[RSF] Verso Cancun

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Szerző: Angelica Romano
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Címzett: delgiudice
Tárgy: [RSF] Verso Cancun




Giovedì 30 settembre ore 17:30 palazzo Corigliano



la rete lilliput Napoli invita tutte le associazioni, i gruppi, i
coordinamenti, i collettivi, i sindicati e i cittadini ad un incontro per
costruire un coordinamento campano in vista del vertice di Cancun che si
terrà dal 29 novembre al 10 dicembre 2010.



Vi invitiamo, inoltre, ad aderire all'iniziativa e a sottoscrivere il
documento che segue preparato a livello nazionale.



VERSO CANCUN. CAMBIARE IL SISTEMA NON IL CLIMA

Lo scorso 5 giugno diverse realtà e soggetti, in rappresentanza di comitati,
associazioni, sindacati, reti sociali di tutto il paese, si sono incontrati
a Roma per discutere di come affrontare anche in Italia quella che è stata
definita la più grave minaccia per l’umanità: i cambiamenti climatici.



Da qui è nato un percorso per la costituzione della “Rete italiana per la
giustizia ambientale e sociale”.



In questo momento sono oltre 600 milioni gli esseri umani colpiti e
centinaia di migliaia quelli che perdono la vita a causa dei cambiamenti
climatici. A Cochabamba, in Bolivia, lo scorso 22 aprile durante la prima
Conferenza Mondiale dei Popoli per la Giustizia Climatica ed i Diritti della
Madre Terra i movimenti sociali e la società civile internazionale hanno
elaborato una dichiarazione chiamata “Accordo dei Popoli”.



È il primo manifesto in questo millennio che cerca di affrontare in maniera
completa le responsabilità, le cause ed individuare concretamente misure
efficaci per affrontare e risolvere la crisi ecologica della nostra casa
comune. Le proposte in esso contenute, insieme agli spunti emersi a
Cochabamba dalla Mesa 18, pienamente da noi tutti e tutte condivise, saranno
la base sulle quali ci recheremo a Cancun, in Messico, durante l’ultima
settimana di novembre e la prima di dicembre, quando si terrà il prossimo
COP 16 (Conference of the Parties) delle Nazioni Unite sui Cambiamenti
Climatici.



Dopo il fallimento vergognoso del COP 15 di Copenaghen, che ha dimostrato
tutta l’incapacità dell’attuale governance ad affrontare le crisi, il
prossimo appuntamento potrebbe segnare una tappa decisiva in cui i movimenti
e i popoli del mondo devono poter giocare un ruolo centrale. Non possiamo
permetterci altri ritardi visto che le ferite inflitte alla Terra mettono
già adesso seriamente in pericolo l’umanità. Pericoli e catastrofi riassunte
in maniera ormai evidente dai dati sulle crisi in tutto il mondo. Crisi che
sono il frutto di politiche e scelte portate avanti dal modello economico
capitalista, responsabile di una crisi strutturale inedita che investe tutta
l’umanità, dal sud al nord del globo. Allo stesso tempo, infatti,
affrontiamo oggi crisi economica, finanziaria, ecologica, energetica,
migratoria ed alimentare. Mai prima d’ora l’umanità è stata costretta ad
affrontare problemi così complessi ed interdipendenti tra loro.



La crisi globale che stiamo attraversando è crisi di questo sistema: una
crisi che è contemporaneamente di sovrapproduzione, almeno per determinati
beni (non coperti dai redditi necessari per accedervi) e di

sottoproduzione, per tanti bisogni sociali che restano insoddisfatti, e
questo vale sia per il sud del mondo che per i paesi industrializzati.



Per questo non è possibile oggi affrontare la crisi ecologica ed i
cambiamenti climatici generati dal modello capitalista all’interno di una
lettura parziale che vede ancora “l’ambiente” come una questione secondaria
e non collegata alla crisi economica, sociale e democratica, ancor più
visibile in un paese come il nostro.



Crediamo che, mettendo al centro il rispetto per la vita e la Natura, sia
ancora possibile affrontare e cominciare a risolvere allo stesso tempo tutte
le crisi.



La narrazione che nel nostro paese riceviamo sulle crisi, appare sempre più
stonata e lontanissima dalla realtà e dai ragionamenti che in molte parti
del mondo si fanno per trovare risposte. Come se le posizioni fossero
cristallizzate e non si possa assolutamente discutere della maniera in cui
uscire dalla crisi.



Quella che continua ad esserci propinata come soluzione, è una

controproducente idea di uscire magicamente dalla crisi attraverso la
crescita economica e la deregulation nei settori chiave dello Stato insieme
all’eliminazione di qualsiasi vincolo alla libertà d’impresa.



Ma come è possibile sostenere un’idea sfrattata anche dalla storia
dell’economia mondiale, visto che è impossibile immaginare e teorizzare la
crescita economica infinita a fronte di un mondo con risorse e beni finiti?



La drammatica crisi ecologica è proprio lo specchio di questa posizione
dogmatica che continua a guidare la maggior parte delle scelte della
politica.



E’ necessario cambiare il paradigma dello sviluppo. Un altro modello di
sviluppo è contemporaneamente questione economica, ambientale, sociale, è
una sfida per la sostenibilità nel senso più esteso. Investe la questione
dell’uso delle risorse e delle fonti energetiche, le tipologie dei prodotti,
della mobilità, delle città, dei modelli sociali e degli stili di vita.
Dovrebbe affrontare la capacità di scelta dell’uso più razionale ed
appropriato delle risorse, la programmazione di cosa far crescere e cosa
invece far decrescere, in un modello produttivo e di consumi che sostituisca
l’identità basata su ciò che si possiede e si consuma individualmente, sul
valore del “ben vivere” per tutti.



Un obiettivo ambizioso, che passa per la riconversione dell’attuale modello
di produzione e di consumo prevalente, che non può essere fatto con un
approccio idealista, né con un’imposizione autoritaria. Serve la
progettazione comune di tutti i soggetti che, partendo dalle proprie
specificità, hanno la necessità di cambiare lo stato di cose esistenti, per
tornare a porre la questione del “cosa, come, per chi produrre”. Ma per
modificare sul serio i modelli di sviluppo e i cicli produttivi, servono
insieme interventi e competenze esterne e la partecipazione attiva e
consapevole di chi opera all’interno dei cicli produttivi, quindi dei
lavoratori e delle loro rappresentanze.



E come è possibile lasciarsi guidare dalla mano (in) visibile delle imprese
per organizzare e gestire la distribuzione di beni e servizi indispensabili
per assicurare dignità e coesione sociale tra la

popolazione?



E come possiamo pensare di costruire una società del lavoro senza la
possibilità di fare delle serie politiche del lavoro che sposino come un
vantaggio, e non un limite, la valorizzazione e la protezione della natura e
dei beni comuni?



La contrapposizione tra lavoro e ambiente continua ad essere la

semplificazione che permette di non affrontare e rimandare quello che è
ormai sotto gli occhi di tutti e tutte: il fallimento del modello

economico dominante e della governance globale che in questi ultimi venti
anni ha aumentato la fame, la sete, le guerre, la distruzione ambientale, la
povertà, la disoccupazione, le mafie, le migrazioni ambientali, le
violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.



Siamo convinte/i che solo ponendo queste questioni con la necessaria
radicalità si possano avviare altri scenari per uscire dalle crisi, questa
battaglia dovrà trovare il massimo di convergenza tra tutti i movimenti e i
soggetti sociali, politici, istituzionali disponibili, partendo già dal
prossimo vertice di Cancun.



Vogliamo affrontare la crisi ecologica non con l’idea di “cambiare” il clima
ed avviare l’ennesima privatizzazione, questa volta della biosfera, ma
impegnandoci a cambiare il “sistema” attraverso una nuova Democrazia della
Terra.



C’è una connessione anche in Italia tra l’arroganza e l’autismo della
politica classica e la sua incapacità ad opporsi a un sistema

antidemocratico e costruirne uno alternativo. Una politica incapace di
essere rappresentativa della cittadinanza, passivamente eterodiretta spesso
suo malgrado, non disponendo di reali strumenti partecipativi. C’è
connessione tra l’aumento della disoccupazione, la precarietà del lavoro e
della vita, l’imbarbarimento sociale, la distruzione del nostro spazio
bioriproduttivo, l’urbanizzazione selvaggia, le leggi finanziarie classiste
che attentano all’unità del paese ed all’impianto valoriale della nostra
Costituzione, le privatizzazioni dei beni comuni e delle aziende
municipalizzate, la proposta di ritorno al nucleare (grave dal punto di
vista della sicurezza ambientale e sanitaria oltre che

sconveniente dal punto di vista economico) tagliando contemporaneamente le
risorse per lo sviluppo delle energie rinnovabili, l’aumento della
corruzione e del potere delle mafie giunte a un livello senza precedenti di
penetrazione e collusione col sistema a danno di ogni bene comune, ambiente,
sviluppo, lavoro, diritti e cultura. Queste connessioni misurano il
fallimento delle proposte politiche in campo per affrontare le crisi.



La Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale, sostiene come sia
indispensabile per rispondere alle emergenze ed alla deriva della

democrazia del nostro paese, lavorare per affrontare i nessi tra vecchie e
nuove lotte e mobilitazioni presenti ormai ovunque, con l’obiettivo di
costruire un orizzonte comune ed un’altra narrazione della politica, a
partire dalla sfida più grande che attende già oggi l’umanità tutta.



Il nostro obiettivo è dunque quello di contribuire a salvare la nostra casa
comune, la nostra Terra Madre ed allo stesso tempo dare voce e forza a
quella parte del nostro paese che si batte giornalmente per la giustizia
sociale ed ambientale, costruendo uno spazio pubblico aperto a tutti i
soggetti che sentono propria questa necessità e questa aspirazione di
cambiamento.



Nel nostro paese sono tantissime/i le donne e gli uomini impegnate/i
giornalmente a difendere i beni comuni, il diritto al lavoro, i propri
territori, la possibilità di scegliere criticamente i propri consumi, con
stili di vita responsabili e la possibilità di tornare a partecipare alle
scelte che incidono concretamente nelle nostre vite.



È per questo che crediamo possibile anche in Italia costruire una “Geografia
della speranza” capace di rappresentare oggi l’alternativa concreta in grado
di unire il locale al globale ed uscire dalla barbarie alla quale questo
modello e questa classe dirigente vogliono condannarci.



Pensiamo quindi opportuno, per estendere ed approfondire il lavoro della
rete, proporre per fine luglio un momento di approfondimento e di

autoformazione nella città de l’Aquila, colpita dal sisma della mala
politica, dalla speculazione e dal mal affare, ma capace con i suoi
cittadini di promuovere forme di ricostruzione sostenibile non solo delle
case ma del senso stesso della comunità e della democrazia.



Così come ci impegniamo a sostenere e promuovere le mobilitazioni contro la
costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, costruendo ed

analizzando i nessi tra le lotte contro la mafia, le megaopere ed il
recupero della parola e del protagonismo sociale dei movimenti e delle nuove
soggettività nel sud Italia impegnate nella lunga Marcia della Memoria.



E naturalmente continueremo a sentirci direttamente impegnati nella campagna
referendaria per la ripubblicizzazione dell’acqua che ha visto in questi
mesi l’emersione di una straordinaria partecipazione popolare in tutti i
territori del paese.



Per arrivare al 23 e 24 ottobre all'incontro a Teano dove la cittadinanza
attiva italiana si ritroverà per discutere della situazione italiana e
planetaria anche in vista di Cancun (29 novembre - 10 dicembre 2010).