Come in tutta la sua storia, la Fiat si candida a
direzione del padronato italiano. Fu così nell'immediato secondo
dopoguerra, quando si pose alla testa della restaurazione padronale. Fu
così nell'autunno 80, quando fece da apripista dei licenziamenti
collettivi. Così è oggi: laddove punta non solo allo smantellamento del
contratto nazionale, ma alla ricomposizione, sotto la propria egemonia,
del grosso della borghesia italiana, su una linea di nuovo sfondamento
sociale.
Tuttavia esistono due importanti differenze col passato. La
prima sta nel contesto della crisi capitalistica mondiale e del nuovo
quadro di competizione globale, usata cinicamente dalla Fiat come arma
estrema di ricatto. La seconda sta nell'omologazione liberale del grosso
dell'«opposizione»: che vede un Pd confindustriale schierarsi di fatto
dalla parte di Marchionne contro la Fiom, al fianco del governo più
reazionario che l'Italia abbia avuto dai tempi di Tambroni. Per questo
lo scontro Fiat è oggi uno snodo tanto decisivo quanto difficile.
Ma
proprio questo quadro generale fa sì che lo scontro non possa essere
affrontato in termini convenzionali. Non è più tempo, se mai lo è stato,
di denunce o iniziative simboliche. Men che meno di divisioni
concorrenziali di sigla all'interno del sindacalismo di classe. È tempo
di lavorare a mettere in campo, unitariamente, una forza di contrasto
che sia radicale quanto è radicale l'offensiva della Fiat e del governo.
Questo è il punto decisivo. O si oppone alla determinazione di
Marchionne un'altra eguale e contraria, o la partita è segnata, con
effetti di trascinamento di lungo corso.
È con questa impostazione
che avanziamo all'insieme delle sinistre politiche e sindacali una
proposta aperta di riflessione e confronto, che preveda la più ampia
partecipazione alla manifestazione promossa dalla Fiom per il 16
ottobre, assumendola però non come rito, ma come punto di passaggio di
una mobilitazione generale, prolungata e radicale, che miri ad incidere
sui rapporti di forza tra le classi. Poniamo in sostanza l'esigenza
della generalizzazione della lotta, al massimo livello, in tutti gli
stabilimenti Fiat , e della ricomposizione attorno alla lotta Fiat
dell'insieme delle vertenze aziendali oggi in corso. Se Marchionne punta
all'egemonia del fronte padronale, la lotta Fiat può puntare al quella
del fronte operaio. Se punta allo scardinamento del contratto nazionale,
le sinistre sindacali e politiche possono preparare l'occupazione
operaia degli stabilimenti Fiat e di tutte le aziende che licenziano o
calpestano i diritti, accompagnata dalla costituzione di una cassa
nazionale di resistenza. Se Marchionne rivendica il diritto di
espropriare lavoro e diritti nel nome del profitto, i lavoratori possono
rivendicare la nazionalizzazione della Fiat e di tutte le aziende che
licenziano, senza indennizzo per gli azionisti e sotto controllo
operaio. Se Marchionne promuove la contrapposizione dei lavoratori
italiani agli operai polacchi, serbi, americani, le sinistre politiche e
sindacali possono lavorare ad una piattaforma operaia internazionale,
innanzitutto europea, tra tutti i lavoratori della Fiat (e non solo),
raccogliendo gli appelli che vengono da settori sindacali serbi e
polacchi. Una proposta «troppo radicale»? Al contrario. Solo un'azione
di rottura sociale, tanto più in tempo di crisi, può strappare risultati
parziali e concreti; mentre una rinuncia pregiudiziale al salto
concreto di mobilitazione moltiplicherebbe i rischi di una regressione
storica.
E sarebbe attuale anche sul piano politico. Il
berlusconismo sta attraversando una crisi esplosiva, per questo da un
lato riemergono le peggiori tentazioni plebiscitarie, dall'altro si
moltiplicano le manovre istituzionali di sottobosco tese a soluzioni di
ricambio (governi di transizione), sotto la benedizione di Bankitalia.
Con un esito paradossale: o la continuità (peggiorata) di Berlusconi o
la continuità delle politiche sociali di Berlusconi e Marchionne dentro
un «nuovo» quadro di governo borghese. In entrambi i casi una sconfitta
operaia.
Solo l'irruzione di un'autentica esplosione sociale - in
piena autonomia dal centrosinistra - può precipitare la crisi del
berlusconismo dal versante delle ragioni del lavoro. Non certo il mito
vendoliano di un'«Obama bianco», magari in ticket con Chiamparino,
mentre l'Obama nero esalta Marchionne.
* Segretario del Partito comunista dei lavoratori
da "il manifesto" del 3-agosto 2010
Ugo Beiso
Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal