri “nipotini di Craxi”, già soci di Sacconi & C), i sindacati alternativi, tutte le Organizzazioni Operaie e tutte le Organizzazioni Popolari per costituire il GBP. La loro aggregazione infonderà ai dirigenti della FIOM il coraggio e la fiducia che ancora mancano loro per osare mettersi alla testa del movimento per costituire il GBP. Questa aggregazione e trasformazione avverranno man mano che individui e organismi, sulla base della loro esperienza e della propaganda svolta dai comunisti e dai lavoratori più avanzati, constateranno e si convinceranno che costituire il GBP è per ognuno la sola via per realizzare gli obiettivi particolari a cui i singoli organismi aspirano ed evitare le ancora più gravi distruzioni che a causa di questa crisi incombono sull’umanità. Questa aggregazione e trasformazione avverranno tanto più facilmente quanto più chiara sarà ad ognuno la grande e salutare lezione che l’esperienza storica del movimento comunista ci ha dato circa il percorso che l’umanità deve seguire per avanzare nel suo cammino plurimillenario di progresso e di civiltà.
Per questo, alla vigilia della grande manifestazione indetta dalla FIOM a Roma per sabato 16 ottobre, il CC del (nuovo) Partito comunista italiano distribuisce ai lettori dei suoi Comunicati l’intervista che il Segretario Generale del Partito ha rilasciato al mensile Resistenza del Partito dei CARC all’inizio di ottobre, in occasione del 6° anniversario della fondazione del Partito.
La manifestazione di sabato 16 ottobre non è principalmente una manifestazione sindacale. È la destra, interna ed esterna alla FIOM, che già boicotta e sabota l’adesione alla mobilitazione, che vorrebbe ridurne il significato a quello di una semplice manifestazione sindacale e di protesta. Noi comunisti al contrario dobbiamo con tutte le nostre forze fare in modo che la manifestazione di sabato sia quello che di meglio può essere: l’inizio di un nuovo livello di mobilitazione per la costituzione del Governo di Blocco Popolare.
il Comitato Centrale del (nuovo) Partito comunista italiano
L’intervista
Sesto anniversario della fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano
L’instaurazione del socialismo è l’unico modo per uscire definitivamente dalla crisi attuale
I comunisti possono portare a compimento l’opera interrotta nel secolo scorso
Per porre fine alla crisi in corso, bisogna instaurare il socialismo. Ma durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso, nel corso della prima crisi generale del capitalismo, in nessun paese imperialista i comunisti hanno instaurato il socialismo. Perché pensate di riuscirci ora?
I comunisti, i nostri predecessori non sono riusciti a instaurare il socialismo in nessun paese imperialista, né negli USA, né in Germania, né in Italia o in altri paesi dell’Europa occidentale, essenzialmente per tre motivi connessi e convergenti. Erano limiti della comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe che impedirono ai comunisti di portare la lotta di classe fino alla vittoria. Noi li abbiamo individuati e ne abbiamo tirato le conseguenze: abbiamo elaborato una concezione del mondo più avanzata: il marxismo-leninismo-maoismo. Per questo potremo avanzare fino alla vittoria.
Quali sono quei tre motivi e le lezioni che ne abbiamo tratto?
1. In tutti i paesi imperialisti grazie all’impulso della Rivoluzione d’Ottobre (1917) e dell’Internazionale Comunista (fondata nel 1919), vennero creati partiti comunisti, basati sul marxismo-leninismo. Essi portarono la lotta contro la borghesia a un livello superiore sotto tutti gli aspetti rispetto a quello a cui avevano operato i partiti della Seconda Internazionale (1889-1914). Ma essi restarono ancorati a una concezione sbagliata del modo in cui sarebbe avvenuta la rivoluzione socialista. Avevano una strategia sbagliata. Pensavano che la società borghese prima o poi sarebbe esplosa. I partiti comunisti si preparavano ad approfittare dell’evento per instaurare il socialismo. Così sarebbe avvenuta la rivoluzione socialista. In attesa dell’evento, i partiti comunisti denunciavano su grande scala le malefatte del capitalismo e propagandavano il comunismo e il socialismo come prima fase del comunismo; promuovevano lotte rivendicative (sindacali e d’altro genere) delle masse popolari e in particolare degli operai contro i padroni e le loro autorità; creavano organizzazioni di massa rivendicative e culturali aggregate attorno al partito comunista che era il loro stato maggiore; dove il regime lo consentiva, dove non c’erano regimi fascisti, partecipavano alla lotta politica che i partiti borghesi conducevano tra loro. Pensavano che prima o poi, a seguito degli avvenimenti e delle situazioni determinati dalla stessa classe dominante e dell’azione preparatoria dei comunisti, sarebbe scoppiata una qualche rivolta popolare su larga scala nel corso della quale il partito comunista grazie al lavoro condotto avrebbe preso il potere instaurando il socialismo e avviando così la transizione dal capitalismo al comunismo. Era grosso modo la strategia prevalente già nella Seconda Internazionale.
Inutilmente F. Engels nel 1895 aveva gettato l’allarme e mostrato che, a differenza di quanto era avvenuto per le rivoluzioni borghesi contro le monarchie assolute e i sistemi feudali, per sua natura la rivoluzione socialista doveva essere costruita dal movimento comunista già all’interno della società borghese. L’instaurazione del socialismo poteva avvenire solo come risultato di una guerra di tipo nuovo che la classe operaia e il resto delle masse popolari dovevano condurre già all’interno della società borghese. I comunisti dovevano mobilitare e organizzare le masse popolari a condurre questa guerra fino a creare un rapporto di forze tale da eliminare completamente il potere della borghesia e instaurare il potere della classe operaia, base e inizio del socialismo. L’esperienza della prima ondata della rivoluzione socialista, i successi del movimento comunista ma ancora più chiaramente proprio le sconfitte subite dal movimento comunista nei paesi imperialisti nonostante le lotte eroiche condotte (pensiamo solo alla guerra di Spagna (1936-1939) e alla Resistenza negli anni ’40 in Italia e in Francia), hanno pienamente confermato la concezione di Engels. Grazie al maoismo abbiamo elaborato in forma compiuta la tesi di Engels. Chiamiamo guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata quella guerra di tipo nuovo. Questa è la strategia della rivoluzione socialista, valida per ogni paese, la strategia universale che i comunisti devono in ogni paese sviluppare in modo particolare sulla base delle condizioni particolari sue proprie. Il (n)PCI segue questa strategia, sta attuando la rivoluzione socialista in Italia. Il Partito ha illustrato questa strategia nel suo Manifesto Programma (capitolo 3.3.) stampato nel 2008 dalle Edizioni Rapporti Sociali. Senza una strategia giusta, il partito comunista combatte alla cieca. È difficile che possa vincere. Tanto più in un paese imperialista dove la borghesia è più forte che nei paesi oppressi e anche di quanto lo fosse nell’Impero Russo. La concezione sbagliata della forma della rivoluzione socialista è quindi il primo dei tre motivi. La mancanza di una giusta strategia venne aggravata dagli altri motivi.
2. Il secondo è la concezione sbagliata che i partiti comunisti avevano della crisi nell’epoca imperialista del capitalismo. Lenin all’inizio del Novecento aveva illustrato la natura dell’epoca imperialista e i tratti nuovi che il sistema capitalista aveva assunto. Però nessuno dei partiti comunisti dei paesi imperialisti ne trasse le conseguenze relativamente alla natura della crisi generale del capitalismo. Rimasero ancorati alla illustrazione e alla spiegazione che Marx aveva dato delle crisi cicliche decennali che il sistema capitalista aveva attraversato nella prima parte dell’Ottocento: usavano dogmaticamente l’insegnamento di Marx. Ancora oggi, nella bufera della seconda crisi generale del capitalismo, molti partiti e gruppi comunisti, persino gruppi che si dicono maoisti, di fronte alla crisi in corso ripetono quello che Marx aveva detto delle crisi cicliche dell’Ottocento: si ostinano a ripetere che stiamo attraversando una crisi ciclica come quelle. Questo benché Engels già nel 1886 avesse chiaramente indicato che l’ultima di quelle crisi cicliche era scoppiata nel 1867. Nell’epoca imperialista le oscillazioni cicliche negli affari economici sono diventate più frequenti, ma sono sfasate da un paese all’altro e si sono attenuate: in qualche misura si compensano da un paese all’altro nell’ambito del sistema imperialista mondiale e l’intervento degli Stati nell’economia crea diversi antidoti agli alti e bassi (ammortizzatori sociali, spesa pubblica, ecc., in generale le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale che nei paesi imperialisti sono molto sviluppate). L’economia procede sempre, come nell’epoca preimperialista, per alti e bassi meno accentuati, ma sono entrate in campo crisi generali per sovrapproduzione assoluta di capitale. Queste crisi sono dovute al fatto che i capitalisti non impiegano nella produzione di merci tutto il capitale che vengono accumulando, perché se lo facessero estorcerebbero ai lavoratori una massa di plusvalore inferiore a quella che estorcono impiegandone solo una parte. Nelle crisi cicliche la caduta degli affari crea di per se stessa le condizioni per una ripresa degli affari: la classe dominante di ogni paese, anche quella dei paesi dove il modo di produzione capitalista assorbe gran parte della popolazione che quindi è coinvolta direttamente nella crisi, per mantenere l’ordine pubblico deve solo far fronte per un certo periodo con ammortizzatori sociali e altri interventi pubblici agli effetti più negativi e più gravi della crisi sulle masse popolari e sull’ordine pubblico. Le crisi generali invece si risolvono solo sul piano politico, con sconvolgimenti degli ordinamenti nei singoli paesi e a livello internazionale, instaurando nuovi sistemi politici: quindi o rivoluzioni o guerre o una combinazione delle due. Per questo tutti i provvedimenti e i progetti per rimediare a queste crisi restando sul piano economico, sono destinati al fallimento. Sono solo pezze che consentono di tirare un po’ in lungo, mentre il male si aggrava. Per loro natura le crisi generali sono crisi di lunga durata e la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia adatta a queste crisi. I partiti comunisti dei paesi imperialisti non erano consapevoli della natura del nuovo tipo di crisi, proprio dell’epoca imperialista. Questo li portò a linee politiche inadeguate, ad esempio nel trattare la contraddizione con i riformisti, con i sindacati e col movimento cooperativo. Noi siamo ben consapevoli della natura della crisi generale in corso. Ne abbiamo tratto e ne traiamo le conseguenze politiche, nella nostra linea di lotta politica. Questo è il secondo dei tre motivi, che rese ancora più difficile il successo dei partiti comunisti.
3. Il terzo è la concezione sbagliata, arretrata dei regimi politici che i più avanzati dei paesi imperialisti si erano dati e che nel secondo dopoguerra, risolta grazie alla rivoluzione e alla guerra la prima crisi generale, la borghesia ha esteso a tutti i paesi imperialisti. Di fronte alla minaccia del movimento comunista, la borghesia a partire dagli USA dall’inizio del Novecento ha gradualmente messo in atto un sistema di misure economiche, politiche, culturali e militari per prevenire lo sviluppo del movimento comunista, per impedire che cresca oltre un certo livello elementare: noi comunisti li chiamiamo regimi di controrivoluzione preventiva. Sono descritti nel nostro Manifesto Programma (capitolo 1.3.3.). Non è possibile costruire la rivoluzione socialista senza tener conto di questi regimi. È impossibile neutralizzare i loro effetti controrivoluzionari senza conoscerli.
L’incomprensione della natura dei nuovi regimi aggravò gli effetti dei due motivi prima indicati. Noi abbiamo tratto le lezioni degli insuccessi della prima ondata e quindi avanziamo con fiducia verso la vittoria. La rinascita del movimento comunista è in corso in tutto il mondo, non solo nel nostro paese. Avviene sulla base della acquisizione della coscienza dei motivi degli insuccessi e della conseguente elaborazione della concezione del mondo e della linea necessarie, superando il dogmatismo che ancorava i partiti comunisti a concezioni e a linee inadeguate alle condizioni, alle forme e ai risultati della lotta di classe. È questa concezione che ha permesso a noi di impostare in questi ultimi tempi, di fronte al precipitare della crisi generale, di fronte alla sua fase terminale iniziata nel 2007, la linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare: un mezzo realista, dato il livello a cui è la rinascita del movimento comunista nel nostro paese, per far fronte agli affetti più gravi della crisi e potenziare la rinascita del movimento comunista onde arrivare alla instaurazione del socialismo, unica soluzione definitiva della crisi in corso.
Resta però il fatto che i primi paesi socialisti, instaurati durante la prima ondata della rivoluzione proletaria sono finiti male. Su quale base sostenete che i paesi socialisti che formerete resteranno in piedi e condurranno in porto la transizione dal capitalismo al comunismo?
In effetti i primi paesi socialisti, dopo un periodo di sviluppo e di grandi successi (l’epoca di Lenin e Stalin in Unione Sovietica, l’epoca di Mao in Cina), hanno attraversato un periodo di decadenza e infine sono in gran parte o crollati (Unione Sovietica e Democrazie Popolari dell’Europa Orientale) o hanno cambiato colore (Cina). Il fatto è grave ma non sconvolgente: la storia umana non è finita. Nella storia umana ogni rivoluzione si è affermata solo per tentativi, superando insuccessi. Duecento anni fa, nel 1815, la rivoluzione borghese in Europa sembrava sconfitta definitivamente. La Restaurazione (Congresso di Vienna) aveva ristabilito gli ordinamenti feudali in ogni angolo d’Europa. Ma nel giro di poco più di 30 anni, a partire dal 1848, la rivoluzione borghese vinse in tutta Europa, fino ai confini dell’Impero Russo di allora e in pochi decenni si affermò definitivamente.
La sconfitta subita dal movimento comunista nella seconda parte del secolo scorso ha riproposto all’umanità, in forma più grave, i problemi che essa deve superare instaurando il socialismo. Per sua natura la rivoluzione socialista è una trasformazione molto più profonda della rivoluzione borghese. È la fine della divisione dell’umanità in classi di sfruttati e di sfruttatori, di oppressi e oppressori. Una divisione che è iniziata nella preistoria e domina tutta la storia umana, da più di 5 mila anni in qua. Quindi è nella natura delle cose che trionfi definitivamente e a livello mondiale solo per tentativi, superando sconfitte, provando e riprovando. L’umanità deve scoprire e imparare, deve trasformarsi. La borghesia grida alla sconfitta definitiva del movimento comunista: è un’arma di guerra, per impedire la rinascita del movimento comunista. Le persone di carattere debole e la parte più arretrata delle masse popolari subiscono l’iniziativa della borghesia. Ma l’umanità deve risolvere i problemi creati dalla nuova crisi generale del capitalismo che imperversa a livello mondiale, una crisi iniziata più di 30 anni fa, entrata nella fase terminale nel 2007, con la crisi finanziaria scoppiata negli USA e oramai diventata crisi economica mondiale. Alla crisi generale si aggiunge la crisi ambientale: anche a questa l’umanità deve dare soluzione. È la prima volta che si presenta nella storia dell’umanità. È un risultato dello sviluppo che l’umanità ha compiuto nell’ambito del sistema capitalista. Non è possibile risolverla nell’ambito di questo sistema. I tentativi di farlo sono pezze provvisorie o progetti campati in aria.
Certamente, la decadenza e il crollo dei primi paesi socialisti scoraggiano molti dal crearne di nuovi. Anche se non c’è nessuna altra alternativa al capitalismo. Tutti i tentativi di elaborare per l’umanità prospettive alternative al capitalismo ma differenti dall’instaurazione del socialismo, hanno dato e danno luogo, nel migliore dei casi, alla riproposizione di progetti più o meno confusionari di miglioramento del capitalismo già tentati nei paesi capitalisti dal movimento socialista, prima della nascita del movimento comunista 160 anni fa. L’esperienza dei primi paesi socialisti, a chi la studia per imparare, insegna invece come bisogna procedere perché i nuovi paesi socialisti abbiano successo, segnino il superamento definitivo e a livello mondiale del capitalismo.
I primi paesi socialisti sono stati instaurati in paesi arretrati dal punto di vista dello sviluppo del capitalismo. Erano paesi che facevano parte del sistema imperialista mondiale, ma non erano alla sua testa. Erano paesi oppressi, nell’ambito del sistema imperialista mondiale. Per il movimento comunista vincere in questi paesi fu relativamente più facile che vincere nei paesi imperialisti. Ci riuscì nonostante i limiti che ho indicato prima. La vittoria nei paesi oppressi valse a imprimere un grande slancio al movimento comunista in tutto il mondo, anche nei paesi imperialisti. Ma non bastò per vincere a livello mondiale. La borghesia, le altre classi dominanti e il clero, in particolare la Chiesa Cattolica che dalla fine dell’Ottocento sotto la guida di Leone XIII si è messa al seguito e al servizio della borghesia, riuscirono a venire a capo della minaccia che incombeva sul loro sistema di privilegi e di sfruttamento. Per questo oggi siamo di fronte alla seconda ondata della rivoluzione proletaria. Dobbiamo in un certo senso ricominciare daccapo, ma a un livello di esperienza e di conoscenza superiore: il marxismo-leninismo-maoismo.
Consideriamo i primi paesi socialisti e vediamo gli insegnamenti principali che essi ci danno. Li ricaviamo dall’analisi dei loro successi iniziali e della loro successiva decadenza fino al crollo o al cambiamento di colore.
I primi paesi socialisti dovevano funzionare come basi rosse per la rivoluzione proletaria mondiale. Per un certo tempo svolsero questo compito. Ma esso implicava che la rivoluzione socialista si sviluppasse nei paesi imperialisti e nel resto del mondo. Abbiamo già visto perché non si è sviluppata.
Inoltre ognuno dei primi paesi socialisti doveva trasformarsi in modo da superare il sistema di rapporti sociali vigenti e andare verso il comunismo. In sintesi doveva trattare le contraddizioni che ereditava. Quali erano le principali? Noi comunisti le riassumiamo in sette: 1. tra dirigenti e diretti, 2. tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, 3. tra lavoro organizzativo e lavoro esecutivo, 4. tra città e campagne, 5. tra uomini e donne, 6. tra adulti e giovani, 7. tra paesi, regioni e settori avanzati e paesi, regioni e settori arretrati. Ogni paese socialista dovrà trattare queste contraddizioni: esse riassumono il superamento delle divisioni dell’umanità in classi, del sistema produttivo da cui esse derivano, delle relazioni sociali che ne derivano, delle idee e dei sentimenti che nel loro ambito gli uomini concepiscono ed elaborano.
La vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti avrebbe aiutato i primi paesi socialisti ad avanzare nella trasformazione di se stessi. Il socialismo è un periodo di transizione, una fase della storia dell’umanità. Guidata dalla classe operaia e dal suo partito, essa dovrà trovare e troverà soluzioni particolari e concrete, paese per paese e di momento in momento per avanzare fino a fondare a livello mondiale la nuova umanità comunista. La specie umana è una specie animale dotata di intelligenza e di capacità di trasformarsi sul piano intellettuale e morale, di trasformare il suo sistema di relazioni sociali. Non c’è dubbio che troverà soluzioni adeguate, necessarie per la sua sopravvivenza. Solo i nemici per imbrogliare e per difendere il sistema dei loro privilegi, possono sostenere che non le troverà, che non riuscirà ad andare oltre il punto morto in cui è arrivata col capitalismo. Solo persone semplici di spirito possono credere che le soluzioni siano a portata di mano, ovvie. Certamente non cadono dal cielo. Non ci sono verità rivelate. La specie umana costruisce la sua storia sulla base della sua esperienza. La concezione comunista del mondo è la scienza della trasformazione in corso. È una scienza sperimentale. Più e più volte nel corso del socialismo saremo tentati di dare ai problemi della società socialista soluzioni borghesi, arretrate, suggerite dalla tradizione e dall’abitudine, che in qualche modo caso per caso per un po’ funzionano, se non si considerano abbastanza gli effetti che producono sembrano buone soluzioni. I primi paesi socialisti hanno fatto fronte vittoriosamente all’aggressione dei paesi imperialisti, ma sono decaduti proprio perché si moltiplicarono i casi in cui, per l’arretratezza dei comunisti e sotto l’influenza della borghesia, le nuove classi dirigenti diedero soluzioni borghesi ai problemi che i paesi socialisti incontravano nel loro sviluppo. I revisionisti moderni, da Kruscev in Unione Sovietica dal 1956 a Teng Hsiao-ping in Cina dal 1980, promossero sistematicamente l’adozione di soluzioni borghesi. Queste moltiplicandosi e prolungandosi nel tempo portarono alla decadenza e in definitiva al crollo o al cambiamento di colore: la quantità si trasforma in qualità. È questo l’insegnamento che la lotta condotta dai comunisti cinesi capeggiati da Mao Tse-tung ha dato al movimento comunista di tutto il mondo.
La decadenza e il crollo dei primi paesi socialisti è stata una tragedia. L’umanità non si troverebbe al punto in cui siamo oggi in campo economico, ambientale, intellettuale, morale e delle relazioni sociali nei singoli paesi e in campo internazionale, se i primi paesi socialisti non fossero decaduti. Se il movimento comunista avesse superato in tempo utile i suoi limiti di comprensione del mondo, della storia che l’umanità sta facendo. Li abbiamo superati solo dopo, grazie alla tragica esperienza dei primi paesi socialisti. Ma li abbiamo superati e i nuovi paesi socialisti potranno procedere con successo ad adempiere al loro compito storico. Per questo affrontiamo con fiducia la lotta che stiamo conducendo.