[NuovoLab] La Diaz per loro

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Autor: ugo
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G8 GENOVA

La Diaz per loro

La democrazia violata, l'impunità, l'Italia del
2010 Le domande di un protagonista della «notte cilena»


Lorenzo Guadagnucci


Caro direttore, la notte del 21 luglio 2001 uscii
dalla scuola Diaz coi piedi in avanti, legato a una barella e le braccia
fasciate alla meglio: una posizione davvero umiliante. Attraversando il
cortile, in mezzo a decine di poliziotti e con un elicottero che faceva
un rumore infernale, colsi un'immagine che resta uno dei ricordi più
netti che ho di quella notte: c'era un gruppetto di signori, in giacca e
cravatta, che confabulavano; qualcuno parlava al telefonino. Mi parvero
degli alieni. Chi erano? Che facevano così compìti in quel luogo di
violenze, sangue, urla e pianti? Oggi posso dare loro un nome: erano
Francesco Gratteri, Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi e qualche
altro, insomma i dirigenti condannati la scorsa settimana in tribunale a
Genova. Mentre il presidente Salvatore Sinagra leggeva il verdetto, ho
ripensato a quella scena di nove anni fa e ai nostri percorsi: il mio e
il loro. Quella notte a me ha cambiato la vita. In breve, sono diventato
un attivista sociale: ho scritto un libro ("Noi della Diaz") per
raccontare quella notte, partecipato a molte centinaia di incontri in
mezza Italia, contribuito a fondare il Comitato Verità e Giustizia per
Genova. Ho voluto conoscere dei sindacalisti di polizia, per capire
meglio quel che succedeva dall'altra parte dei manganelli. Alla fine ho
capito che Genova G8 è stato un punto di svolta per il nostro paese: il
potere ha colpito e criminalizzato un movimento culturale e politico che
raccoglieva consenso crescente e poneva le domande giuste, e ha stretto
un patto tacito con i cittadini: benessere e "sicurezza" in cambio di
meno diritti e meno libertà. Nel gennaio 2009, quando è uscito il mio
libro "Lavavetri", dedicato al fantasma della sicurezza e alle ordinanze
repressive di decine di sindaci, ho capito di avere scritto il secondo
capitolo di "Noi della Diaz". Battersi per ottenere giustizia nei
processi scaturiti dal G8 e contestare i poteri di polizia dei sindaci,
le schedature del popolo rom, il diritto speciale per i migranti è
assolutamente la stessa cosa. Senza il G8 di Genova (e il gravame della
cosiddetta lotta al terrorismo dopo l'11 settembre) non ci sarebbe tutto
il resto, nemmeno la catena di violenze e di abusi contro cittadini
inermi (da Aldrovandi a Cucchi, Gugliotta e via elencando). È nel luglio
2001 che è cominciato il progetto di "governare con la paura".
Rammento
anche un'altra cosa. Il 24 luglio 2001, una volta scarcerato, mi feci
una promessa: fare il possibile per ritrovare la fiducia perduta la
notte di sabato 21, quando concetti come democrazia, garanzie
costituzionali, diritti umani smisero all'improvviso di sembrarmi
certezze sulle quali in Italia è possibile contare.
Quanto a loro, i
dirigenti che notai nel cortile della Diaz, non so che pensieri abbiano
fatto in questi anni. So che avevano carriere importanti alle spalle,
ero e resto convinto che avrebbero fatto bene a dimettersi già il 22
luglio, o almeno quando è arrivato il rinvio a giudizio. Ma l'unico
poliziotto che abbia pensato alle dimissioni per il disgusto provato di
fronte agli abusi della Diaz è il commissario Montalbano, amatissimo
dagli italiani ma come noto inesistente. E comunque alla fine, nel
romanzo "Il giro di boa", non si è dimesso neppure lui...
I nostri
dirigenti, come sappiamo, hanno addirittura fatto carriera, nonostante
la "macelleria messicana". Ora leggo che il capo della polizia Antonio
Manganelli e il ministro Roberto Maroni ribadiscono «piena fiducia» nei
loro confronti e annunciano che non saranno sospesi, in attesa che la
Cassazione si pronunci. Il sottosegretario Alfredo Mantovano aggiunge di
avere la «ragionevole presunzione» di ritenere che la Cassazione
cancellerà la sentenza d'appello e tornerà al giudizio di primo grado,
con l'assoluzione della catena di comando: non afferro su quali basi
Mantovano arrivi a questa «ragionevole» previsione, ma detta così
somiglia molto a un'indebita pressione sui giudici. In ogni caso la
fiducia governo è garantita e forse basta riflettere su questo concetto
per arrivare alla lezione conclusiva di Genova G8. All'indomani della
Diaz, quando pensavo alla fiducia da ritrovare, io mi riferivo a
qualcosa che sale dalla base verso il vertice, come normalmente avviene
nei regimi democratici. Oggi ministri e poliziotti hanno rotto tutti i
ponti con quest'antica concezione: la fiducia scende dal potere politico
verso il vertice di polizia e lì si ferma. Il circuito è chiuso: la
magistratura disturba, i cittadini non sono nemmeno presi in
considerazione. I dirigenti della Diaz, perduta la credibilità sia di
fronte ai magistrati sia rispetto ai cittadini, si rifugiano nella
"fiducia" del potere politico del momento. La domanda allora è: siamo
ancora in una democrazia? Non so, ma per quanto mi riguarda ho smesso da
tempo di parlare di democrazia senza usare aggettivi: autoritaria è
quello che mi pare al momento più calzante per il nostro paese.
Per
finire ho una domanda per i parlamentari dell'attuale opposizione. Non
voglio chiedere conto della commissione d'inchiesta naufragata nel 2007 e
nemmeno della promozione accordata dal governo Prodi a Gianni De
Gennaro: la sentenza propone nuovi scenari e vorrei quindi sapere da che
parte stanno, perché in questi giorni non sono riuscito a capirlo. Sono
con noi, che rivendichiamo giustizia e anche il diritto dei cittadini e
degli agenti di polizia ad avere dirigenti credibili e al di sopra di
ogni sospetto, o credono anche loro che il principio di fiducia è un
patto che unisce un ministero e un gruppo di dirigenti escludendo ogni
controllo esterno? Sarebbe importante saperlo, perché nei mesi prossimi
dovremo darci da fare per spezzare quel patto, che avvelena la
democrazia ma non è invincibile, e anzi può esistere solo se circondato
dall'indifferenza.

Dal manifesto del 25/05/2010



Ugo Beiso











Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal