[Sexyshock] mio articoletto su inGenere

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Author: giulia garofalo
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To: sexyshock, luccioleincantiere, gagiulia
Subject: [Sexyshock] mio articoletto su inGenere
ciao a tutte-i. il sito inGenere ha avviato un dibattito sulla prostituzione, a cui ho contribuito.
si possono aggiungere commenti e iscriversi alla newsletter, è un sito interessante. secondo me val la pena starci dentro
ciao ciao
giulia



Pubblicata su inGenere (http://www.ingenere.it)
Home > Articoli > La
prostituzione come lavoro
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La prostituzione  come lavoro 
di Giulia 
Garofalo 
La questione della prostituzione e del 
lavoro sessuale provoca grandi passioni e conflitti in chi ha a cuore la giustizia sociale. Per chi non è disposto ad accettare semplificazioni 
del tipo "la prostituzione è violenza", o "la prostituzione è un lavoro 
come un altro", non è facile avere direzioni per orientarsi su cosa 
pensare e perché. Il campo della prostituzione è caratterizzato da una 
fortissima cristallizzazione di potere,  si pensi per esempio al fatto 
che, mentre qui si ragiona, chi vende sesso è per lo più esclusa-o da 
ogni dibattito sull’industria in cui, bene o male, lavora, e vive una 
vita da criminale o semi tale. In questa situazione, per produrre 
conoscenza che sia diversa dagli stereotipi in circolazione, chi studia i fenomeni sociali ed economici deve necessariamente procedere con 
cautela. Operazione questa un po’ noiosa per chi di noi è abituato ad 
occuparsi di policies, e sicuramente faticosa, perché, come dice Daniela Danna nel suo contributo a questo dibattito, i nostri "investimenti" (materiali in senso 
ampio) nella prostituzione sono spesso parecchio dolorosi, come donne, 
ma anche, per alcune-i, come persone "etnicizzate", cioè subordinate 
lungo una linea di appartenenza etnica, razziale, nazionale o religiosa, o come persone queer (gay, lesbiche, bisessuali, transgender).
Dunque, al di là della scelta o non scelta, della violenza o non 
violenza individuali, delle condizioni di lavoro che, nonostante alcuni 
insistano a dire il contrario, possono cambiare (e devono essere 
cambiate!) di molto all’interno dell’industria del sesso (vedi, per 
esempio, Bernstein 2009), che cosa si può dire sul sesso commerciale che sia specifico eppure generalizzabile? Sulla base della ricerca di PhD 
che ho condotto fra il 2004 e il 2009 fra i movimenti di sex workers in 
Europa(1) , si scopre che possono essere molto utili in questo senso le 
domande che si pone chi vende sesso ed è persona politicizzata:
In che cosa il lavoro sessuale differisce, è meglio o peggio, del lavoro 
che faccio in un supermercato, o in un ospedale? del lavoro domestico o 
di cura che faccio per la mia famiglia? del sesso che faccio con i miei 
amanti o con mio marito?
Perché le-i sex workers sono per lo più 
donne, o queers, o persone etnicizzate, che servono uomini o persone più "bianche" o più etero di loro, e perché, quando così non è, non 
sembrano essere stigmatizzate-i nello stesso modo?
Perché e quando 
alcune-i sex workers si dicono orgogliose-i di ciò che fanno?
Perché 
le-i sex workers sono così sistematicamente stigmatizzate-i nonostante 
siano fra loro così diverse-i, in particolare per classe 
socio-economica, luogo di lavoro, eccetera?
    Le risposte esistenti all’interno dei gruppi autorganizzati di 
sex workers sono varie, e spesso restano mal articolate dal punto di 
vista teorico in mix fatti ad hoc e tendenzialmente piuttosto 
neo-liberali, anche perché i riferimenti teorici che vengono in aiuto 
scarseggiano. La difficoltà di combinare a livello teorico sesso e 
lavoro rimane un grande ostacolo. Chi teorizza il sesso è per lo più 
incapace di trattare di lavoro, si pensi a Judith Butler o Michel 
Foucault, che per altro hanno sistematicamente ignorato il sesso 
commerciale, e viceversa chi teorizza il lavoro non sa come teorizzare 
il sesso, si pensi al soffocamento concettuale che provoca pensare al 
sesso come un bene - o male - di consumo, come spesso si fa in economia. Un’importante eccezione rappresenta il lavoro di Paola Tabet (1989, 
2004), antropologa femminista materialista che per prima ha pienamente 
analizzato il sesso come uno dei lavori "delle donne", insieme al lavoro domestico, riproduttivo, di sostegno psicologico, e così via. Questo 
non significa, è bene precisare, che il sesso possa, in certe 
circostanze da indagare, non essere lavoro, o che il lavoro non possa 
essere piacevole, o creativo, o resistente. Detto questo, le domande 
poste dalle-dai sex workers attiviste-i sono a mio avviso un ottimo 
fondamento da cui ripartire per uscire dalla confusione che la 
prostituzione provoca, ed elaborare politiche di largo respiro.
     Il fatto fondamentale, ci dicono le-gli attiviste-i, è che al 
lavoro sessuale è associato uno stigma particolare: isolamento, 
violenza, vergogna, perdita del permesso di soggiorno per chi ne ha 
bisogno, impossibilità di farsi una famiglia, di avere il sostegno delle autorità, di avere una voce pubblica, di avere pensione o assicurazioni sanitarie, sono esperienze fin troppo frequenti per le-i sex workers. 
Il punto è: come analizzare questa situazione? Come modificarla? Chi ne 
trae vantaggio? Quello che le-gli attiviste-i ci dicono è che lo stigma 
in realtà è legato proprio al potenziale di resistenza che esiste(rebbe) nelle pratiche di prostituzione (se non fossero stigmatizzate) rispetto ai conflitti sociali che si giocano intorno al lavoro contenuto nel 
sesso (sex labour). Infatti, alcune-i dicono, il lavoro sessuale (sex 
work), potenzialmente, può permettere alle "classi" che lo praticano, 
cioè donne, queers, persone etnicizzate, di aumentare la propria 
autonomia, economica, ma anche di movimento, di vita, rispetto alle 
‘classi’ a cui sono subordinate, cioè gli uomini e le persone più 
bianche e/o più etero (i “normali”). Chiarificanti possono essere in 
questo senso queste citazioni di due attiviste-i:


Ovunque
andavo, ho sempre avuto la netta sensazione che ciò che i maschi
volevano in ogni caso era scoparti, quindi ho pensato perché non farsi
pagare invece che sentirsi molestata?
(Teresa, comunicazione
personale, Londra, 2007)

Come ragazzo marocchino arrivato in 
Francia, sarei dovuto diventare un delinquente di strada. Lavorando come prostituto almeno evito di distruggermi, e in più faccio i soldi sugli 
uomini francesi che si fanno i viaggi ch’io sia davvero un gangster!
(Adam, comunicazione personale, Bruxelles, 2005, trad. mia )
Da altre-i attiviste-i poi, il sesso commerciale è visto come una 
pratica che, potenzialmente, può essere socialmente creativa e perciò, 
ancora una volta, viene particolarmente stigmatizzata. Rispetto ad altri incontri con persone "normali", specialmente nel sesso non pagato, essa può diventare uno spazio di incontri diversi e interessanti. Forti in 
questo senso sono le parole della famosa poetessa e prostituta svizzera 
Grisélidis Réal:
La Prostituzione è un’ Arte, un Umanesimo e una Scienza. (…) Il 
corpo umano abitato dall’anima è uno strumento musicale, la sessualità 
il suo archetto. Con delicatezza e violenza, vibra, e raggiunge picchi 
di voluttà ed estasi. La sola Prostituzione autentica è quella delle 
grandi artiste tecniche e perfezioniste che praticano quest’artigianato 
particolare con intelligenza, rispetto, immaginazione, cuore, esperienza e volontariamente, per una sorta di vocazione innata: vere 
professioniste, coscienti del loro potere e dei loro limiti, che sanno 
mettersi nella pelle dell’altro, scoprire che cosa si aspetta, la sua 
angoscia, il suo desiderio, e come liberarlo da questi, senza provocare 
danno né per loro stesse, né per lui.
(Réal, 2005b, 8, trad. mia )
    Questi messaggi che le-gli attiviste-i ci mandano, è chiaro, 
assumono il proprio senso data la realtà di subordinazione e dipendenza 
delle donne, e più in generale degli "anormali", e dato il carico di 
responsabilità sproporzionato che queste-i portano non solo nella sfera 
del sesso ma anche più in generale nella sfera interattiva che è così 
importante nella costituzione dell’identità, sia essa stigmatizzata o 
normale. Cosa fondamentale, le-gli attiviste-i entrano nel merito di 
come promuovere le pratiche di resistenza che effettivamente, e 
nonostante il forte stigma, esistono nell’industria del sesso: per 
esempio ci parlano dell’importanza di poter dire no a (exit) qualunque 
pratica sessuale, a qualunque cliente, e di poter stabilire le "regole 
del gioco". E chiedono che si pensi ad interventi legislativi, 
culturali, politici, che rafforzino il potere relativo di chi lavora: la sicurezza, il controllo, la salute, la pensione, la mobilità, la 
creatività, invece di ridurlo come si fa con tutte le forme di 
criminalizzazione, sia essa delle-i migranti, dei clienti, o 
dell’industria tutta (vedi il "Manifesto delle-i sex workers in 
Europa"(2) e la "Dichiarazione dei diritti delle-dei sex workers in 
Europa" ). Infine ci impongono di chiederci chi, anche fra le donne, 
tragga vantaggio, e che vantaggio miope sia, dal fatto che le-i sex 
workers vedano diminuire il proprio potere relativo.
Note
(1) ‘The Political Economy of Sex Work in Europe’, University of East London, School of Social Sciences (Novembre 2009). La ricerca si è 
basata, tra l’altro, su anni di osservazione partecipante come attivista dell’International Union of Sex Workers, di x:talk  (2004-2008), dell’International Committee on the 
Rights of Sex Workers in Europe  (2003-2007), di cui facevano e 
fanno parte, in Italia, anche il Comitato per i diritti civili delle prostitute   e il MIT (Movimento Identità 
Transessuale)
(2)  Scritti in inglese, e tradotti in molte lingue, si trovano su www.sexworkeurope.org.
Bibliografia
Bernstein, Elizabeth: 2009, 'Temporaneamente tua. Intimità, 
autencità e commercio del sesso' Odoya, Bologna
Pheterson, Gail (ed.): 1989, 'A Vindication of the Rights of 
Whores: The International Movements for Prostitutes’ Rights, Seal, 
Seattle
1996, 'The Prostitution Prism', Amsterdam University Press, Amsterdam
Réal, Grisélidis: 2005, 'Carnet de bal d’une courtisane', 
Editions Verticales/Le Seuil, Paris
Tabet, Paola: 1989, ‘I denti della prostituta. Scambio, 
negoziazione, scelta nei rapporti sessuo-economici’, in DWF, 
n.10/11
2004, 'La Grande Beffa. Sessualità delle donne e scambio 
sessuo-economico', Rubbettino, Soveria Mannelli
Il dibattito su inGenere.it:
Daniela Danna "Il tappeto svedese sulla prostituzione"
Chiara Valentini "Punire il cliente. La strada svedese"
Maria Rosa Cutrufelli "Com'è cambiato il mercato delle donne"
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URL di origine: http://www.ingenere.it/articoli/la-prostituzione-come-lavoro