[NuovoLab] 427° ora in silenzio per la pace

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Rete controg8 per la globalizzazone dei diritti
Mercoledì 4 agosto dalle 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale di
Genova, 427° ora in silenzio per la pace.
Incollo il volantino che verrà distribuito
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BOMBE "IED" FATTE CON MINE ITALIANE
Venerdì scorso a
Roma i funerali solenni dei due artificieri italiani uccisi da un
ordigno
artigianale (Ied). E tra i documenti pubblicati da WikiLeaks ne spunta
uno
davvero imbarazzante: molti di questi ordigni improvvisati sono
confezionati a
partire da vecchie mine italiane. Bombe anti-carro piazzate oltre
vent'anni fa
contro i sovietici ma ancora attive e finite nelle mani dei taleban
Sono
italiane
molte delle mine che esplodono ogni giorno sotto i blindati Nato, così
come
sotto i passi dei soldati. Italiani compresi.
Un
gigantesco
cortocircuito, che emerge dagli oltre 90mila documenti militari Usa,
diffusi
dal sito di controinformazione WikiLeaks. Migliaia sono i rapporti che
parlano
di Italia, e di questi, centinaia sono i resoconti di pattuglie o unità
di
artificieri, che parlano di una sola cosa: mine. Mine italiane e
congegni
artigianali ma micidiali, gli Ied («Improvised explosive
devices»), fabbricati dai
taleban con i nostri stessi ordigni.
Abbiamo reso un grande servizio all'Afghanistan: prima imbottito di
TC-6 («le
Ferrari dell'esplosivo anti-carro», stando agli esperti), poi percorso
dai
nostri blindati. Le strade afghane parlano di Italia a ogni chilometro.
Morti e
crateri inclusi. Unico neo: quegli «unsufferables» di Emergency (come
li definiscono
i rapporti Usa), che ricuciono i corpi dilaniati.
Il
database di
WikiLeaks parla chiaro. Il primo report disponibile a riguardo è datato
6
gennaio 2004. In una perquisizione all'interno di edifici governativi
che
dovevano ospitare medicine e cibo, viene scoperto un deposito di armi,
munizioni ed esplosivi. Tra questi alcune mine italiane anti-carro di
tipo 2.4
e TC-6. Da quella data si susseguono senza sosta le testimonianze dei
micidiali
Ied, in gran parte realizzati con parti di ordigni nostrani.
Sono
tre i tipi
di ordigni italiani sepolti in Afghanistan, e in totale rappresentano
un quarto
delle mine anti-carro. Le TC-6,
prodotte
dalla barese Tecnovar srl,
e le 2.4 e
Valmara 59
prodotte dalla Valsella Meccanotecnica
di Castenedolo, Brescia. Sono dispositivi
molto resistenti (durano oltre 50 anni sotto terra, molto più di
qualunque
protesi) e sono in grado di generare voragini ampie decine di metri.
Ma
come ci sono
arrivati lì questi ordigni? Il generale Franco Termentini, esperto di
bonifiche, non ha dubbi: «Sono lì da prima del
marzo 1989». Si tratterebbe,
insomma, di forniture di armi fatte
dagli americani agli insorgenti afghani in chiave anti-sovietica. Dopo
il
ritiro dell'Armata Rossa dall'Hindukush, le mine sono rimaste là e
negli anni
hanno costituito una vasta risorsa di esplosivi per i «nuovi nemici»
taleban,
dopo l'11 Settembre 2001. Lo conferma un ufficiale del Pentagono citato
dall'Asia Times: le TC-6 di fabbricazione italiana sono «assai comuni»
nelle
zone sotto il controllo taleban e «continuano a minacciare in modo
significativo le forze della Nato».
Ma
da quale
oscura fabbrica sono usciti questi strumenti di morte? Lo racconta Franca Faita,
ex operaia della Valsella Meccanotecnica.
 Un giorno il
fondatore di Emergency Gino Strada le presenta una cassetta piena di
mine TC-6
e Valmara 59 chiedendole se le conoscesse e a cosa servissero «A
difendere il
territorio dal nemico» dice Franca, perché questo le avevano detto.
Strada le
parla delle vittime civili, dei bambini. E Franca cambia idea. Con i
suoi
compagni in fabbrica lotta per chiedere la riconversione dell'azienda
in senso
civile. «Perché per lavorare e vivere dobbiamo costruire mine che
uccidono?»
chiedono. Alla fine, grazie a una legge approvata anche per gli sforzi
degli
operai, la Valsella smette di produrre esplosivi.
Ma
le mine
restano. Venerdì nella chiesa di S. Maria degli angeli e dei martiri a
Roma si
sono tenute le esequie del caporalmaggiore capo Pierdavide De Cillis e
del
maresciallo Mauro Gigli, i due militari morti mercoledì in Afghanistan
durante
la bonifica di un ordigno. I feretri sono stati accolti dal presidente
della
Repubblica Napolitano e dalle massime autorità.
Non
sappiamo se
la mina che stavano disinnescando fosse italiana, di derivazione
italiana o che
altro. E forse non importa. Non è infatti l'ironia del destino ad aver
portato
in terra afghana prima le mine e poi i blindati Nato, ma la stessa
cultura di
morte.
 da “il
manifesto” del 31-07-2010