[Canale_633] Welcome back to the pisan jungle (era: Ritorno …

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Welcome back to the pisan jungle
(era: Ritorno alla parola)

Già da qualche giorno tutte le associazioni che compongono il Progetto
Rebeldía hanno ripreso le loro ordinarie attività dopo la pausa estiva.
Neanche ad agosto, comunque, gli spazi di via Battisti 51/633 erano
rimasti vuoti: abbiamo continuato a proporre alla città occasioni di
socialità e incontro per tutto il mese con assemblee, proiezioni,
dibattiti, cene.

Luglio si è chiuso con una sentenza del tribunale che dava altri 3 mesi
di tempo per trovare un nuovo spazio definitivo; abbiamo quindi scelto
il silenzio per tutto il mese di Agosto. Abbiamo reso pubblica questa
decisione, necessaria dopo un periodo molto intenso e faticoso. Dopo
mesi in cui abbiamo moltiplicato le parole, gli incontri, i tentativi di
dialogo, per far capire a tutti le ragioni delle nostre azioni, abbiamo
ritenuto fosse importante anche tacere, per tornare ad ascoltare.
Riprendiamo oggi la parola.

Lo facciamo rivolgendoci in primo luogo a quel vasto tessuto cittadino
che ci è stato sempre vicino, fatto di associazioni, gruppi, comunità,
persone, amici con cui abbiamo costruito negli anni un fitto e ricco
dialogo. Sentiamo nei confronti di tutti una forte responsabilità,
quella di chi sta conducendo uno stesso cammino, che ci ha portato a
momenti comuni molto importanti come l'assemblea pubblica del 30 giugno
scorso. È a questo grande pezzo di città, che qualcuno vuole dipingere
come minoritario e estremista, che ci rivolgiamo in primo luogo.

Vogliamo ricostruire gli ultimi passaggi che ci hanno portato alla
situazione attuale. «C'era una volta un Tavolo Tecnico…»: si potrebbe
iniziare così, partendo da quello che a nostro parere sarebbe stato lo
strumento ideale per giungere a una soluzione ottimale e condivisa, che
potesse essere una vittoria per la città. Un Tavolo in cui valutare in
maniera tecnica le esigenze delle associazioni e metterle a confronto
con tutte le possibilità offerte dagli Enti coinvolti (Comune,
Provincia, Università, ARDSU), senza pregiudizi o forzature di sorta.
Nonostante le numerose richieste, sollecitazioni, inviti da parte del
Progetto Rebeldía, il Tavolo Tecnico non è mai stato reputato dalla
Giunta Filippeschi una strada da percorrere seriamente e infatti non ha
avuto vita facile. Dispiace dire che la Giunta ha preferito agire in
maniera autoritaria, senza consultarci, provando a imporre con la forza
soluzioni inadeguate. Ha ottenuto solo buchi nell'acqua. Come è successo
con la manifestazione di interesse voluta ad ogni costo e contro ogni
buon senso dall'Assessora alle politiche sociali Maria Paola Ciccone nel
febbraio 2010, per la palazzina delle ferrovie di Via Saragat. Un bando
solo apparentemente aperto a tutte le associazioni pisane, da noi
denunciato come pilotato, non in grado di produrre soluzioni utili, uno
sperpero di denaro pubblico al solo fine di costituire un alibi per
l'assenza della politica di questa giunta (alla faccia della spesso
evocata e sempre temuta Corte dei Conti). Le nostre ragioni sono state
capite e condivise dalla città tanto che nessuna associazione ha voluto
partecipare! I due risultati ottenuti da questo goffo tentativo di
"amministrazione creativa" sono stati da un lato la
deresponsabilizzazione degli altri enti e dall'altro lo spreco di molti
mesi preziosi, mettendo così a rischio in ultima analisi lo stesso
progetto Sesta Porta.

Durante tutto questo tempo perso noi abbiamo continuato ad avanzare
proposte, nessuna delle quali però è mai stata presa seriamente in
considerazione, per partito preso, perché non era la loro proposta.
Ultima in ordine di tempo la proposta di trasferimento negli edifici
dell'ex-Gea/ex-Asnu in via Emanuele Filiberto, attualmente
sottoutilizzati. Non ci è stato possibile avanzarla prima vista
l'esplicita volontà dell'assessora Ciccone di non farci incontrare gli
altri enti, tra cui l'Università.

L'idea ha incontrato da subito i pareri favorevoli di associazioni
studentesche, di molti docenti, dei candidati al prossimo rinnovo della
carica di Rettore e di un ampio ventaglio di forze politiche, compresi
alcuni esponenti dei partiti di maggioranza in Comune e in Provincia.
Tutto faceva pensare che si potesse finalmente imboccare una strada
ragionevole, che impiegava razionalmente le risorse pubbliche attivando
una importante sinergia tra città e ateneo.
Purtroppo il Rettore uscente Marco Pasquali, senza nessun coinvolgimento
degli organi universitari, ha bocciato seccamente la proposta,
confermando la sua linea di chiusura assoluta nei confronti della città
e della comunità accademica e studentesca.
Purtroppo la Giunta ha scelto di legittimare un Rettore screditato, in
scadenza di mandato e che da tempo non rappresenta più nessuno, forse
per gli effetti della legge dell'attrazione delle oligarchie. Ne è
dimostrazione il fatto che l'Università ha posto il veto su una semplice
richiesta di sopralluogo, veto a cui si è immediatamente accodata
l'assessora Ciccone, quasi si trattasse di una casa di un privato
cittadino anziché di patrimonio pubblico.

Ormai la scelta da parte della Giunta Filippeschi era stata fatta:
bocciare unilateralmente qualsiasi proposta presentata dalle
associazioni e convocare alla Conferenza dei Servizi la Provincia,
l'Università e l'ARDSU, al solo fine di ratificare la scelta inadeguata
di via Saragat. Al Comune interessava solo dare una conferma a ciò che
aveva precedente fatto, per non ammettere l'errore del bando farlocco.

L'amministrazione della città è viziata da modalità autocratiche e
autoritarie, come ha ampiamente confermato la vicenda della delibera di
iniziativa popolare sul problema degli spazi sociali e culturali in
città, da noi depositata insieme alla Biblioteca Franco Serantini e
all'Arciragazzi ad aprile. Nella Sala delle Baleari purtroppo abbiamo
poi assistito a uno spettacolo desolante: dopo continui rinvii e 3
estenuanti sedute di Consiglio, la delibera è stata infine bocciata con
voto bipartisan ad eccezione del voto favorevole dei consiglieri di SEL
e del PRC. La maggioranza ha votato insieme al centro-destra senza
neanche effettuare dichiarazioni di voto, senza spiegare ai proponenti
le motivazioni del rifiuto. Il disprezzo da parte della Giunta di uno
strumento di dialogo tra cittadinanza e istituzioni comunali non poteva
essere espresso in maniera più chiara e distinta.

In questi quattro anni lo sforzo del Progetto Rebeldìa è sempre stato
quello di condurre una trattativa pubblica e trasparente, non essendo
disposti ad accordicchi, favori o intese sottobanco.
Siamo stati costretti a sollecitare continuamente l'amministrazione,
abbiamo sempre cercato di fare uscire allo scoperto la discussione,
perché la città potesse sapere e valutare quello che stava davvero
succedendo. L'assemblea pubblica del 30 giugno è stato il risultato più
alto di questo sforzo, in cui i cittadini e le associazioni hanno potuto
confrontarsi con amministratori ed esponenti politici, in un clima di
dialogo e ascolto. Le nostre esigenze di trasparenza (come nel caso del
bando su via Saragat), le nostre richieste di democrazia (come nel caso
del Consiglio comunale), le nostre pretese di ragionevolezza (come nel
caso del Tavolo tecnico) sono state definite dal ceto politico che
governa la città come arroganti e intollerabili. La logica è quella dal
sapore berlusconiano dell'obbedienza cieca e della demonizzazione del
dissenso interno ed esterno.

Ci hanno accusato di “fare politica”, di istigare all'odio verso le
istituzioni giornalisti, immigrati, gruppi musicali, studenti,
professori universitari, associazioni e chiunque prendesse una parola
che non fosse "sissignore". Ci hanno invitato a candidarci alle
elezioni; come se la politica – ovvero tutto ciò che riguarda la vita
pubblica – si esaurisse nel momento del voto, come se fosse cosa da
delegare a professionisti, come se loro ne avessero l'esclusiva e il
monopolio. Strano poi che chi ce l'ha tanto con l' ”antipolitica” usi
uno scandalizzato “ma voi fate politica!” come accusa infamante...

Di fronte a noi abbiamo visto il vero volto del loro potere che sa
muoversi solo con scelte effettuate nelle oscure stanze, attraverso
ordini giunti dall'alto, sempre più incapace di dialogare con la società
e persino di fare i conti con la realtà concreta delle cose.

In questo contesto la Giunta ci ha intimato di accettare la presunta
soluzione di sempre, via Saragat. Ha anche rispolverato – tanto per dire
che le proposte sono ben due! – un'idea malsana di più di tre anni fa,
ovvero dei capannoni in via San Jacopo adiacenti al depuratore, idea che
fu allora accantonata anche dalla precedente giunta perché la stessa
legge italiana vieta l'utilizzo di spazi vicini a vasche di depurazione;
uno spazio degradato, non accessibile per le nostre utenze,
difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici; una proposta offensiva
di rinchiuderci in un ghetto maleodorante.

Non è la prima volta che sosteniamo che si tratta di spazi insufficienti
e inadeguati. Sono cose che l'Assessora Ciccone sa bene. Il Comune
conferma con queste non proposte di non riconoscere il valore sociale
del Progetto Rebeldía: in questo modo il Comune di Pisa di fatto dice di
no al Progetto Rebeldía e lavora per il suo annientamento.

Ne prendiamo atto.

Siamo di fronte a una Giunta incapace di dialogare con la società,
quando questa non è d'accordo con le sue scelte. La parte di società che
non mostra condiscendenza non viene riconosciuta degna
dall'amministrazione. Viene invece derisa, dipinta come nemico,
demonizzata. Alla mancanza di ascolto si accompagna poi la mancanza di
partecipazione.

Si procede così a governare una città con un metodo che rimane
democratico nelle forme, ma che nella sostanza ha accenti autoritari. Il
disaccordo, la ricerca di un reale confronto non è accettata.

Pisa pare essere diventata una città dove non si può parlare dei
problemi, dove le scelte sono fatte passare sulle teste dei cittadini,
soprattutto le scelte importanti, quelle che ne modificheranno in
maniera sostanziale la vita. Non si può parlare dei rapporti con i
cittadini immigrati; con i cittadini Rom la Giunta ha addirittura
anticipato le politiche di "rimpatrio assistito" che oggi promuove la
Francia di Sarkozy riscuotendo la condanna dell'Unione Europea e il
plauso di Berlusconi. Il Vaticano e l'Europa possono criticare
aspramente lo Stato francese; se a Pisa un'associazione come Africa
Insieme critica il Comune, l'Assessore Ciccone parla di “istigazione
contro le istituzioni" e di diffamazione. Non si può parlare del nuovo
progetto dell'hub militare che riguarda l'aeroporto Dall'Oro a San
Giusto, né della naturalezza con cui si organizzano visite, durante
l'orario scolastico, delle classi delle elementari e delle medie nella
caserma della Folgore, propagando l'idea della "guerra umanitaria". Chi
critica queste iniziative o chiede che almeno si possano discutere,
viene messo alla berlina dal Comune. Il PD non trae insegnamento dai
suoi errori e imbocca la stessa strada intrapresa dalla Giunta di
Vicenza, che impose una base militare USA senza coinvolgere la
cittadinanza e finì per perdere le elezioni dopo mesi di contestazioni
pacifiste.

Come per le basi, così la riorganizzazione urbanistica viene fatta
procedere a colpi di variante, senza tenere conto di proposte,
osservazioni o qualsiasi forma di interazione con la società. Vedremo se
il Tar confermerà o delegittimerà questa maniera di modificare il
tessuto urbano. Da un lato l'amministrazione richiama i cittadini a
rispettare rigorosamente la legalità in maniera assoluta, dall'altro
sembra procedere spesso ai limiti di essa.

Quindi, Pisa è un laboratorio di che cosa?
Non è certo un laboratorio della pace, né della partecipazione.
Pisa sta diventando il laboratorio della paura.

La paura è il sentimento principale che sta cavalcando la giunta
Filippeschi incapace di convincere e raccogliere il consenso intorno
alle proprie scelte amministrative. In una fase molto delicata per la
politica nazionale, con una estrema confusione negli schieramenti,
cresce a dismisura il rischio di populismo: chi non ascolta la società e
non sa dialogare con essa finisce per confondere lo stomaco delle
persone con la loro testa e il loro cuore. Il risultato è di non
comprendere nell'azione politica il livello della complessità reale
della società. Il rischio è fare una politica che, inseguendo la paura,
cavalcandola, finisce per alimentarla, alimentando con essa gli scontri
e i conflitti sociali e rendendo infine la società meno sicura.

Abbiamo visto cosa è successo a Pisa anche con scelte "minori" come la
chiusura dei Lungarni e le proteste dei commercianti; abbiamo sentito
cosa hanno dichiarato i sindacati di Polizia, criticando l'approccio
securitario del Sindaco Filippeschi, fatto di ordinanze e appelli alla
sua sicurezza personale. Il potere rischia di rimanere prigioniero delle
sue stesse paure.

Noi vogliamo un'altra società e stiamo cercando di costruirla tutti i
giorni; una società dove la complessità e le diversità siano considerate
delle ricchezze e non dei problemi. In particolare a Pisa, una città
tranquilla, dove crediamo si potrebbero inventare e sperimentare delle
politiche sociali inclusive, delle politiche economiche redistributive.
Crediamo che un'altra Pisa sia possibile, proprio in virtù della
ricchezza del suo tessuto sociale, ma che abbia bisogno di un altro tipo
di politica: che si promuovano risposte strutturali ai problemi e non
azioni emergenziali, che si amministri in maniera realmente democratica.
Un Giunta che presti attenzione ai bisogni dei cittadini, che ne
incentivi la partecipazione, che riconosca la cittadinanza attiva anche
quando dice di no. Senza paura del confronto con il reale, senza paura
del confronto con la gente.

Fare politica non significa solo compilare delle liste elettorali per
candidarsi; fare politica significa promuovere una visione della
società. Gli esempi esistono: a Genova una Giunta espressione di una
maggioranza analoga a quella pisana ha votato una delibera in cui
riconosce e valorizza i quattro centri sociali presenti in città,
proprio per l'importanza delle attività rivolte alla cittadinanza, in
virtù del concetto di sussidiarietà orizzontale; a Bologna si promuovono
progetti di urbanistica partecipata, come quello dell'area dell'ex
mercato alla Bolognina; a Venezia Cacciari difende i Rom; a Roma Sandro
Medici requisisce le case sfitte.

Ricordiamo alcune attività e servizi che svolgono le associazioni del
Progetto Rebeldía: lo sportello legale per migranti, la scuola di
italiano per stranieri, i Gruppi di acquisto solidale, il commercio
equo, la palestra di arrampicata, la ciclofficina, la biblioteca, il
cinema, oltre agli incontri, ai dibattiti, ai concerti, agli spettacoli
teatrali, alle presentazioni e discussioni di libri, in uno scambio
continuo con la città e con i suoi abitanti. In tempi di crisi economica
e sociale sono una risorsa aggiuntiva di per sé; in tempi di crisi
politica possono e vogliono essere un esempio della necessità di
irrobustire il tessuto democratico della società, con strutture di
partecipazione che sappiano lavorare in autonomia e in sinergia. Il
Progetto Rebeldía si basa su principi di partecipazione, autogestione e
democrazia. Non servono tessere né statuti, ma ci sono regole
inderogabili: non si svolgono attività a fini di lucro, le decisioni che
riguardano la vita comune dello spazio passano attraverso la discussione
nell'Assemblea che riunisce tutte le associazioni del Progetto.

Pensiamo che la nostra battaglia non sia solo nostra, ma che riguardi
invece anche il resto della città, mentre il Comune cerca al contrario
di aizzare una trita "guerra tra poveri", un "divide et impera" tra
associazioni “buone” e “cattive”, ad esempio tra il Progetto Rebeldia
etichettato come "quelli che chiedono privilegi" (scordando che siamo
completamente autofinanziati e non abbiamo mai chiesto fondi
all'amministrazione, nè li pretendiamo, chiediamo solo spazio per fare)
e la Leopolda descritta come il modello associativo perfetto
(dimenticando che sono le stesse associazioni che compongono quel
cartello ad avere scarsissimo accesso a quegli spazi utilizzati molto
spesso come vetrina da Palazzo Gambacorti). Una guerra che per noi è
assai facile e naturale disertare.

È in gioco un pezzo importante della democrazia di questa città.
Crediamo che solo attraverso un rafforzamento degli strumenti
democratici si possa trovare una soluzione per il Progetto Rebeldía. Gli
obiettivi sono ambiziosi: responsabilizzare il ceto amministrativo al
riconoscimento dei bisogni di tutti, allargare il numero dei soggetti
coinvolti nei processi decisionali, moltiplicare gli strumenti di
partecipazione per utilizzare l'intelligenza collettiva della società.

Ma siamo convinti che il risultato ne varrebbe la pena: riuscire a
costruire insieme una città per tutti e non solo per alcuni.

Progetto Rebeldia - via Battisti 51/633

link diretto:
http://www.inventati.org/rebeldia/spazi-sociali/welcome-back-to-the-pisan-jungle.html