[RSF] Clamori dalla Colombia

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Autore: Associazione nazionale Nuova Colombia
Data:  
To: forumroma
Oggetto: [RSF] Clamori dalla Colombia


13/05 - DURAMENTE CONTESTATO SANTOS IN CAMPAGNA ELETTORALE
Le Madri dei giovani di Soacha (Dipartimento di Cundinamarca),
vittime degli omicidi di stato chiamati eufemisticamente "falsos
positivos", hanno organizzato sabato 8 maggio una protesta

contro la campagna elettorale dell'ex ministro della difesa, il
`macellaio´ Juan Manuel Santos, candidato alla presidenza per il
partito di Uribe.

Questi omicidi sono avvenuti attirando con la promessa di un posto di
lavoro diversi giovani disoccupati, poi trucidati dall'esercito e
vestiti da guerriglieri, da mostrare come trofeo per ricevere
ricompense e premi.

Diverse decine di donne hanno protestato duramente per la presenza di
Santos nel municipio, poiché all'epoca delle sparizioni costui era
ministro della difesa, e dunque il primo responsabile di quei barbari
omicidi.

"Era il Ministro, non ha dato alcuna risposta per la sparizione di
nostro figlio, e adesso si presenta qui con false promesse", ha
affermato Luz Marina Bernal, una delle madri.

Il corteo, atto conclusivo della protesta, serve "per far sapere alla
gente che non deve farsi ingannare dalle false promesse che ha fatto
il candidato, che è uno dei colpevoli della morte dei nostri figli,
perché non si tratta di un solo ragazzo, ma di molti giovani di
Soacha", ha chiarito un'altra delle madri.

Juan Manuel Santos aveva in programma di salutare la popolazione
nella piazza principale della città, ma per poter continuare la sua
campagna presidenziale è stato costretto a ripiegare verso il
municipio di Madrid, circa 15 km a sud di Soacha, "per ragioni di
sicurezza".

Nel frattempo, le madri hanno dovuto fare ritorno alle loro case,
poiché non è stato loro permesso di raggiungere il luogo del
comizio, né tanto meno hanno potuto esercitare il diritto di parola
per dire in faccia a Santos la veritá.

Da tempo la procura colombiana sta indagando la morte di 812 persone,
in seguito ai "falsos positivos". Nel 2009 la Procura Generale della
Colombia ha reso noto di aver investigato negli ultimi sei anni 1603
militari per il caso dei "falsos positivos".

Tuttavia, come sempre accade in Colombia, il popolo non può contare
sulle istituzioni per avere giustizia dei delitti commessi
dall'esercito; per il caso di Soacha sono stati messi sotto processo
48 militari, che però ora si trovano in libertà per "scadenza dei
termini"; le ultime liberazioni di militari implicati sono state
effettuate lo scorso 19 marzo.

Lo stesso ex comandante dell'Esercito Nazionale della Colombia, il
generale Montoya, costretto alle dimissioni nel novembre del 2008,
lungi dall'essere stato processato, o quanto meno dal ritirarsi dalla
vita pubblica, è stato premiato con la carica di ambasciatore della
Colombia nella Repubblica Domenicana, ennesima conferma
dell'impunità dei militari quando esercitano la loro violenza contro
il popolo su mandato dell'oligarchia o delle multinazionali, o del
comitato d'affari che tutela i loro interessi: il governo
paramilitare colombiano

10/05 - ALLARME ONU PER L'AUMENTO DI SFOLLAMENTI FORZATI IN COLOMBIA
Secondo quanto denunciato il 4 maggio a Ginevra da Ariranga
Govindasamy Pillay, uno dei 18 esperti del Comitato dei Diritti
Economici, Sociali e Culturali dell'ONU, “lo sfollamento forzato
raggiunge la cifra di 150.000 persone all'anno, e nei primi due mesi
del 2010 sono stati assassinati 8 sfollati”. Queste dichiarazioni
sono state rilasciate durante l'analisi della situazione colombiana.

Il Comitato, infatti, vigila sul compimento del cosiddetto Patto dei
Diritti Economici, Sociali e Culturali, uno dei due patti fondativi
dell'ONU, prendendo in esame ogni quattro anni gli stati che lo hanno
ratificato, come la Colombia.

“Il 94% degli sfollati vive in condizioni di povertà e solo il 20%
delle terre sequestrate illegalmente è oggetto d'indagine” da parte
delle “forze dell'ordine”. Il restante 80% dei furti perpetrati ai
danni dei contadini colombiani resta nella più totale impunità,
secondo quanto afferma l'esperto.

“Abbiamo un grosso debito con gli sfollati interni, che sono
3.300.00, circa il 7% della popolazione”, ha dovuto riconoscere il
ministro colombiano della Pianificazione, Esteban Piedrahita, che non
ha potuto smentire le dichiarazioni di Pillay.

Secondo Zdislaw Kedzia, un altro esperto di questo Comitato, le
popolazioni indigene, che occupano il 30% del territorio colombiano,
e quelle afro-colombiane (5%), sono le più povere del paese.

Per Jomary Orteón Osorio, rappresentante del Collettivo degli
Avvocati della Colombia, la cifra reale degli sfollati interni supera
però i 4,5 milioni, cui sono stati sottratti col terrorismo di Stato
ben 6 milioni di ettari di terre coltivate o coltivabili.

“La metà degli sfollati colombiani è composta da donne, e non
c'è una politica del governo per la protezione dei diritti delle
donne, soprattutto riguardo la salute, la casa, il lavoro,
l'educazione e l'alimentazione”, sostiene María Eugenia Ramírez
della ONG colombiana CLADE, con sede a Ginevra.

Le cifre riportate, che fanno della Colombia, con il Sudan, il paese
al mondo con il maggior numero di profughi interni, sommate a quelle
che quantificano in oltre 200.000 gli sfollati negli ultimi mesi,
dimostrano inequivocabilmente la brutalità della guerra ininterrotta
che il narco-governo ed il para-stato colombiani continuano a muovere
contro le popolazioni contadine, “ree” di coltivare piccoli
appezzamenti di terra che fanno gola alle 200 famiglie
dell'oligarchia latifondista ed alle multinazionali straniere,
ansiose di accaparrarsi nuovi lotti da inglobare nella produzione
agroindustriale destinata principalmente alle esportazioni.

Gli sfollamenti forzati avvengono tramite minacce, sparizioni,
omicidi e ogni sorta di crimini, perpetrati al fine di terrorizzare i
residenti e costringerli alla fuga, e sono imposti dai paramilitari
colombiani, in stretta connessione con l'esercito regolare ed in
ossequio alle direttive dei più alti vertici politici, a partire da
Uribe, uno dei grandi responsabili dell’aggravarsi di questo
disastro sociale ed umanitario.

07/05 – FOTOGRAFO SPAGNOLO DENUNCIA: “AGGREDITO DALLA POLIZIA
COLOMBIANA IL 1° MAGGIO A BOGOTÁ”
Già denunciata ampiamente nel clamor precedente (04/05), la brutale
repressione della polizia antisommossa contro i manifestanti, durante
il corteo del 1 maggio a Bogotá, non ha risparmiato nemmeno quei
giornalisti ed inviati internazionali che stavano coprendo la
giornata dei lavoratori nella capitale del paese andino-amazzonico.

Un caso eclatante è stato quello del fotografo spagnolo Oriol
Segón, fotografo accreditato regolarmente come parte della stampa
straniera in Colombia.

La sua denuncia è più eloquente di qualsiasi ricostruzione
indiretta: “Questo 1°maggio (2010) stavo fotografando l’ambiente
della marcia della Giornata del Lavoro, nella città di Bogotá. Mi
sono sempre tenuto ad una distanza prudente dalle masse che
manifestavano, e mi muovevo debitamente accreditato col distintivo
della stampa. Vedendo una serie di poliziotti che colpivano un
presunto manifestante, mi sono accinto a fare alcune fotografie
(mantenendo sempre la distanza). E’ stato in quel momento che
almeno quattro poliziotti si sono scagliati contro di me, buttandomi
a terra, e mi hanno dato calci e colpi. Uno di loro mi ha colpito con
forza col manganello, premeditatamente, alla testa, provocandomi una
forte contusione.”

Gli sbirri del regime narco-mafioso colombiano, per occultare i loro
crimini contro i manifestanti, non potevano tollerare che reporters
di altri paesi documentassero l’accaduto.

Oriol Segón, che è dovuto recarsi da solo in ospedale, dove gli
hanno applicato dieci punti di sutura alla testa, ha infine
dichiarato una verità arcinota da tempo: “Dichiaro che, ancora una
volta, non è stata rispettata la libertà di stampa in Colombia. Che
c’è un tipo di informazione che le forze statali si negano a
condividere. Che la Polizia colombiana attenta deliberatamente contro
giornalisti, fotografi e tutti quei cittadini che si offrono di
testimoniare”.

Questa è la “democrazia più antica del continente”, in cui le
motoseghe ed i forni crematori dei paramilitari di Stato hanno
massacrato decine e decine di migliaia di persone indifese, colpevoli
di rivendicare una vita dignitosa o semplicemente di vivere in
territori ricchi di risorse naturali, da svendere alle multinazionali
del gran capitale euro-statunitense.

04/05 – 1º MAGGIO A BOGOTÁ: MOBILITAZIONI E SCONTRI
Come ogni anno, ma questa volta con maggior combattività, anche
questa giornata dei lavoratori si è dimostrata una occasione di
grande importanza per esprimere l’opposizione sociale al regime
filo-padronale e fascista di Uribe Vélez e degli aguzzini che
spremono le masse popolari colombiane.

A decine di migliaia gli operai, gli studenti, gli sfollati interni,
gli abitanti dei quartieri marginali, le donne e gli oppositori
politici al narco-governo delle oligarchie, hanno marciato per le vie
di Bogotá scandendo slogans contro i ripetuti e consistenti tagli
alla spesa sociale, le infinite privatizzazioni di imprese dello
Stato, la precarizzazione totale delle condizioni di lavoro e di
vita, i trattati di libero commercio e la persecuzione ai danni del
movimento sindacale e popolare.

I manifestanti hanno denunciato che in Colombia, paese con oltre 3,5
milioni di disoccupati e molti di più sottoccupati, la metà della
popolazione povera ed oltre il 18% che vive nella miseria, opporsi
alle politiche economiche e sociali imposte dal sistema vuol dire
essere stigmatizzati, perseguitati, arrestati con l’accusa di
“terrorismo” ed ammazzati.

Secondo il presidente della CUT (Central Unitaria de Trabajadores),
Tarcisio Mora, “durante il mandato del presidente Uribe, il cui
governo è iniziato il 7 agosto 2002, sono stati assassinati 527
dirigenti sindacali”, di cui 18 solo quest’anno.

Alla fine del corteo, nella storica e centrale Plaza de Bolívar, la
famigerata polizia antisommossa della Esmad (già nota per aver
ammazzato a manganellate diversi manifestanti nel corso di
violentissime cariche in mobilitazioni precedenti) ha provocato con
lanci di gas lacrimogeni, cercando d’impedire il comizio finale; i
settori più combattivi e decisi del corteo hanno risposto lanciando
pietre e bombe-carta ai “robocop” di Uribe, che a quel punto
hanno dovuto indietreggiare. Il saldo finale è di diversi feriti ed
oltre 50 arresti.

Il popolo colombiano è stanco di false promesse, carote ingannevoli
che nascondono soltanto gli insopportabili bastoni del neoliberismo e
del terrorismo di Stato, e lo hanno dimostrato ancora una volta.



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