Auteur: Antonio Bruno Date: À: forumgenova, forumsege, forumsociale Sujet: [NuovoLab] mafia a genova «raccolsi segnali concreti ma qualcuno mi prese per pazza»
«raccolsi segnali concreti ma qualcuno mi prese per pazza»
genova e le infiltrazioni della criminalità, la denuncia del sindaco
daniele grillo«VUOL dire che le orecchie ce l'ho ancora buone e al loro posto. E che è giusto tenerle in uso e non far finta di non vedere, di non sentire. Quanto alla politica forse coinvolta, credo che nessuno sia vergine, ma un processo di rinnovamento sia necessario. Per sostituire in maniera netta la trasparenza alla logica del voto di scambio o dei pacchetti di voti». Marta Vincenzi nel marzo 2009 denunciò il crescere della presenza, anche a Genova, di infiltrazioni mafiose.
Sindaco, allora qualcuno non la prese sul serio...
«Vedere che le mie parole vengono confermate dai fatti in realtà non mi fa felice. Avrei preferito sapere la nostra città libera da queste presenze».
Genova, quindi, è una città mafiosa?
«No, non si può dire questo, ma che ci siano presenze sempre più forti è vero. Che sia 'ndrangheta, 'ndrine o altre sfaccettature poco importa, quello che bisogna fare è identificarne le forme e combatterle. Questa che ha visto l'arresto di un fruttivendolo, per esempio, mi pare possa identificare una sorta di mafia "borghese", con radici nella piccola imprenditoria».
Perché decise di intervenire, un anno e mezzo fa?
«Perché diversi cittadini mi segnalarono movimenti tutt'altro che normali, comportamenti non ascrivibili a puro "colore". Succede, che i sindaci avvertano fenomeni prima che diventino di dominio pubblico. Ebbi segnali molto concreti che la forza di queste presenze stava crescendo e acquisendo potere. Qualcuno mi invitò a presentare prove concrete. Ma il compito di un primo cittadino non è questo, perché significherebbe sostituirsi agli inquirenti, a chi le segnalazioni deve verificarle».
Mai ricevuto minacce?
«No, minacce mai. Ma insulti sì, e tanti. Anche su qualche sito (il riferimento è al portale della Casa della Legalità, ndr) dove le mie dichiarazioni furono considerate un mezzo per favorire certe idee. E dove qualcuno disse che ci si sarebbe dovuti accorgere prima del fenomeno».
Le prime intercettazioni parlano di contatti tra questa mafia e pezzi di politica. Si fa il nome del leader Udc Monteleone.
«Credo che indagini approfondite vadano fatte. E che, al di là di tutto, i partiti debbano legare sempre di più il consenso alla trasparenza, piuttosto che ai voti di scambio o ai pacchetti di voti da conquistare. Soltanto così si potrà far capire ai cittadini che non tutto è sporco, non tutto è grigio nella politica. Con la chiarezza».
Ieri gli appartamenti confiscati nei vicoli, oggi gli arresti dei boss. Per domani in cosa spera?
«Spero che non sia tutto un fuoco destinato a spegnersi. Vittorie come questa aiutano a intravedere uno sviluppo possibile per il nostro paese. E ne abbiamo bisogno. Molto».
grillo@???
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I venti tentacolidella Piovra in città
l'inchiesta sulla 'ndrangheta: ecco chi sono i "genovesi" nel mirino
Piccoli imprenditori e una finanziaria intorno ai 2 arrestati
graziano cetara e matteo indiceUN'ORGANIZZAZIONE «che indirizza in modo tentacolare gli affari illeciti». E all'ombra della lanterna conta una ventina di «elementi di spicco» tuttora sott'inchiesta, sebbene non finiti in manette. La 'ndrangheta in città non è solo una suggestione, rappresentata dagli arresti, avvenuti ieri all'alba, del verduraio Domenico Gangemi e del piccolo imprenditore Domenico Belcastro, trait d'union con i super-capi calabresi. La 'ndrangheta a Genova è un gruppo «strutturato», con nomi e cognomi e ruoli. E soprattutto con un leader, Gangemi appunto, che decide chi deve partecipare ai funerali dei vari «affiliati», chi dev'essere invitato alle riunioni e con quale grado potrà assistere. Il commerciante ha ereditato, nell'opinione degli inquirenti, la "guida" dal 2008, succedendo ad Antonio Rampino, morto per cause naturali e con cui aveva avuto spesso divergenze di vedute. Lo spiega un dettagliato dossier dei carabinieri genovesi del Ros, inviato in Procura a poche settimane dalla retata. Un documento che focalizza in primis l'attività degli stessi Gangemi e Belcastro, ma che descrive con chiarezza come non fossero soli. Sono in particolare le «riunioni» nelle quali si progetta il malaffare, a far drizzare le antenne ai militari. A parere dei quali, tutte le persone citate fanno comunque parte del «sodalizio criminoso» e si muovono fra il capoluogo ligure e il Basso Piemonte. Uno dei momenti di maggiore pianificazione, viene individuato dagli investigatori il 27 dicembre 2009. «Quel giorno - spiegano - è avvenuto un incontro nell'abitazione di Francesco Bruno Pronestì a Bosco Marengo (Alessandria)». Quindi il passaggio-chiave: «Per il "locale" genovese (in pratica la divisione della 'ndrangheta nel capoluogo ligure) partecipano l'attuale reggente Domenico Gangemi, Lorenzo Nucera, Arcangelo Condidorio (cognato di Cangemi) e Domenico Violi», tutti residenti a Genova. Eccoli, i primi personaggi che il Ros mette nero su bianco. Sintetizzando, nei paragrafi successivi, l'argomento delle discussioni captate dalle "cimici": truffe, possibile riciclaggio di denaro, pure contatti con una banca svizzera per capitalizzare al meglio «gli affari». Sempre Gangemi, nella mappatura, è quello che decide chi fa cosa. E quindi che riceve, all'interno del suo negozio di piazza Giusti dove sono installate le "ambientali", le scuse «in modo ossequioso» di Rocco Bruzzaniti, convocato d'urgenza, perché non può partecipare a un summit e indirettamente quelle di un altro «affiliato», Cosimo Gorizia. La controversa riunione alla fine si tiene, a Lavagna, e qui i carabinieri annotano un altro nome di assoluto rispetto «inserito a pieno titolo nell'organizzazione». Si tratta di Onofrio Garcea, il cui volto imbarazzò molto l'Italia dei Valori a fine marzo, poiché partecipò a una cena elettorale per Cinzia Damonte, ex diessina, ai tempi assessore in Comune ad Arenzano e candidata dell'Idv alle scorse Regionali. Spesso, sottolinea ancora l'Arma, l'obiettivo di Gangemi e Garcea è quello di «ribadire il loro assoluto potere di coordinamento regionale».
Il 30 maggio scorso i militari "spiano" un'altra riunione-clou: «La lunga intercettazione - precisano - stabiliva in modo inequivocabile l'esistenza di una "società maggiore" e di una "società minore" nel basso alessandrino e la sua stretta dipendenza dal "locale" di Genova. Si individuano i ruoli di ciascun personaggio (capo giovane, puntaiolo e picciotto di giornata). E di grande importanza erano considerate le cariche conferite ad Antonio Maiolo (attivo fra Genova e il Basso Piemonte) e Damiano Guzzetta, in particolare il ruolo di "mastro di giornata" assegnato a quest'ultimo». Ancora: «Da alcuni brani si evinceva la necessità d'inviare i rappresentanti dei vari sodalizi a un funerale, che si sarebbe celebrato il giorno successivo in una località del ponente». Chi partecipa? «Per Genova Arcangelo Condidorio, Lorenzo Nucera e Benito Giuseppe Rampino, per Lavagna Antonio Romeo e Francesco Rodà (piccoli imprenditori, ndr)». Il lavoro della cosca genovese è in pieno svolgimento, spiegano i carabinieri. Che nella parte conclusiva del loro dossier decidono di concentrarsi pure sugli uffici di una società finanziaria, la "Effegì Direct" con sede in via Cornigliano. Sono infatti in uso a Onofrio Garcea, «partecipante attivo alla consorteria mafiosa» e perciò vanno tenuti sotto controllo.
Da un fruttivendolo di San Fruttuoso a un ufficetto di Cornigliano, passando per un bar di Lavagna e un paio di tenute in provincia di Alessandria. Il braccio operativo della 'ndrangheta in cittàè questo, secondo il Ros, e aveva una specie di mini-distaccamento nel Basso Piemonte che dipendeva in tutto e per tutto da Genova. Da oggi, il gruppo ha anche molti nomi e cognomi.
indice@???
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"mimmo", il verduraio-bossalla corte del capo dei capi
l'uomo, considerato il numero uno a genova, è finito in carcere con l'impresario edile Belcastro
La scorsa estate Gangemi fu ricevuto da Oppedisano: «Qui siamo tutti 'ndranghetisti»
marco grassoIL VERDURAIO diventava boss solo quando si sentiva protetto. Chi era realmente e di cosa faceva parte, lo rivelava solo in occasioni molto speciali. Come il 14 agosto del 2009, alla presenza del capo dei capi della 'ndrangheta Domenico Oppedisano, che lo riceveva nella sua tenuta di Rosarno: «Noi con la Calabria abbiamo la massima collaborazione, il massimo rispetto, siamo tutti una cosa - gli spiegava l'emissario ligure dei calabresi, senza sapere di essere ascoltato - La Liguria è 'ndranghetista. Noi siamo tutti calabresi».
Lo descriveva così il territorio che «amministrava» Domenico "Mimmo" Gangemi, 64 anni, secondo i militari del Ros il capo della "Locale", il braccio genovese della 'ndrangheta. La mafia calabrese che ha messo le radici sotto la Lanterna non ama i riflettori. Si nasconde sotto le sembianze di un fruttivendolo. O nei panni di un impresario edile, come Domenico "Mimmo" Belcastro, 48 anni, l'altro boss arrestato ieri dalla squadra mobile. «Meno so e meglio è», riassume un dipendente sudamericano della Edilmarassi, la ditta di Belcastro in via Monticelli 18r, che si premura di controllare i movimenti degli "intrusi". «Oggi va male», ha detto ai vicini il figlio di Belcastro.
Il boss, «faceva la vita seria» nel suo quartiere. Mimmo Gangemi si alzava all'alba per andare a scaricare cassette. Salutava ed era contraccambiato. Un caffè, quattro chiacchiere. E per riposarsi si sedeva fuori dal suo negozio di piazza Giusti, a San Fruttuoso, e fumava il suo sigaro. Un semplice verduraio. Così amava presentarsi: «Comando le patate e le cipolle io», diceva al telefono.
Un ritornello che ripete anche la moglie Francesca, sorella di Arcangelo Condidorio, ritenuto dagli inquirenti affiliato della 'ndrangheta, trincerata nella casa della coppia in via dall'Orto 3, a San Fruttuoso: «Sono tutte invenzioni. Mio marito pulisce verdura per "fare gli euro". È in negozio 14 ore al giorno, come fa a fare tutte quelle cose che dicono?». Una di queste cose, è quella di aver dirottato una marea di voti su alcuni candidati alle regionali: «Ma quali politici. Loro per noi non hanno mai fatto nulla», replica la donna stizzita. «Ce l'hanno con noi perché siamo calabresi - dice «un amico», nella bottega - Tra due giorni è qui, ve lo spiega lui». A Rosarno però, faccia faccia con il superboss, Gangemi parlava dei meccanismi di affiliazione di un picciotto. Come la «croce su un braccio», la «stella su una spalla», la «cruciata», del «quartino» e del «bacio sulla fronte al padrino».
È l'understatement il punto di forza di Gangemi, già negli anni '70 segnalato come capo 'ndrina di Spirito Santo, contiguo alla cosca dei Gioffrè di Seminara. Nel tempo aveva scalato il potere. E da due anni era diventato il numero uno a Genova, dopo la morte di Antonio Rampino. Un boss «arcaico», per gli inquirenti, a cui era succeduto Gangemi il «moderno», quello che comprendeva di finanza e di traffico di droga . Il verduraio. Acuto, anche se un po' «dissidente». «Le cose di qua vengono per vanno per là, ma no di là vengono per qua. Quello che amministriamo lìè per la nostra terra», gli ricorda Oppedisano, quasi richiamandolo all'ordine. Ma al verduraio, oltre alla "modestia", non manca la diplomazia: «Tutti una cosa siamo. Tutti calabresi».
grasso@???
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L'ombra di una talpa«Qua i cani mi stanno addosso»
le intercettazioni: Una frase alimenta i sospetti
Il riferimento in gergo ai carabinieri
Marco Fagandini e Matteo Indice«QUA I CANI pare che mi vogliono rompere i coglioni alla grande». Domenico "Mimmo" Gangemi, il boss intercettato dai carabinieri, parla al telefono con il reggino Rolando Madonia. Quei «cani» che gli stanno addosso fra «patate e cipolle» come segugi intorno a una preda ferita, lo assillano. Quei «cani», nel linguaggio di chi bazzica gli ambienti dell'ndrangheta, sono i carabinieri. Lo scrivono i militari del Ros, nella relazione che contiene queste intercettazioni e che è stata depositata in Procura a Genova alcune settimane fa. Ma le pagine su cui sono impresse le parole del fruttivendolo di piazza Giusti, squarciano il velo su dubbi inquietanti almeno quanto l'intera inchiesta: come ha saputo Gangemi di essere finito così tanto nel mirino? C'è una talpa nella macchina investigativa?
«Le paure di Gangemi Domenico che le forze dell'ordine ed in particolare i "cani" (da intendersi i carabinieri) - si legge nel documento - stiano indagando nei confronti di soggetti calabresi si palesano in una conversazione telefonica avvenuta con Madonia Rolando». Voce agitata, interruzioni continue. Eppure il concetto che Gangemi esprime e che le intercettazioni riportano sembra lineare: «Dicono mi vogliono rompere i coglioni», si legge. «Dicono». Chi dice? Chi lo avrebbe informato di questa caccia aperta?
«Il brano esprime il radicato timore - proseguono gli investigatori nella relazione - che i Carabinieri stiano attenzionando Gangemi Domenico al quale avrebbero attribuito ingiustamente "titoli di comando"». Quindi non solo "Mimmo" saprebbe di avere i «cani» alle calcagna. Ma anche di essere considerato, da quella muta di segugi, come la preda più ambita. Il «compare» a cui gli altri compari devono rispetto. «Questi cornuti non lo sanno che lavoro qua dalla mattina alla sera - dice Gangemi intercettato - Comando le patate e le cipolle io [...] Se vedi il titolo che mi vogliono dare questi quattro sbirri...». La chiosa del suo interlocutore è lampante: «Compare - dice Madonia - meglio considerato che compatito». Già, ma considerato da chi? E poi, Gangemi sa di essere ascoltato mentre parla al telefono? «Ce lo dovevo dire, almeno ci attaccano a tutti, che me ne frega», scherza una terza persona che si inserisce nella conversazione qualificandosi come Totò Curcio. Passaggio che il Ros interpreta così: «Si rivolge ai presenti che molto probabilmente, ridendo, lo criticavano per aver fatto il suo nome». Proprio al telefono.
In un'altra intercettazione inoltre, è lo stesso Gangemi a ricordare che altri «compari» sono finiti nella rete nonostante un linguaggio criptico. Tanto che, in certi passaggi del dialogo spiato dagli investigatori, sembrerebbe mettere le mani avanti: «Sto lavorando da una vita... lo sapete che vita faccio! [...] Sapete che comando le patate». Gli risponde Madonia: «Voi avete sempre fatto la vita seria [...] Abbiamo avuto la sfortuna di nascere in Calabria... che dobbiamo fare!».
"Mimmo", in ogni caso, non riesce a darsi pace: «Mi rompono il cazzo, mi hanno rotto nella gioventù», spiega Gangemi. Quale «gioventù»?. «Gangemi Domenico - si legge nella relazione del Ros - ha precedenti di polizia per associazione per delinquere (1976), omicidio (1978), traffico di sostanze stupefacenti (1983, 1985, 1987), detenzione di armi (1985)». Eccola, la «gioventù».
L'inquietudine sta tutta nel saluto al compare, al quale Gangemi anticipa un suo viaggio al sud per il prossimo agosto. «Io mi auguro che ci vediamo - conclude "Mimmo" - Vengo giù per fare il mio dovere». Ma i carabinieri, i «cani» come dice lui, hanno azzannato ben prima di quella data la loro preda.
fagandini@???
indice@???
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La fissazione del parcheggio
IL BOSS Gangemi era un «ottimo vicino». Solo una cosa lo spingeva a litigare: «Se qualcuno gli toccava il parcheggio davanti al negozio», racconta un esercente. Era suo. Anche se è in divieto di sosta. «Lo sapevano anche i vigili».
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Damonte, la foto dell'imbarazzo
Assessore ad Arenzano, candidata per l'Idv alle scorse regionali, Cinzia Damonte finì nella bufera (le furono ritirate le deleghe all'urbanistica) per una foto che la ritraeva ad una cena elettorale con Onofrio Garcea
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secolo xix
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antonio bruno.
capogruppo Sinistra Europea - PRC Comune di Genova
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