著者: marcantonio lunardi 日付: To: forumlucca 題目: [Forumlucca] SONO STATA UNA SPIA DELLA CIA",
JUANITA CASTRO SI RACCONTA
è lunghetta però è bellina ... dai
Juanita Castro si racconta
cinquant'anni dopo
Maria R. Calderoni
«Signore e signori, un cordiale buonasera. Permettetemi di presentarvi
la signorina Juanita Castro Ruiz, sorella di Fidel Castro, primo
ministro del governo cubano, e di Raùl Castro, capo dell'esercito di
quel paese. La signorina Castro ha delle dichiarazioni da fare». E' la
sera del 29 giugno 1964, Città del Messico, conferenza stampa
convocata «per tutti i mezzi di informazione nazionali ed esteri» e
mandata in onda sui canali 4 e 5 della Tv messicana, moderatore
«l'importante» giornalista Guillermo Vela. E alla Tv messicana c'è
proprio lei in persona, la sorella di Castro, «centinaia di flashes
lampeggiarono verso di me», racconta lei stessa in questo
inimmaginabile libro firmato da lei medesima - I miei fratelli Fidel e
Raùl. La storia segreta , Fazi editore, pp. 453, euro 19,50 -. Una
"amena" autobiografia spuntata fresca fresca cinquant'anni dopo, in
cui lei, la signorina Castro-sorella-di-Castro, racconta ilare e
leggera come e perché fu a lungo una spia a libro paga Cia. Come e
perché, cinquant'anni dopo «non mi pento. E se dovessi scegliere oggi
lo rifarei».
29 giugno 1964, Città del Messico, quella che la Signorina Castro-
sorella-di Castro fa alla tv messicana è una dichiarazione «che
constava di sette pagine e che durò undici minuti. In quegli undici
minuti i trentun'anni della mia vita ebbero un sigillo definitivo,
perché la denuncia toccava temi fondamentali, dalla infiltrazione
comunista alla perdita delle libertà fondamentali dei cubani». Appena.
La dichiarazione-bomba deflagrò in tutto il mondo, come previsto; e
naturalmente anche a Cuba. Racconta sempre la ineffabile Juanita.
«Venni a sapere, per televisione, della reazione di Fidel. Rimase in
silenzio per tre giorni, poi approfittò di un ricevimento offerto
dall'ambasciata del Canada all'Avana per affrontare il tema davanti a
decine di giornalisti cubani e internazionali. «Sapevo che mi avreste
fatto una domanda sulla più grande infamia che l'imperialismo yankee
abbia ordito contro la Rivoluzione cubana. Questo fatto in termini
personali, per me, è molto amaro e profondamente doloroso, ma
comprendo che è il prezzo che un rivoluzionario deve pagare. Voglio
che registriate la mia dichiarazione testualmente: Juanita, mia
sorella, è stata comprata dall'imperialismo yankee e il discorso che
ha pronunciato è stato scritto nell'ambasciata degli Stati Uniti a
Città del Messico».
Assolutamente vero, lo dice lei stessa, la Ineffabile Juanita. A
pagina 387 del suo Ineffabile Libro. Lei ha lasciato Cuba «per sempre
» - in dissenso sulla «deriva comunista» che la Revolución sta
prendendo, soprattutto per colpa di quell'odioso Che - e riparato a
Città del Messico: «Siccome arrivai di venerdì, non vidi Enrique, il
mio contatto con la Cia, prima di lunedì». E lui, «che puntualmente ci
stava aspettando, lunedì 22 giugno non perse tempo e dopo i saluti di
cortesia mi consegnò la bozza che conteneva i punti più importanti.
Era scritta a mano, l'aveva stilata lui stesso».
Letta e approvata, niente da aggiungere, se non un piccolo particolare
che la Signorina Castro si premura di far inserire lì all'istante.
Nella denuncia-versione Cia che si accinge a fare davanti all'universo
mondo, «per me è molto importante includere le attività del comandante
Manuel Pineiro, detto Barbarossa, perché questo individuo è
responsabile dell'esportazione della guerriglia in tutta l'America
Latina, lavora come direttore del Servizio di Intelligence e Sicurezza
dello Stato, è molto legato al Che e sovrintende direttamente a tutte
le operazioni cubane rivolte all'America latina». Sic . Una delazione
in piena regola, nome e cognome, un uomo consegnato direttamente e
spontaneamente ai killer dell'Agenzia.
Sconcertante. Di sua volontà, a 76 anni suonati, da Miami dove tuttora
si trova, la Signorina Castro ha deciso di vuotare il sacco, e lo fa
allegra e contenta, come se raccontasse una gita spensierata, senza
mai sfiorare una sia pur piccola corda emotiva. Consegna alla Cia i
suoi fratelli e i suoi amici, i suoi compagni del Movimento 26 Luglio
e dell'assalto al Moncada, i guerriglieri della Serra che ha
conosciuto da vicino e molti di persona; e lo fa freddamente,
consapevolmente, doverosamente . In nome della lotta al comunismo,
come si premura di «spiegare» lei stessa: «Non si fa una rivoluzione
consegnandola al comunismo». Meglio consegnarla alla Cia.
Il nome e la faccia di Juanita spariscono dall'album di famiglia,
Fidel la fa cancellare da tutte le foto; ma nemmeno a Città del
Messico la sua delazione targata Usa la passa liscia; sono in molti
anche lì a trovarla disgustosa oltre che scandalosa. All'«importante»
giornalista viene sospeso il programma, e spuntano cartelli del tipo:
"Signorina Castro, sappiamo che lei lavora per la Cia. Quanto la
pagano?".
Insomma, subito dopo la clamorosa performance televisiva, per lei non
è aria, deve sloggiare; e per fortuna c'è Enrique (il suo vero nome è
Tony Sforza): «Mi portò quindi in una villa meravigliosa a Loma
Chapultepec». Niente da fare, anche lì la spia di nome Castro non è
gradita, per fortuna c'è sempre Enrique, «quello stesso giorno, a
bordo di un aereo privato, partimmo alla volta di Puerto Villarta».
Che cara ragazza. «La mia più grande sorpresa - scrive, scrive! - fu
scoprire che quel meraviglioso appartamento con vista sul mare
apparteneva alla Pan American Airways, così come lo yacht che ci
misero a disposizione». Non per soldi, ma per la lotta al comunismo. E
lì «finalmente mi sentii protetta dagli interminabili attacchi degli
alleati del regime».
Spia di lusso, a ottobre dello stesso 1964, sbarca a Miami, alloggiata
all'Hotel Dupont dove la "Compagnia" ha predisposto che la sua
permanenza «sia piacevole al massimo grado»; e dove il suo "contatto"
si chiama Salvador Lew, «la persona migliore che abbiamo, è cubano,
anticomunista a prova di bomba e ha ottime relazioni con l'esilio, nel
cui seno lavora già insieme a persone che hanno lo stesso interesse
per la libertà di Cuba» (leggi le organizzazioni degli esuli cubani al
soldo dei servizi segreti Usa) .
E' a posto, adesso, la Signorina Castro, è al posto giusto, è a tempo
pieno nella Cia. Verrà l'"Operazione Peter Pan" (finalizzata a
togliere i bambini «dagli artigli del comunismo»); verrà la
"Fondazione Martha Abreu" (mascherata, come tutte le altre, da
associazione umanitaria), totalmente e abbondantemente finanziata «da
noi», leggi Cia.
Una vera pacchia, per la spia di nome Castro, nome in codice "Donna".
Finché arrivò la "catastrofe", da lei riassunta nelle due nuove,
deplorevoli parole : "Coesistenza pacifica e Contenimento", gennaio
1969. Usa e Urss inaugurano un nuovo corso, «puntualissimi vennero da
me due agenti della Cia. Si presentarono semplicemente come l'Agente A
e l'Agente B». Senza preamboli e nessuna «delicatezza», le dicono
questo: che il confronto tra il governo Usa e Cuba ha preso un'altra
piega e quindi lei deve piantarla e anzi fare dichiarazioni consone al
clima della "distensione" in atto e magari giurare che il comunismo
non minaccia affatto l'America latina...
E' la fine di "Donna" e anche dei lauti fondi della "Fondazione", la
Signorina Castro non serve più allo scopo, licenziata su due piedi;
finisce a fare la commessa presso la Mini Price Pharmacy. Non senza
grande dispiacere; e non senza aver tentato di implorare dal senatore
Helms - sì proprio il promotore della legge Helms-Burton, ancora più
restrittiva in materia di maledetto "bloqueo" - il mantenimento di
quelle «risorse che abbiamo chiesto per combattere il comunismo e che
ora ci vengono negate e ridotte senza spiegazione». Lettera firmata
"rispettosamente Juanita Castro": «Ricevetti come risposta il più
totale silenzio».
Libro senza onore. La spia della Cia di nome Castro ha perlomeno
dimenticato di aggiungere un'appendice alla storia qui raccontata.
Magari intitolata: il prezzo del terrorismo targato Usa a Cuba.
Dimenticato di segnalare, così, en passant , che quel terrorismo lì è
costato lacrime e sangue, nel senso letterale del termine. Ci sono
dati, numeri, rapporti ufficiali, denunce circostanziate presentate
anche all'Onu. Bombe incendiarie da aerei statunitensi sganciate sul
territorio cubano già a partire dal 1959; un cargo francese che nel
1960 esplode all'Avana (75 morti e oltre 200 feriti); nel '61 sbarco
(fallito) alla Baia dei Porci; e a seguire, per tutti gli anni
Sessanta, è in atto quella ininterrotta campagna terroristica -
interamente finanziata dalla Cia con 50 milioni di dollari l'anno -
denominata "Operazione Mangusta" (saltano in aria zuccherifici,
viadotti ferroviari, magazzini, campi di canna da zucchero, navi
sovietiche); né mancano atti di guerra chimica e batteriologica; il 6
ottobre 1976 esplode in volo un aereo della Cubana (muoiono 73
persone, tra cui l'intera squadra nazionale giovanile di scherma); nel
1997 numerose bombe sono lanciate contro alberghi e strutture
turistiche, tra le vittime anche il nostro connazionale Fabio Di
Celmo; nel 2000, per mano del famigerato Posada Carriles, ennesimo
tentativo - ce ne furono oltre 600 - di assassinare Castro durante una
conferenza all'Università di Panama (15 chili di esplosivo e duemila
studenti presenti). Tanto per citare, è di 3.478 morti e 2.099
invalidi permanenti il conto del terrorismo Cia a Cuba. Senza
calcolare l'infinita ferita causata da quel "Blocco" che dura da
sessant'anni (il più lungo della storia, con un danno economico
intorno ai 90.000 milioni di dollari, oltre 4 milioni nel solo 2006)...
Libro chiuso. A lettura finita ci viene in mente, chissà perché,
quella frase di Sartre: «L'anticomunista è un cane».