" il manifesto"
FUORIPAGINA
23/09/2010
|
Marco Cinque
Se il boia è americano
Dopo
aver giustamente protestato davanti alle ambasciate iraniane per la
sorte di Sakineh, quante organizzazioni abolizioniste, personalità
politiche e singoli nel mondo faranno lo stesso, per un semplice
principio di giustizia ed equità, davanti a quelle degli Stati uniti,
l'unico paese occidentale che ancora uccide legalmente i suoi cittadini,
ma pure tra i pochi al mondo a prevedere la pena capitale per i malati
mentali? A meno di un augurabile intervento di sospensione, una donna
oggi verrà assassinata dallo Stato della Virginia, non seppellita in una
buca, incappucciata e bersagliata con delle pietre non troppo grandi
per allungarne l'agonia, ma stesa su un lettino, trafitta con un ago
asettico e avvelenata con un mix letale. Il sistema che sinora
sembrerebbe il più incruento, certamente il meno costoso, ma
indubbiamente non il più indolore, malgrado lo si voglia far credere.
Sarà
la sorte assegnata alla 41enne Teresa Lewis e sul certificato di morte
(obbligatorio per le direzioni carcerarie) verrà apposta una crocetta
alla voce «omicidio», anche se i mandanti e gli esecutori fanno parte di
coloro che detestano e puniscono l'omicidio stesso, ma che restano e
resteranno, a differenza dei comuni mortali che si macchiano di
assassinio, totalmente impuniti e immuni da ogni responsabilità. In
definitiva, che siano giudici, giurie, governatori o semplici cittadini,
si arrogano il diritto di impartire una lezione di morte con la quale
pretendono di insegnare a non uccidere.
Teresa Lewis è stata
condannata all'età di 33 anni per la morte di suo marito e del
figliastro, uccisi da due killer da lei assoldati, il 30 ottobre 2003 a
Keeling, in Virginia. Agli autori materiali degli omicidi, Matthew
Shallenberger e Rodney Fuller è toccata invece una condanna
all'ergastolo. Alla luce delle sentenze emesse, sembrerebbe che essere
donna sia stata un'aggravante anziché un'attenuante, per di più la Lewis
- ora mamma e nonnna - è affetta da disturbi mentali acclarati, ma
anche questo non ha di certo impietosito coloro che l'hanno giudicata la
più colpevole tra i colpevoli.
Dal 1632 negli Stati uniti sono
documentate 567 esecuzioni capitali di donne. Secondo i dati le donne
uccidono molto meno e in modo meno cruento degli uomini, tranne rari
casi come quello di Aileen Wuornos, prima serial killer americana. Da
quando la pena capitale, dopo breve sospensione su tutto il territorio
Usa, venne reintrodotta da una sentenza della Corte Suprema a partire
dal 1976, sono state giustiziate 11 donne tra cui solo Judy Buenoano e
Lynda Lyon legalmente assassinate sulla sedia elettrica anzichè con
iniezione letale. Tra le sue ultime lettere la Lyon denunciava: «Mi è
stato detto che non rivedrò mai più mio figlio e mio marito, che
l'ultima camminata sulla Terra sarà verso la sedia elettrica. È una
morte terribile, il viso del condannato viene coperto da una maschera,
per nascondere l'orribile effetto sui lineamenti delle scariche da 2000
volt sparate nel corpo...». Quasi certamente Teresa Lewis sarà torturata
dalle stesse paure della Lyon, dallo stesso terrore che tocca tutti i
condannati e le condannate, dall'istante esatto in cui inizia il conto
alla rovescia che li separa dalla camera della morte.
Attualmente,
oltre ai più di 3200 condannati uomini in tutti gli Usa, sono 53 le
detenute che aspettano di finire nelle mani del boia per essere
ammazzate in nome dello Stato. Teresa Lewis forse resterà solo un nome
tra i tanti, un numero di matricola utile tuttalpiù a rinfoltire gli
allucinanti elenchi delle uccisioni istituzionalizzate e a rimpinguarne
le ferali statistiche.
L'avvocato della Lewis, James E. Rocap,
lunedì scorso si è appellato al Governatore McDonnell, chiedendogli di
riconsiderare la decisione di negare la grazia alla sua assistita e
appellandosi a nuovi elementi e prove che potevano scagionare la donna.
«Anche
oggi ho guadagnato da vivere, cara», chissà se dirà così alla moglie il
signore che infilerà l'ago, o magari quello che premerà il bottone; ma
anche tutti coloro che semplicemente assisteranno, quelli che metteranno
una firma per autorizzarne l'omicidio o quelli che le negheranno la
grazia. Teresa Lewis è una donna che dopo sette anni passati nel braccio
della morte non è certamente più la stessa di quella che è entrata. Non
possiamo saperlo, ma forse qualcuno potrebbe persino pensare che sia
comunque stata fortunata a nascere in un paese civile ed evoluto come
gli Stati uniti invece che in un regime odioso come l'Iran.
A
proposito: se è ovviamente strumentale la posizione di Ahmadi Nejad che
parla di Teresa Lewis, come definire il silenzio e la mancata iniziativa
su questo dei nostrani organismi umanitari contro la pena di morte?
Ugo Beiso
Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal