Carissimi
vi invio i brani raccolti per una, eventuale, lettura al ciclopicnic di
oggi
Didier Trochet – brani tratti dal Piccolo trattato di ciclosofia
L’ARROGANZA DEL SEDERE DEL CICLISTA
La differenza tra la visione del mondo del ciclista e quella
dell'automobilista è tra le più profonde che si possano immaginare.
A livello di culo (fondoschiena), osserviamo quello del ciclista:
leggermente all'indietro, favorisce il decollo della colonna vertebrale.
La postura è simile a quella delle statue antiche. E porta con sé una
visione dinamica, una tensione in avanti che testimonia una grande fiducia
in ciò che la vita riserva.
Il posteriore dell'automobilista, incastrato tra lo schienale e il sedile,
non può permettersi l'arroganza del sedere del ciclista, che spinge le sue
natiche ai margini senza bordo del sellino. No, tutto rattrappito quella
sua molle concavità, implica nel suo proprietario una posizione
semifetale, che ne tradisce il ripiegamento su di sé; impressione
rafforzata da quella specie di guscio d'uovo galvanizzato che è il suo
abitacolo, illusoria parodia di sicurezza placentaria che s’infrangerà al
primo urto. _________________
Tale prostrazione evoca l'immagine del telespettatore I spaparanzato sul
divano. In entrambi i casi, la testa deve rinunciare a qualsiasi
portamento altero. In entrambi i casi, l'immagine che ci è rinviata, di
un'umanità al volante o di un'umanità davanti allo schermo, è priva di
dignità.
L'automobilista ci obietterà che se ne frega, che comunque in macchina si
avanza più speditamente. Il ciclista obietterà che, se il prezzo da pagare
è la dignità, non si avanza. Ma si arretra.
CANTICCHIARE
La bicicletta offre una possibilità eccezionale di canticchiare senza
vergogna, perché nessuno vi può sentire. Fate la prova: a velocità media,
i passanti potranno captare al massimo una sillaba, e voi sarete già dieci
metri più avanti. Si può quindi sondare senza pudore tutti i registri
senza incorrere nelle folgori di eventuali melomani curiosi che
un'infelice rima isolata non disturberà nelle loro convinzioni musicali
forse integraliste.
A meno che per sbaglio non continui a cantare quando mi fermo, al
semaforo, tra due macchine con i finestrini abbassati.
LA PRIGIONE
Il ciclista, ritto come una “I” sulla sua bicicletta olandese, sfoggia un
portamento da aristocratico britannico o da ufficiale dell'esercito delle
Indie. La tranquilla maestosità del suo veicolo si trasmette a lui per
osmosi. Da questo insieme strettamente correlato uomo-macchina si irradia
un incontestabile senso di nobiltà. La correlazione vale anche per
l'insieme autovettura-conducente. Con la differenza che l'automobilista
non dà l'impressione di essere tutt'uno con la sua macchina, bensì di
esserne prigioniero. Il fatto che le portiere possano essere aperte in
ogni momento e che la prigione sia mobile non cambia nulla a questa prima
impressione negativa offerta dall'automobilista: un prigioniero prostrato
in una cella in skai, doppiamente privato della sua libertà da una
carcassa di metallo, e da una cintura, che fa di lui il prolungamento
organico del sedile anteriore.
L'alternanza regolare piede sinistro/piede destro, che generala rotazione
tranquilla, perfino rassicurante, dei pedali, ricorda l'oscillare del
pendolo e le sue virtù ipnotiche. Perché forse si tratta anche d'ipnosi,
quando il tic-tac metronomico dei mozzi e il movimento a pompa alternata
delle ginocchia spingono in avanti la bicicletta e il suo passeggero in
uno stato di quiete, tra la veglia e il sogno, tra la terra e il cielo. In
questi momenti di diluizione dello sguardo, può capitare che il ciclista
abbia la fugace impressione che l'asse dei suoi pedali sia l'asse del
mondo (axis mundi). E, in un certo senso, è così.
LA VELORUTION
La nuova rivoluzione (Vèlorution) può venire semplicemente da questa
alternativa mattutina: prendo l'automobile o la bicicletta?
Chi avrà scelto la macchina e pertanto avrà coordinato movimenti secchi,
precisi e meccanici, subito con rassegnazione o eccitazione gli ingorghi,
lottato per trovare un parcheggio, porterà con sé dall'inizio della
propria giornata lavorativa una parte di questa Programmazione
neurolinguistica casuale. C'è da temere che essa eserciterà il suo nefasto
influsso sulle più minute decisioni o relazioni umane. Questi è partito
con il piede giusto per alimentare, con il proprio fuoco già ben
attizzato, il grande Moloch dello spirito di competizione.
Immaginiamo che lo stesso uomo abbia invece scelto di andare in bicicletta
a occupare il proprio posto nel Grande Processo di Produzione. La
ventiquattrore sul portapacchi, avrà respirato aria viva, avrà fatto surf
tra le lamiere d'acciaio accalcate, sarà corso dietro a un passerotto
irragionevole, sarà stato trafitto dalla luce mattutina dell'inizio del
mondo, e grazie a tutto questo si sentirà rigenerato.
Così, in questa singolare disposizione di apertura indotta da tali
sensazioni, il suo atteggiamento verso il lavoro risulterà trasfigurato.
Anche se in percentuali infinitesimali (veleno ad azione lenta, o
piuttosto antidoto). E ogni azione giorno un po' di più, fino a quando,
(perché no?) la vacuità assoluta della sua attività umana gli scoppierà
sotto il naso come una camera d'aria durante una discesa. Inoculiamo la
bicicletta.
un caro saluto a tutti
Francesco Motta
valoasara@???
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