[NuovoLab] Assalto alla Diaz, una violenza "mediatica"

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Assalto alla Diaz, una violenza "mediatica"
Le motivazioni della sentenza d´appello: il blitz deciso per riscattare l´immagine della polizia

I giudici: "L´enormità di questi fatti hanno gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero"
MARCO PREVE


Alla fine il massacro di decine di persone, gli illeciti commessi da super poliziotti e una ferita sociale che ancora non si è rimarginata, sono solo una questione "d´immagine". Tutto questo per poter annunciare in televisione un successo, regalare fiducia ai cittadini e ottenere garanzie per la propria carriera.
Ecco la notte cilena della Diaz nelle 313 pagine delle motivazioni della sentenza d´appello: «L´origine di tutta la vicenda - si legge - è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia (all´epoca Gianni De Gennaro, ndr) di riscattare l´immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall´invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell´ordine pubblico».
La terza sezione penale della Corte d´Appello (presidente Salvatore Sinagra, consiglieri Francesco Mazza Galanti e Giuseppe Diomeda) ricostruisce così la "macelleria messicana" del luglio 2001.
«L´esortazione ad eseguire arresti - si legge nella sentenza - di per sé considerata, anche fosse indicativa di rimprovero implicito per precedente colposa inerzia, sarebbe stata comunque superflua, essendo in ogni caso gli operatori di polizia giudiziaria tenuti ad eseguire gli arresti nella ricorrenza dei presupposti di legge...Ma anche per procedere alla perquisizione non è sufficiente un sollecito da parte del Capo della Polizia, bensì occorre pur sempre il sospetto della presenza di armi illegalmente detenute».
Eppure spiega la Corte d´Appello la polizia avrebbe dovuto capire che questa strategia era «fallimentare» come aveva dimostrato poche ore prima un´analoga perquisizione all´istituto Klee coordinata da Francesco Gratteri (oggi capo dell´antiterrorismo) con 23 arresti 21 dei quali erano stati immediatamente rimessi in libertà per mancanza di indizi.
Invece ecco la decisione di dare l´assalto alla Diaz: «Constatato l´esito disastroso dell´irruzione, l´inesistenza dei cosiddetti black bloc e l´assenza di armi, la necessità procedere agli arresti e di giustificare le numerose e gravi lesioni inferte, ha indotto i due massimi dirigenti (Gianni Luperi oggi capo dell´intelligence italiana e Fancesco Gratteri, ndr) che conducevano le operazioni a coordinare l´attività di confezionamento di un complesso di false accuse che fosse apparentemente idoneo a giustificare arresti e violenze». Da qui in poi le false accuse di resistenza, le false molotov, il falso accoltellamento di un agente. Da qui un passaggio pesantissimo della sentenza: «L´enormità di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero, non rende seriamente rintracciabile alcuna circostanza attenuante generica».
Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa Social Forum, e Lorenzo Guadagnucci, giornalista, una delle vittime del pestaggio alla Diaz, chiedono che i dirigenti condannati si dimettano. «Le motivazioni della sentenza di seconda grado - spiegano in una nota - confermano la ricostruzione storica dei fatti compiuta dai Pm e da sempre sostenuta dal movimento e dalle vittime. Questa esplicita attribuzione di responsabilità al vertice della polizia rende ancora più inopportuna la permanenza dei dirigenti condannati, a cominciare dal massimo livello, ai loro posti».

genova.repubblica
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«L'irruzione nella scuola? Ordine di De Gennaro per riscattare l'immagine del Corpo dopo le manifestazioni»
graziano cetaraGenova. Disonore. Tradimento. Le sentenze sono fatte di parole, migliaia. Qui ne bastano due a tracciare i confini, rappresentare l'anima e il senso di una condanna così drammatica e scomoda. La polizia ha tradito il «giuramento di fedeltà ai doveri assunti nei confronti della comunità civile». L'«ernormità» dei fatti di cui si è resa responsabile ha «gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero». Ecco il cuore della condanna per la sanguinaria irruzione alla scuola Diaz, il quartier generale del Genoa social forum durante il G8 del 2001, assaltato dagli agenti al termine di una due giorni di scontri e violenza di piazza.
Le motivazioni del ribaltone con il quale la terza sezione della Corte di appello ha spazzato via le assoluzioni di primo grado, sono state depositate ieri dal presidente Salvatore Sinagra, dal consigliere Francesco Mazza Gallanti e dal relatore Giuseppe Diomeda. Si attendeva di conoscere il perché del coinvolgimento dei vertici della polizia italiana. Il senso è chiaro: erano presenti ed erano i più alti in grado, «spediti a Genova espressamente da Roma per scalzare i funzionari genovesi dell'ordine pubblico». Di più: «L'origine di tutta la vicenda va individuata nella esplicita richiesta da parte del capo della polizia (Gianni De Gennaro, ora capo dei servizi segreti nonostante la condanna a otto mesi per l'istigazione alla falsa testimonianza dell'ex questore di Genova al processo Diaz) di riscattare l'immagine del corpo (dopo l'esito disastroso delle manifestazioni, ndr) e di procedere a tal fine ad arresti».
Avevano l'obbligo di impedire le violenze e non lo fecero. Per questo lo scorso 18 maggio è scattata la condanna per 25 imputati, tra i quali il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri (4 anni), l'ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini (5 ani), Giovanni Luperi (4 anni), Spartaco Mortola (3 anni e 8 mesi) e Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi). «Appare assurdo sostenere che coloro che avevano responsabilità di comando - scrive la Corte d'appello -, essendo entrati nella scuola a pochi minuti di distanza dall'irruzione, non abbiano visto e non si siano resi conto di nulla, quasi che l'azione si sia svolta attraverso flussi temporali e ambienti scollegati e isolati; appare, francamente, assurdo sostenere che chi ha avuto in mano un sacchetto di plastica contenente due bottiglie molotov non si sia posto il problema della loro provenienza».
Falsi e violenze che non meritano le attenuanti riconosciute in primo grado e motivate dalla stanchezza e dallo stress di quei giorni: «Il sangue quella notte è sgorgato a fiotti per ogni dove lasciando tracce» che nessuno poteva ignorare». Senza contare il comportamento durante il processo «improntato, nella migliore delle ipotesi, alla mera negazione di responsabilità, in quella peggiore a sostenere che le ferite erano pregresse. Nel processo si è assistito soltanto a un deplorevole scambio di accuse tra gli imputati e non una sola voce di rammarico per l'accaduto o un pensiero alle vittime si è levata».
Le lesioni? «Furono la conseguenza del consapevole uso della forza volutamente destinato a garantire il maggior numero possibile di arresti: tale scelta è il frutto di ponderata decisione, maturata anche dopo la manifestazione di perplessità iniziali da parte di alcuni funzionari». L'uso della forza generò una «violenza, generalizzata, continua e indiscriminata, perpetratasi anche con calcolata freddezza». I «tutori dell'ordine - chiude la sentenza si sono trasformati in violenti picchiatori, insensibili a qualunque evidente condizione di inferiorità fisica (per sesso o età delle vittime), agli atteggiamenti passivi e remissivi di chi stava fermo con le mani alzate, di chi stava dormendo e si era appena svegliato per il frastuono. Alla violenza si è aggiunto l'insulto, il dileggio sessuale, la minaccia di morte».

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antonio bruno.
capogruppo Sinistra Europea - PRC Comune di Genova
00393666756779