[RSF] IL GOVERNO SANTOS CHE VERRA'

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Author: Associazione nazionale Nuova Colombia
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To: forumroma
Subject: [RSF] IL GOVERNO SANTOS CHE VERRA'


         IL GOVERNO SANTOS CHE VERRA’: CONTINUITA’ NARCO-PARAMILITARE E
DEBOLEZZA STRUTTURALE
<http://www.nuovacolombia.net/Joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=476:il-governo-santos-che-verra-continuita-narco-paramilitare-e-debolezza-strutturale&catid=9:italiano&Itemid=5>


Quando, alle 21.00 circa di domenica 20 giugno, è stato reso
pubblico l’esito del ballottaggio per la presidenza in Colombia,
abbiamo avuto la conferma di una chiara tendenza delineatasi già al
primo turno: da una parte, la schiacciante vittoria di Juan Manuel
Santos (69,05% dei voti) contro il lituano Antanas Mockus (27,52%), e
dall’altra l’incremento dell’astensionismo, superiore al 55%
(quasi 5 punti in più rispetto al primo turno). Considerando che i
suddetti dati sono scaturiti dal 99,91% dei seggi scrutinati, si
possono prendere come definitivi.

Questi sono i due fattori chiave emersi dalla giornata elettorale,
sic et simpliciter. Tuttavia, sarà opportuno analizzarne le
premesse, le cause, gli effetti a breve e medio termine e la portata,
al fine di non precipitare nel dirupo delle banalità e dei luoghi
comuni che, in queste ultime settimane, hanno caratterizzato gli
articoli dei più variegati “analisti”, “esperti”, “inviati
speciali” e via discorrendo, alcuni dei quali purtroppo trovano
spesso spazio anche su media alternativi o sedicenti tali.

CHI E’ JUAN MANUEL SANTOS

Ma iniziamo da Santos, ribattezzato dal movimento popolare colombiano
“Chucky” (il riferimento al tetro pupazzo della saga horror ‘La
Bambola Assassina’ è puramente voluto, confrontatene le foto e
capirete il perchè...)

Figlio ed erede di una delle tre dinastie storicamente piú potenti
ed influenti dell’oligarchia colombiana, si è formato negli Stati
Uniti (Economia all’Università del Kansas, master in quella di
Harvard), iniziando poi la sua carriera come giornalista -fino a
diventare vicedirettore del più importante quotidiano del paese, El
Tiempo, di proprietà della famiglia Santos- e rappresentante a
Londra dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Nel 1991
viene nominato ministro del Commercio Esterno, ministero creato ad
hoc dall’allora presidente César Gaviria per implementare la
sciagurata “Apertura Economica”, con cui venne imposto a ferro e
fuoco un modello ultra-liberista. Nel periodo 1995-97 ha fatto parte
del triunvirato che dirigeva il Partito Liberale, da cui però è
uscito in seguito per pre-candidarsi (senza fortuna) alla Presidenza.
Nel 2000 è stato designato ministro delle Finanze sotto il governo
del conservatore Andrés Pastrana, rendendosi artefice di politiche
fiscali nettamente filo-padronali ed anti-popolari. Nel 2003 è
uscito nuovamente dal Partito Liberale per appoggiare Alvaro Uribe,
ed alla fine del 2005 ha fondato il Partito della U per agglutinare
tutto l’arco politico-partitico uribista. Nel 2006, dopo aver
diretto la U, Uribe lo ha ricompensato nominandolo ministro della
Difesa.

Se durante il governo del liberale Samper, che aveva cercato di
destituire con un golpe (poi abortito) ordito con paramilitari e
settori dei poteri forti, e durante quello di Pastrana, era stato un
deciso assertore delle smilitarizzazioni di aree dove si potessero
condurre dialoghi con la guerriglia, come ministro di Uribe si è
dimostrato un acerrimo nemico di qualunque soluzione politica
dialogata, nonché un carnale fautore della politica fascista della
“Seguridad Democrática”, versione attuale ed applicata alla
Colombia della Dottrina della Sicurezza Nazionale made in USA. Mentre
nel 1999 pubblicava un libro sponsorizzando l’imbroglio della
“terza via”, al cui contenuto collaborò nientemeno che Tony
Blair, nell’ultimo decennio si è dimostrato un fanatico della
concezione securitaria e del capitalismo tout court.

Come recente ministro della Difesa, è stato uno dei più alti
mandanti e responsabili del bombardamento in territorio ecuadoriano
(1 marzo 2008), che ha rivendicato con orgoglio nel più totale
disprezzo alla violata sovranità di quel paese limitrofe, e di un
amplissimo ventaglio di agghiaccianti violazioni dei diritti umani
(“falsi positivi”, fosse comuni, incremento dello sfollamento
forzato, detenzione arbitraria di oltre 150.000 colombiani, ecc.).
Inoltre, si è distinto per un perenne servilismo nei confronti degli
interessi -nel paese e nella regione- delle autorità di Washington e
Tel Aviv, con cui intrattiene rapporti strettissimi, e
conseguentemente per un approccio aggressivo e destabilizzatore verso
i paesi progressisti ed antimperialisti del continente.

Da questo breve curriculum di JM, si evince chiaramente che il losco
figuro che si insedierà il prossimo 7 agosto al Palazzo di Nariño
non ha scrupoli, ha una potentissima base economico-finanziaria e
mediatica che lo sostiene e si fa trasformista politico, per
guadagnare ulteriori posizioni e potere o consolidarli, ogni qual
volta la ‘congiuntura’ glie lo suggerisce.

PERCHE’ MOCKUS...

Aurelijus Rutenis Antanas Mockus Šivickas, figlio di emigrati
lituani e filosofo di formazione accademica, è salito alla ribalta
del teatrino politico colombiano a partire dal 1995, quando diventò
sindaco di Bogotá (considerata da molti come la seconda carica
istituzionale più importante del paese). Per due anni predicò
metodi pedagogici presuntamente innovativi applicati
all’amministrazione della cosa pubblica, ed una supposta
“etica” che però non ha mai travalicato la dimensione puramente
parolaia. Nel 1997, infatti, si è dimesso per candidarsi come
formula vice-presidenziale della conservatrice Noemí Sanín, altra
campioncina di quell’opportunismo e di quel trasformismo
politicante così propri del ceto politico tradizionale colombiano.

Nel 2001 è diventato nuovamente sindaco della capitale. Nel 2006 ha
lanciato il movimento “Visionari con Antanas” contestualmente
alla campagna elettorale per il Congresso, nel quale però non
riuscì a piazzare nemmeno un parlamentare. Due mesi dopo ha
riprovato a raggiungere la presidenza della Repubblica, non senza
aver prima riposto nel cassetto i suoi “Visionari” ed esser
salito sul minuscolo e strumentale carrozzone della cosiddetta
“Alleanza Sociale ed Indigena”.

Non essendo pienamente organico ai due partiti tradizionali, Mockus
ha fatto delle stravaganze e delle uscite ad effetto un prezioso
strumento per attirare su di sé l’attenzione mediatica e
dell’opinione pubblica: mostrare il sedere agli studenti che lo
contestavano, girare per Bogotá indossando il costume da Superman e
sposarsi in un circo sul dorso di un elefante sono soltanto alcune
delle buffonate inscenate da questo intellettualoide.

Nonostante l’immagine di originalità e contrariamente a quanto
affermato con abbondante superficialità da molti, Mockus non
rappresentava una reale alternativa a Santos, e le sue effimere
promesse di un “nuovo modo di fare politica”, “trasparenza”,
“etica” e “lotta alla corruzione” (non v’è politicante
colombiano che non si sia riempito la bocca di questi leit motiv),
erano ad uso e consumo della campagna elettorale.

Ad abundantiam, val bene ricordare che come rettore
dell’Università Nazionale di Bogotá prima, e come politico poi,
Mockus è sempre stato un autoritario ed un liberista. Alla faccia
del “visionario”, dell’ “indigenista” e, più recentemente,
del “verde”.

Nell’ultima campagna elettorale, peraltro, ha ribadito la propria
fedeltà alla “Sicurezza Democratica”, al Trattato di Libero
Commercio con gli Stati Uniti, alle basi militari a stelle e strisce
in territorio colombiano, alla guerra controinsorgente ed alla
politica di negazione totale di una ricerca di accordi umanitari e di
pace con la parte belligerante opposta, vale a dire il movimento
guerrigliero. Altro che “ecologista” ed accademico
“progressista”, come alcuni sprovveduti ed ingenui credevano o
credono! Altro che “degno contendente”, “interlocutore della
cittadinanza” e “restio ad accordi con altri partiti”, la cui
sconfitta non ne inficerebbe la proiezione verso il consolidamento di
un progetto di opposizione! Del resto, non solo Mockus aveva già
fatto un accordo con l’uribista ed ex sindaco di Medellín, Sergio
Fajardo, proposto come suo ipotetico vicepresidente, ma negli ultimi
giorni ha anche annunciato che non condurrà opposizione alcuna al
governo Santos, con il quale non esclude di collaborare...

Eppure, di tutti i candidati, era quello ad avere il profilo più
idoneo per essere usato come specchietto per le allodole in questa
delicata congiuntura elettorale e politica. Presentarlo come
possibile alternativa, gonfiandone i consensi nella fase in cui
impazzavano i sondaggi delle più svariate imprese specializzate del
settore, è stata una mossa maestra di un’oligarchia che aveva un
disperato bisogno di legittimare, in qualche modo, la farsa
elettorale ed un regime sempre più delegittimato da otto anni di
governo Uribe. E, prendendo due piccioni con una fava, una tattica
per catalizzare e simultaneamente illudere (per poi bastonarlo e
demoralizzarlo) il diffuso sentimento di ripudio nei confronti
dell’uribismo.

COME HA VINTO SANTOS

In un paese di circa 45 milioni di abitanti (più 5 residenti
all’estero), in cui gli aventi diritto al voto sono quasi 30,
l’astensione è da decenni superiore al 50%. Queste elezioni
presidenziali non sono certo state un’eccezione, dato che al primo
turno si è astenuto il 51% del corpo elettorale, ed al ballottaggio
oltre il 55%. Ciò nonostante, il tasso reale di astensione potrebbe
essere di gran lunga superiore, e vi spieghiamo perchè.

Da una parte, è cosa risaputa che in Colombia votano i morti, e
molti vivi lo fanno anche due o tre volte. Dall’altra, ed è uno
scandalo che sta venendo a galla in questi giorni grazie anche alle
denunce de La Radio del Sur, la Registraduría Nacional del Estado
Civil, organismo dello Stato deputato a gestire il processo
elettorale, ha appaltato l’intera logistica dello stesso ad un
consorzio di imprese chiamato UTD, Unión Temporal Disproel. La Tomas
Greg y Sons de Colombia, la Tomas Greg y Sons Limited, la Tomas Greg
Express e la Tomas Greg Transportadora de Valores, tutte imprese
appartenenti alla UTD, sono collegate a Juan Manuel Santos, che tra
il 2002 ed il 2006 ha anche fatto parte dei loro rispettivi consigli
di amministrazione. La UTD ha preparato sia le schede di prova sia
quelle poi utilizzate effettivamente nelle elezioni, così come i kit
elettorali, ha trasportato il complesso delle schede ai diversi
municipi ed ai seggi elettorali, ed ha raccolto i formulari nonché
le schede stesse alla fine delle votazioni.

Inoltre, siamo anche venuti a conoscenza dell’Operazione “Titanio
4”, diretta dal COPERS (Commando di Operazioni Speciali) della
Polizia Nazionale e spalleggiata dalle Forze Armate tutte. Questa
operazione, condotta col pretesto di applicare inderogabili
protocolli di sicurezza, è consistita nel sottrarre, cambiare, far
sparire o alterare le urne in moltissimi centri elettorali, di
concerto col personale di quella stessa Registraduría il cui massimo
dirigente sindacale aveva tenuto una riunione molto discreta con JM
Santos a ridosso del primo turno delle presidenziali. Inutile
ricordare il movente: l’intero apparato coercitivo/repressivo dello
Stato colombiano vede in Santos uno dei grandi artefici e garanti
della continuità dell’afflusso, ogni anno, di centinaia di milioni
di dollari di “aiuti” militari dagli USA, che in parte finiscono
nelle tasche degli alti comandi di esercito e polizia attraverso una
corruzione tanto radicata quanto ramificata ed impunita: appalti
pilotati, mega-acquisti gonfiati o fittizi di armamento ed altri
materiali da guerra, tangenti, ricompense e via discorrendo.

Dulcis in fundo, ma non in ordine di importanza, non va dimenticato
che il sistema elettronico di conteggio dei voti, operativo nelle
elezioni in questione, era sotto il controllo degli Stati Uniti e
facilmente manipolabile dagli esperti informatici con accesso alla
matrice dei suoi softwares.

Sul piano squisitamente politico, era scontato che Santos sarebbe
arrivato al ballottaggio con l’appoggio di quei partiti (con
l’eccezione del Polo Democratico) che, dopo esser stati sconfitti
senza gloria al primo turno, si sono affrettati a salire sul
carrozzone del vittorioso “Chucky”: quello Liberale, quello
Conservatore e Cambio Radical, che si sono aggiunti al partito
paramilitare del PIN (Partito d’Integrazione Nazionale) ed a quei
settori cosiddetti “indipendenti” che sono espressione
politico-istituzionale -a livello regionale o nazionale- delle mafie
paramilitari con cui Uribe e i Santos (non solo Juan Manuel, ma anche
il vicepresidente e suo cugino Francisco) sono in totale simbiosi.

A questi fattori, possiamo aggiungere l’influenza mediatica e la
solida base economica da spendere in una campagna in stile
hollywoodiano, così come il sostegno -nemmeno tanto dissimulato e
mai effimero- da parte dell’ambasciata gringa a Bogotá, che
rappresenta il vero centro decisionale strategico nel paese. E, senza
pudore, l’appoggio dichiarato di un settore sindacale facente capo
alla CGT (Confederación General del Trabajo, filo-padronale e
perfettamente inserita nel neo-corporativismo implementato in otto
anni di governo Uribe), per ottenere il quale Santos ha addirittura
candidato come vicepresidente Angelino Garzón, cosa che conferma la
sua vocazione camaleontica.

Su questo spregevole soggetto, che dal 7 agosto sarà il vice di JM,
è bene spendere due parole: dopo anni passati nella sinistra, come
vicepresidente dell’Unión Patriótica e segretario generale della
CUT (Centrale Unitaria dei Lavoratori), nonchè membro della
Commissione di Facilitazione di un Accordo Umanitario con le FARC,
nel 2003 è stato eletto governatore dell’importante dipartimento
del Valle del Cauca nelle fila del Polo Democratico Alternativo. Al
termine di questo mandato, nel giugno del 2007 ha accompagnato Uribe
a Washington a elemosinare un Trattato di Libero Commercio; è nel
2009, però, che il processo di cooptazione di questo farabutto
arriva a destinazione, con la sua nomina ad ambasciatore dello Stato
terrorista della Colombia presso l’ONU, a Ginevra, dove si è
impegnato a cercare di ripulire l’immagine del regime in materia di
diritti umani.

Come il lettore avrà capito, si tratta di un meschino rinnegato, un
prostituto della politica estraneo ai circoli dorati
dell’oligarchia e tuttavia utile a Santos per confondere le acque e
perorare la causa del TLC con gli USA, il cui Congresso ne ha
congelato l’approvazione per via dell’opposizione di molti
rappresentati del Partito Democratico, critici nei confronti di Uribe
per la persecuzione ai danni dei sindacalisti colombiani e per lo
scandalo dei “falsos positivos”.

QUELLO NUOVO SARA’ UN GOVERNO DEBOLE

Nonostante il circo mediatico colombiano ed internazionale abbia
parlato di una vittoria epocale di Santos, che secondo la
Registraduría avrebbe ottenuto la votazione più alta nella storia
delle elezioni presidenziali (circa 9 milioni), abbiamo assistito ad
un processo elettorale caratterizzato da clamorosi brogli, vergognose
compravendite di voti, diffuso transfughismo politico-partitico,
oscuri intrighi e complotti ed innumerevoli minacce, coercizioni e
violenze da parte dell’apparato militare e paramilitare.

E’ vero che Santos ha ottenuto -precipuamente grazie tutti questi
stratagemmi e fenomeni illeciti ed illegittimi- la maggioranza, ma
della minoranza degli aventi diritto al voto (circa 30 milioni) e
della popolazione complessiva. Una minoranza costituita in gran parte
dall’oligarchia, dalla borghesia e da settori di classe media che,
anche in virtù del ruolo nefasto ed alienante giocato dai media di
regime, credono che il continuismo incarnato da Santos permetterà
loro di continuare a sognare un’ascesa sociale che, tuttavia, è e
resterà una chimera.

La verità è che la maggioranza (oltre il 56%) ha optato per
l’astensione, e che circa 750.000 elettori hanno votato in bianco o
nullo. Senza contare chi, per protesta, ha votato Mockus illudendosi
nella possibilità di un’inversione di rotta.

Santos, che è un criminale ed un mastro cerimoniere
dell’imperialismo USA e del sionismo in Colombia e in
Latinoamerica, ma che non è uno stupido, lo sa, così come ha capito
che la sua figura, per quanto incensata e sponsorizzata da Washington
ed Unione Europea, non basterà a proporsi come “redentore”,
“messia” e “capo assoluto” dell’intricato tessuto
borghese-oligarchico colombiano, cosa che invece riuscì ad Uribe nel
2002. Tale limite lo ha spinto in questa fase a smorzare i toni della
polemica elettorale, e persino ad offrire cariche di primo piano,
nell’esecutivo che verrà, ai piú importanti capi dei partiti
contendenti. Ne è una palese dimostrazione l’appello lanciato dal
presidente neo-eletto a lavorare alla cosiddetta “Unità
Nazionale”, che ricorda per certi aspetti il famigerato “Frente
Nacional” che sancì l’alleanza burocratico-istituzionale tra
conservatori e liberali per governare il paese, con alternanza
pianificata ed escludente, tra il 1958 ed il 1974.

Inoltre, Santos è co-artefice ed erede di un paese colpito duramente
dalla crisi economica mondiale, che ha aggravato le critiche debolezze
strutturali endogene: ad una forte recessione (che nemmeno le cifre
macroeconomiche manipolate dal bricolage statistico del ministero
delle Finanze e dalla Banca della Repubblica riescono ad occultare),
si aggiungono nel 2009 il crollo della produzione industriale e di
quella manifatturiera, la paralisi del settore edilizio e del
commercio, il coma del settore agrario (massacrato da decenni di
latifondismo ed agroindustria a bassa intensità di lavoro), la
diminuzione degli investimenti stranieri e la caduta in picchiata
delle esportazioni, tanto verso gli USA quanto verso il Venezuela
(fino all’anno scorso il secondo partner economico della Colombia).
Il tutto, senza dimenticare il buco fiscale (ma sarebbe meglio parlare
di voragine) che, secondo lo stesso ministero delle Finanze, sarà nel
2010 di 18,3 bilioni di pesos, così come l’aumento
dell’indebitamento estero di 3,7 miliardi di dollari (che si
aggiungono ai 51,2 pregressi), anch’esso relativo all’anno in
corso. Anche le rimesse erogate dai colombiani residenti all’estero
sono diminuite, e con esse il consumo interno (di cui le prime, si
badi bene, sono soltanto una delle tante variabili indipendenti).

Una tendenza economica negativa, quella appena descritta per sommi
capi, che compone il mosaico di una Colombia reale che i
trionfalistici squilli di trombe dei corifei e dei funzionari del
governo non possono capovolgere o resettare. E che nel capitalismo
storicamente e strutturalmente deformato e dipendente della Colombia,
nel quadro di quello mondiale in fase senile, sarà impossibile
invertire.

“Chucky” dovrà anche fare i conti con un’ecatombe sociale
fatta di disoccupazione e sottoccupazione croniche (oltre 10 milioni,
su un totale di 28 che compongono la popolazione economicamente
attiva), che un eventuale TLC con gli USA e quello recentemente
firmato con l’UE aggraveranno, di sfollamento forzato inarrestabile
(almeno 4,5 milioni di profughi interni), di incremento della violenza
sociale e della delinquenza, di distruzione del già precario sistema
nazionale sanitario, di smantellamento progressivo dell’educazione
‘pubblica’ (che è già da sempre appannaggio di pochi), di
povertà (oltre 20 milioni di persone) e miseria (oltre 7, secondo
cifre ufficiali perennemente e fisiologicamente tendenti al ribasso).

Ciò nonostante, in un paese in cui un giorno sì e l’altro pure i
media e i governanti sproloquiano di “imminente fine totale della
guerriglia”, di “inesistenza di un conflitto sociale ed armato”
e di “regno della democrazia e del benessere”, il compito più
arduo per Santos sarà quello di continuare a vendere fumo in merito
alla mal chiamata “Seguridad Democrática”, ritardandone il più
possibile il collasso.

FALLIMENTO DELLA “SEGURIDAD DEMOCRÁTICA” E DELLA STRATEGIA DI
ANNIENTAMENTO DELLA GUERRIGLIA

Fin dalla campagna elettorale per la presidenza in prima battuta, e
dal suo insediamento poi, il leit motiv di Uribe è stato, coltello
tra i denti, la promessa del “recupero del territorio in mano ai
gruppi armati”, il “ripristino dell’autorità istituzionale su
tutta la superficie nazionale”, il “rilancio della fiducia da
parte dei grandi investitori stranieri (‘confianza
inversionista’)”, previa capacità di garantire loro piene
agibilità e sicurezza manu militari; e il cavallo di battaglia,
naturalmente, “lo sterminio del terrorismo”.

Con un linguaggio arrogante e volgare, e con una politica di
pressioni sui media tendente ad affinare una censura -ottenuta senza
troppo sforzo, per la verità- utile ad occultare il reale andamento
e la vera portata del conflitto sociale ed armato, Uribe ha promesso
ciò che non ha potuto conseguire, e che nemmeno Santos potrà
materializzare.

Dopo anni di cospicue iniezioni di armamenti sofisticatissimi,
tecnologie militari di punta ed assessori e mercenari gringos via
Plan Colombia, con miliardi di dollari erogati da Washington con il
pretesto della “lotta al narcotraffico”, i risultati sui campi di
battaglia rurali ed urbani erano desolanti. E’ stato allora
implementato un primo “salto qualitativo” denominato “Plan
Patriota”, articolato e diretto dal South Com del Pentagono sulla
base dei “comandi congiunti interforze” già usati in Iraq dal
2003 in avanti, e dell’impiego massiccio e combinato dei piú
avanzati strumenti di tecnologia satellitare e d’intelligence in
tempo reale, una moderna e potenziata aviazione militare e grandi
contingenti (intere divisioni) di truppe speciali destinate a
“stanare” l’insorgenza nel sud-oriente e sud-occidente
colombiano, ossia nelle regioni in cui il controllo e la presenza
delle FARC sono più estesi e capillari.

Anche il “Plan Patriota”, che partiva dalla premessa secondo cui
la superiorità tattica aerea sarebbe stata decisiva in senso
strategico, non ha raggiunto alcun obiettivo apprezzabile, ad
eccezione dell’uccisione dei Comandanti Raúl Reyes ed Iván Ríos
(del Segretariato dello Stato Maggiore Centrale delle FARC), agli
inizi di marzo 2008. Quando a questi sensibili colpi si è aggiunta
la scomparsa fisica, per un attacco cardiaco, del Comandante in Capo
dell’insorgenza, Manuel Marulanda Vélez (avvenuta il 26 marzo ma
resa pubblica solo a fine maggio 2008), il governo e gli alti comandi
militari colombiani hanno dichiarato imminente l’estinzione delle
FARC, annunciando al mondo intero la prossimità di una nuova fase,
quella del ‘post-conflitto’. Concetto fallace e bizzarro, oltre
che in aperta contraddizione con la negazione, da parte di Uribe,
dell’esistenza del conflitto medesimo.

Secondo il Ministero della Difesa colombiano, nel corso del secondo
mandato di Uribe migliaia di guerriglieri si sarebbero arresi e
consegnati alle autorità, o sarebbero stati catturati o
“abbattuti”, e non basterebbero le dita di entrambe le mani per
contabilizzare i fronti fariani disarticolati dall’offensiva della
‘Seguridad Democrática’. Se al termine dei dialoghi di pace con
l’allora presidente Andrés Pastrana (febbraio 2002), le stime
governative riferivano di 18-20.000 combattenti (cifre mai confermate
dal Segretariato), ora parlano di 6-7.000 effettivi e di
un’organizzazione “allo sbando”, in continua “ritirata verso
le aree piú remote della selva” amazzonica colombiana, che “ha
perso i corridoi strategici” ed “altamente in fase di
decomposizione interna”. Tuttavia, questa altisonante e baldanzosa
fraseologia non è suffragata dai reali dati relativi all’andamento
del conflitto armato: nel solo 2008, le FARC hanno teso 42 imboscate
ai militari del regime, offeso in 640 azioni il nemico con esplosivi
di diverso tipo, attaccato 52 volte l’aviazione militare e 437 le
truppe di terra, protagonizzato 227 combattimenti e scontri,
dinamitato e/o sabotato 28 tralicci elettrici dell’alta tensione, 9
banche, 7 stazioni di polizia, 9 punti di oleodotti, 4 pozzi
petroliferi e 21 imprese di proprietà dell’oligarchia
narco-paramilitare. Su tutta la superficie colombiana 1029 militari
(tra cui 17 ufficiali e sottufficiali), 61 poliziotti e 47
paramilitari sono morti, mentre ne sono rimasti feriti 660, 53 e 9
rispettivamente. 2 elicotteri sono stati abbattuti e 23 sono stati
messi fuori combattimento, così come 6 aerei da guerra. Inoltre,
sono morti 58 guerriglieri, e 59 sono stati feriti.

Dati parziali concernenti i mesi di gennaio e febbraio 2009,
rendevano conto di almeno 450 tra imboscate, azioni di disturbo,
assalti, scontri ed attacchi guerriglieri, con 224 soldati e
poliziotti morti e 256 feriti. Nel solo mese di marzo, i blocchi
armati ed i posti di blocco (in oltre 42 punti del Paese), le azioni
di propaganda armata ed i sabotaggi sono stati oltre 400; 44 sono
stati i combattimenti, 193 le azioni di disturbo, 11 le imboscate, 12
gli attacchi anti-aerei, 87 i campi minati, 19 gli scontri, con un
saldo di 297 militari, poliziotti e paramilitari morti e oltre 340
feriti.

Nel periodo intercorso tra il 1 gennaio ed il 29 aprile 2009, 535
effettivi della ‘Seguridad Democratica’ sono morti, e 604 sono
rimasti feriti; ugual sorte hanno avuto, rispettivamente, 22 e 19
guerriglieri.

E se la restante parte del 2009 ha confermato questa tendenza,
propria di un cruento conflitto tra quelle che sono indiscutibilmente
due parti belligeranti, alcuni dati parziali relativi al 2010
dimostrano che la “Seguridad Democrática” è vittoriosa soltanto
sulla carta straccia e nei teatrini dei media oligarchico-borghesi. A
titolo non esaustivo, ma comunque esemplificativo, prendiamo in
considerazione i dati che concernono il periodo che va dal 4 aprile
al 7 giugno di quest’anno: in diversi scontri ed azioni insorgenti
sono morti 236 militari, 33 poliziotti e 38 paramilitari, mentre i
feriti sono stati 305, 37 e 24 rispettivamente. Per quanto riguarda
le FARC, 20 guerriglieri sono caduti e 27 hanno subito ferite di
diversa entità.

Oltre alla durezza e all’escalation del conflitto, la cui esistenza
è intrinsecamente confermata da queste cifre, ne emerge una
guerriglia tutt’altro che allo sbando, decomposta e, cosa ancor
piú importante, ideologicamente sconfitta. Solo un movimento
insorgente poderoso, organizzato, disciplinato e con un forte
appoggio di massa (benché su base rigorosamente clandestina) può
resistere all’ondata esplosiva di oltre mezzo milione di effettivi
del regime (tra Forze Armate e di Polizia), riorganizzati e
potenziati grazie ai circa 10 miliardi di dollari iniettati dagli USA
per sconfiggerlo, ed incrementare progressivamente la quantità e la
qualità degli operativi di diversa natura, tanto nelle aree rurali
quanto in quelle urbane. Tutto ciò è stato ed è possibile in
virtù dell’applicazione creativa ed ordinata della guerra di
guerriglia sul piano tattico, sopperendo alle perdite dei quadri
dirigenti del marzo 2008 con il subentro di comandanti altamente
preparati e sperimentati in loro vece, e con il meccanismo della
direzione collettiva e del centralismo democratico a tutti i livelli.

Mentre Uribe ha oscillato in tutti questi anni tra l’esigere
pubblicamente le dimissioni a diversi alti comandi militari, accusati
d’incompetenza nella “lotta al terrorismo”, e l’esternare
trionfalisticamente risultati mirabolanti che riflettono soltanto la
guerra psicologica e la Colombia virtuale, il boomerang della realtà
gli ha presentato il conto. L’annunciato e nuovo “Salto
Strategico”, articolato in sei fasi a partire dall’agosto 2010,
dovrebbe consistere nel “rendere irreversibili le vittorie delle
Forze Armate” contro le FARC in diverse regioni del paese,
combinando “offensive militari risolutorie” con il radicamento
della presenza dello Stato sui piani politico, giudiziario,
amministrativo, sociale ed economico, laddove storicamente ha
brillato per la sua assenza o è stato espulso e disarticolato dal
movimento insorgente, fautore della costruzione su base territoriale
e locale di potere popolare (chiamato “Nuevo Poder”).

Tale “Salto Strategico”, che si avvarrà indubbiamente degli
oltre 520 milioni di dollari elargiti dal Pentagono nel 2010, si
tradurrà in un altro fallimento totale, soprattutto alla luce di una
bomba a orologeria il cui timer sta per far detonare un mix esplosivo
composto da due ingredienti, su cui vale la pena di fare alcune
precisazioni: la putrefazione interna alle Forze Armate del regime, e
l’insostenibilità economica della guerra nel quadro della più
generale crisi economica.

Sul primo, diremo che non si tratta di un fenomeno nuovo, e tuttavia
sta mostrando palesi sintomi di accelerazione: i cosiddetti “falsos
positivos”, termine eufemistico coniato dallo stesso Santos per non
parlare di “omicidi di Stato”, evidenziano l’assenza totale di
etica e rispetto per i diritti umani del popolo da parte dei
militari, ed al contempo la propensione ad uccidere giovani innocenti
(oltre 2000, presentati poi come guerriglieri ‘abbattuti’ in
combattimento) solo per ricevere ricompense materiali, promozioni e
licenze-premio. La denuncia e lo smascheramento di tale aberrante
pratica, stimolata dalle politiche del governo a colpi di ricompense
ed utile a presentare vittorie pirriche contro la guerriglia, hanno
generato uno scandalo di proporzioni enormi che ha avuto
inevitabilmente una ripercussione negativa sul morale delle stesse
truppe, storicamente avvezze a godere di un’impunità totale che
Santos farà di tutto per perpetuare, de iure e de facto. Truppe su
cui pesa il fardello di non riuscire a sconfiggere le FARC, nel mezzo
di pressioni a tutti i livelli, danno sempre piú segnali
inequivocabili di sbandamento: una media di 6 militari suicidi al
mese, diversi casi di ufficiali che torturano i sottoposti durante
addestramenti massacranti ed umilianti, soldati che si intascano
bottini personali di guerra (mercenarizzazione), aumento delle
diserzioni per fuggire da una guerra combattuta difendendo gli
interessi dell’oligarchia quale classe a cui i soldati non
appartengono, paranoia di essere catturati in combattimento
dall’insorgenza e passare anni come prigionieri di guerra nella
selva (di fronte all’indifferenza di un potere che continua a
rifiutarsi di giungere ad uno scambio di prigionieri con le FARC),
volontà della maggioranza dei giovani di dire no al servizio
militare obbligatorio, e potremmo andare avanti... Se a ciò
aggiungiamo il prorompere di uno scandalo che lo stesso ex capo
paramilitare Salvatore Mancuso (estradato negli USA e la cui famiglia
in Colombia è minacciata affinchè non parli) ha annunciato come
“più doloroso e traumatico della stessa parapolitica”, ossia il
cordone ombelicale che univa ed unisce i paramilitari alle
“gloriose” Forze Armate dello Stato, il quadro critico che le
ingabbia è completo.

In merito al secondo ingrediente, che dicevamo essere
l’insostenibilità economica della guerra dello Stato contro il
popolo, è opportuno prendere in considerazione alcuni aspetti,
estremamente contradditori. Da una parte, il governo colombiano ha
speso dal 2002 ai giorni nostri percentuali spropositate del bilancio
nazionale e del PIL (3,7% nel 2010, la più alta dell’America
Latina). A dispetto dei proclami sull’imminente sconfitta
strategica del movimento guerrigliero, agli inizi di aprile 2009 lo
stesso ex ministro della Difesa Santos aveva annunciato l’arrivo di
15 elicotteri da guerra Black Hawk, più altri 10 entro la fine
dell’anno scorso, arrivando così ad 80 (un totale bugiardo, che
non tiene conto di quelli abbattuti o irrimediabilmente danneggiati,
e quindi da rottamare).

Dopo aver comprato 25 aerei da guerra turboelica Supertucanos (dal
complesso militare-industriale brasiliano di Embraer), ed aerei
multiuso Caravan e Super King, sono in arrivo pure 14 aerei per
l’addestramento di base. Dall’impresa aeronautica spagnola Eads
Casa, invece, nel 2008 sono stati acquisiti 4 aerei da trasporto
militare tattico Casa C-295. Nel 2007, parimenti, erano stati
acquistati 13 cacciabombardieri Kfir C-10 e C-12 dall’Industria
Aeronautica Israeliana (IAI), oltre ai suoi servizi per
l’ammodernamento di undici Kfir C-7, con un contratto -neanche a
dirlo- patrocinato ed autorizzato dal Dipartimento della Difesa USA.

Il governo Uribe, in questa corsa agli armamenti in funzione interna
ma anche regionale, ha comprato in totale 44 elicotteri da guerra e
da trasporto, 62 aerei, 11.000 veicoli, svariate piattaforme
d’intelligence, 161 navi da guerra di piccole e medie dimensioni,
140 lance militari “Piranha”, 1 incrociatore e 39 carri blindati
“Urutu”. In aggiunta, gli effettivi sono stati incrementati di
38.000 unità, e sono state create nuove brigate mobili di truppe
speciali.

Per sostenere economicamente questo scempio guerrafondaio, perpetrato
a detrimento della decapitata spesa sociale, Uribe aveva decretato una
tassa sul patrimonio della durata di quattro anni (2007-2010), pagata
dalle imprese dell’oligarchia. La tassa speciale, che prevede un
introito fiscale totale di 8,6 bilioni di pesos, ne garantirà
soltanto 8,2 (come riconosciuto dal viceministro della Difesa Juan
Carlos Pinzón). Di questa esorbitante somma, non ancora totalmente
incassata dall’erario, è già stato speso il 92%. Anche l’organo
di controllo statale (la Contraloría) ha ammonito che, di questo
passo, già nel secondo semestre del 2010 si manifesterà
l’impossibilità di continuare a foraggiare il pachidermico
apparato militare del regime, ragion per cui l’establishment è
già alla ricerca disperata di formule per prolungare, o meglio
ancora rendere permanente, la tassa di guerra, scaricandone il peso
impositivo sui settori popolari.

L’insostenibilità economica della guerra dello Stato contro il
popolo colombiano, come orizzonte a medio termine, è ben visibile e
futuribile alla luce del grave impatto della crisi mondiale
sull’economia colombiana e sulle sue diverse articolazioni, già
sinteticamente enunciato. Questo orizzonte, neanche tanto lontano, è
un nodo obbligato su cui ragionare per cogliere in pieno le enormi
difficoltà in cui si trova l’oligarchia narco-paramilitare, e che
dovrà affrontare il suo delfino “Chucky”. Anche in
quest’ottica va scrutata la portata dell’ “Accordo
Complementare di Cooperazione ed Assistenza Tecnica per la Difesa e
la Sicurezza tra i governi della Colombia e degli Stati Uniti”,
siglato il 30 ottobre 2009 senza che il Congresso ed il popolo
colombiani siano stati informati e chiamati a decidere in proposito.
Anche quando la pressione della maggioranza dei paesi della regione
è diventata insostenibile, ed i ‘compagni di merende’ del
Palacio de Nariño si sono visti obbligati a renderne pubblici testo
e contenuti, lo hanno fatto applicando tagli e censure evidenti; a
riprova del fatto che, per quanto i firmatari affermino il contrario,
gli obiettivi strategici in campo vanno ben aldilà della mera
“lotta al narcotraffico” enunciata come spina dorsale e ragion
d’essere dell’accordo stesso.

PROSPETTIVE A BREVE E MEDIO TERMINE

Il suddetto “Accordo”, caldeggiato da Uribe e da Santos ma
elaborato nelle sale tattiche del Pentagono, stabilisce
l’insediamento di 7 nuove basi statunitensi in territorio
colombiano: Palanquero (Base Aerea Germán Olano, Cundinamarca),
Bahía Málaga (Valle del Cauca, Pacifico), Apiay (Meta, Llanos
Orientales), Malambo (Barranquilla, Atlántico), Cartagena (Bolívar,
costa Caribe), Tolemaida (tra Cundinamarca e Tolima) e Larandia
(Caquetá), che si vanno ad aggiungere a quelle di Tres Esquinas
(anch’essa nel Caquetá), alle potenti basi-radar nei dipartimenti
del Guaviare e dell’Amazonas, alla base di Marandúa (Vichada) ed
alle sedi della Brigata 18 e della Brigata Mobile 5 (Arauca).

Senza dilungarci oltremodo su questo passaggio, per sviscerare il
quale occorrerebbe un materiale di approfondimento a parte,
segnaliamo un dato in particolare in virtù della sua rilevanza
strategica: la base di Palanquero, prossima a Bogotá e per il cui
ammodernamento gli USA hanno stanziato per il 2010 ben 46 milioni di
dollari, ha la capacità di “ospitare” aerei da guerra di grandi
dimensioni (come il C-17 ed il Galaxy C-5) grazie ad un’imponente
pista, permettendogli un raggio d’azione che includerà tutta
l’America centro-meridionale e gran parte della costa occidentale
africana. Inoltre, nei piani del Pentagono questa base dovrà essere
in grado, dal 2025, di mobilitare 175.000 militari completamente
equipaggiati nel giro di 72 ore. Alla funzione contro-insorgente e
repressiva interna, dunque, si aggiunge quella di garantire una
logistica permanente al fine di aggredire i processi bolivariani ed
antimperialisti che hanno luogo nel continente, a partire dal
Venezuela.

Dell’ulteriore -e inevitabile- escalation senza soluzione di
continuità del conflitto sociale ed armato colombiano, propiziata da
Santos e dall’imperialismo, abbiamo già detto. Santos, per quanto
portatore di un pedigree oligarchico, è e resta una marionetta degli
Stati Uniti, che lo useranno per incendiare la regione nel quadro di
una controffensiva imperialista che, oltre alle 7 basi, si sta
articolando con la riattivazione della IV Flotta USA, golpes militari
a geometria variabile (come in Honduras), tentativi di
destabilizzazione in diversi paesi (come Venezuela, Nicaragua,
Bolivia, Ecuador) in cui la possibilità di ricorrere
all’assassinio dei rispettivi presidenti è tutt’altro che
accantonata, ecc.

Lo Stato colombiano, per quanto Washington e Bruxelles cerchino di
sdoganarlo, continuerà a giocare il ruolo di “Israele
dell’America Latina” e ad essere isolato, o quantomeno guardato
con diffidenza (con l’eccezione di quei paesi asserviti
all’imperialismo come Perù, Cile e Messico su tutti). Un regime,
quello di Santos, che non cesserà di boicottare ed attaccare
processi d’integrazione come l’ALBA o UNASUR, e che non lesinerà
sforzi nel tentativo di compiacere lo zio Sam.

Il popolo colombiano, che maggioritariamente si è astenuto dal
partecipare all’ennesima farsa elettorale, dovrà serrare le fila,
ricomporre le proprie forze ed incrementare la lotta contro quello
che sarà un governo di fame, miseria, esclusione sociale,
disoccupazione, sfollamento forzato, svendita totale della sovranità
nazionale, repressione e morte.

Ed anche se sarebbe sfuocato associare l’intera astensione ad una
volontà di opporsi attivamente al regime del continuismo
Uribe-Santos, non si può sottovalutare, o peggio ignorare che una
gran parte di essa non solo non è apatica, ma è decisamente in
rotta di collisione col modello economico, politico e sociale imposto
dalla dittatura oligarchica, che si autorappresenta come
“democrazia” attraverso istituzioni paramilitarizzate, corrotte,
in simbiosi con le mafie narcotrafficanti, illegali ed illegittime.

La gran sfida, lanciata dall’insorgenza e dalle organizzazioni
popolari, comprese quelle deluse da uno screditato ed amorfo Polo
Democratico Alternativo (il cui recente candidato alla Presidenza, il
rinnegato ed opportunista Gustavo Petro, si è già riunito con Santos
per salire sul carrozzone della “Unidad Nacional”), è quella di
trasformare quella porzione di astensionismo passivo in movimento
attivo, per incrementare quantitativamente e qualitativamente un
movimento popolare che sarà di resistenza, lotta ed assalto al
cielo.

Associazione nazionale Nuova Colombia

Torino, 29 giugno 2010



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