Vabuò non è che l'Unità sia super partes in questo caso ma certe cose  
le avevo notate anch'io.
Non condivido il titolo e l'atteggiamento generale ma possibile che  
nessuno
osi discutere apertamente sul luogo dove si è svolto tutto il  
feuilletton?
http://www.unita.it/news/italia/90919/marrazzo_quattro_passi_da_solo_verso_il_patibolo
Marrazzo, quattro passi da solo verso il patibolo
di Enrico Deaglio
Nella tarda mattinata di venerdì tre luglio del 2009, il governatore  
del Lazio, Piero Marrazzo, viaggia con l’autista della Regione sulla  
via Cassia. I quotidiani sono pieni di notizie sugli scandali sessuali  
del presidente Silvio Berlusconi; addirittura il presidente della  
Repubblica è intervenuto per imporre alla stampa una moratoria in  
occasione del G8 che sta per aprirsi nell’Aquila terremotata:  
Berlusconi rischia infatti di presentare al mondo un’Italia grottesca,  
ricattata e corrotta.
Marrazzo fa cenno all’autista. «Fermati qua. Faccio due passi a piedi».
È un gesto di gentilezza. Come dire, “ti tengo fuori da questa  
storia”. Il Governatore, senza occhiali scuri, senza cappelluccio, uno  
dei volti più riconoscibili della città per il suo passato televisivo  
e il suo presente politico, scende dall’automobile e si avvia verso  
uno degli indirizzi più malfamati e loschi di Roma: il numero civico  
96 di via Gradoli.
Non si sa con quale passo il Governatore compia la sua ultima  
passeggiata. Se di piede lento o veloce, se assorto o teso, furtivo o  
trasognato. Ma è possibile che sia semplicemente portato dagli eventi,  
attratto da una calamita. Non è una sfida, è piuttosto una marcia  
quietamente disperata verso un confuso patibolo. Al contrario di un  
“tirem innanz”, è un “andiamo fino in fondo, vediamo com’è”.
Il patibolo era stato effettivamente apparecchiato e quando Marrazzo  
vi sale trova non solo chi pensava lo stesse attendendo - l’amante  
brasiliana Natalì -, ma il campionario dell’Italia di oggi: il pusher  
che spaccia la cocaina in franchising per conto dei Casalesi; i  
carabinieri che da tempo lavorano con il pusher e con Natalì (le “mele  
marce”), il telefonino che gira il video, l’omertà dei coinquilini che  
non vedono e non sentono niente.
Lo minacciano, lo umiliano, gli mettono le mani addosso, lo denudano,  
lo filmano, lo derubano e lo ricattano. Il fatto che sia il presidente  
della Regione non conta nulla, anzi. La secolare sudditanza dei  
malfattori e dei carabinieri nei confronti del Potente svanisce.
Il fatto che la sudditanza sia svanita proprio al numero civico 96 di  
via Gradoli non può essere senza significato. E Piero Marrazzo,  
giornalista di inchieste, figlio di un famoso giornalista che si è  
occupato di potere, mafie e camorre, lo conosce benissimo.
Quella palazzina, trentuno anni fa, fu il centro operativo delle  
Brigate Rosse durante il primo mese del rapimento di Aldo Moro. Un  
appartamento era stato affittato da Mario Moretti, il capo delle Br,  
ed era servito, prima dell’azione, come deposito di armi, rifugio di  
latitanti e addirittura foresteria per militanti della lotta armata in  
cerca di relax. Talmente noto era il “covo”, che nei primissimi giorni  
del sequestro l’indirizzo prese a circolare. Il professor Romano  
Prodi, nel nobile intento di aiutare le indagini e salvare la vita di  
Moro, dichiarò che il nome di Gradoli era stato fatto nel corso di una  
seduta spiritica, ma il ministro degli Interni Francesco Cossiga mandò  
le truppe in una Gradoli in provincia di Viterbo, a vuoto.
Così Mario Moretti, insieme a Barbara Balzarani, continuò ad abitare  
in via Gradoli, senza preoccuparsi troppo di poter essere scoperto,  
fino a quando, il 18 aprile 1978, al 32esimo giorno del sequestro,  
uscì di casa e poco dopo l’acqua cominciò a gocciolare verso il piano  
di sotto. Infiltrazione, inquilino arrabbiatissimo, porta sfondata dai  
vigili del fuoco: et voilà, ecco a voi l’archivio delle Brigate Rosse,  
reso accessibile dal telefono di una doccia e da un rubinetto lasciato  
aperto.
Poi, molti anni dopo, si scoprì che nella palazzina molti appartamenti  
erano di proprietà di una società immobiliare che agiva per conto dei  
servizi segreti e ancora parecchi anni dopo la palazzina si adattò  
alla nuova economia residenziale, affittando appartamenti ai  
transessuali latinoamericani, che guadagnano bene, pagano bene e  
forniscono moltissime informazioni ai carabinieri sui Vip che le  
vengono a trovare.
Le case hanno spesso una loro storia, sono segnate e spesso anche  
popolate da fantasmi.
Nessuno sa con quale faccia, quel 3 luglio, Marrazzo abbia fatto il  
viaggio di ritorno verso la macchina di servizio, ma certo aveva negli  
occhi le prove generali della sua esecuzione, che infatti avverrà tre  
mesi dopo.
In quei tre mesi il Governatore non ha usato, né abusato del suo  
potere. Ha solo disperatamente aspettato che si attuassero le  
procedure. La sua storia era cominciata cinque anni prima: candidato  
alle elezioni perché era stato un popolare conduttore Tv “dalla parte  
dei cittadini”, era già stato sotto ricatto dei suoi avversari  
politici che avevano pensato di assoldare un viado contro di lui. La  
sua vita personale era a conoscenza di taxisti (i veri untori della  
morale pubblica romana), il suo partito non lo teneva in grande  
considerazione, una sua ricandidatura era dubbia, la sua immagine non  
appariva più quella del vincente difensore del popolo, e, sul piano  
della voracità economica, scontrarsi contro le cliniche private gli  
aveva fatto toccare con mano quanto feroce potesse essere la loro  
risposta.
E così il Governatore ha seguito, immobile, i movimenti del ricatto  
per tre mesi. Gli spostamenti e le duplicazioni del video, il destino  
dei suoi assegni, la morte del pusher, i piccoli tormenti di Natalì,  
il cd nella disponibilità dei padroni delle cliniche private, la  
melliflua telefonata di Berlusconi (“voglio darle una mano”, come  
nelle più ciniche battute dei film di gangster di James Cagney), il  
perfetto timing dei Ros contro le “mele marce” della compagnia  
Trionfale, una normale audizione in Procura come “persona informata  
dei fatti”, e poi - oh, finalmente, non ne potevo più - la mia testa  
che rotola.
Il nostro presidente del Consiglio, a differenza di Marrazzo, è invece  
ancora in sella. Gli angiporti di Casoria, la cocaina del pappone di  
Bari, le ragazzine che lo dileggiano, il mondo che lo dileggia, la  
dolente prostituta pugliese che lo registra e ne canta la mattina dopo  
le erezioni, la manifattura di farfalline, le guardie del corpo  
attonite, ma fedeli (queste non sono “mele marce”), la famigliarità  
con l’industria del ricatto, si sono dimostrate tutte armi inutili di  
fronte alla sua prorompente voglia di vita. I suoi sostenitori  
sostengono la sua primordiale verità: la femmina da possedere, da  
stuprare, da pagare. I suoi sostenitori ridono del debole Marrazzo,  
delle sue inquietudini e soprattutto della sua inettitudine. La  
questione del governo, alla fine, è tutta qua.
Dicono che gli italiani si riconoscano in Berlusconi e nel suo sogno  
realizzato: diventare molto ricchi, diventare molto potenti per potere  
finalmente permettersi una notte di docce fredde (sempre la doccia, a  
palazzo Grazioli come in via Gradoli) e di sesso con una petulante  
Patrizia D’Addario che gli chiede di risolvere il suo irrisolvibile  
problema di abuso edilizio. Dicono che Berlusconi sia talmente magico  
da convincere gli italiani che questa, solo questa, è la vita che vale  
la pena essere vissuta; il discorso amoroso e il condono edilizio.
Fece capire lui stesso, peraltro, di essere in grado di dare la vita,  
un figlio, a una donna in coma da diciassette anni. Nessuno si alzò  
per prenderlo a schiaffi, ma molti sicuramente videro quanta voglia di  
morte ci fosse in quelle sue tristissime parole.
Nell’augurio e nella speranza che l’immaginario del successo e del  
potere da trasmettere, possa essere meno tragico, mi resta la  
curiosità di che cosa succederà, non tanto di villa Certosa e di  
palazzo Grazioli, quanto della palazzina di via Gradoli 96. Chissà:  
forse l’appartamento di Mario Moretti è stato affittato a un trans, o  
è la base di un pusher.
Chissà, forse tra dieci anni, quando ci saranno nuovi inquilini, nei  
lavori di ristrutturazione edilizia, dietro la solita intercapedine,  
verrà ritrovato un pacchetto che nessuno aveva notato.
L’originale del video che ricattava Piero Marrazzo? Il filmato girato  
da Mario Moretti ad Aldo Moro nella prigione del popolo?
08 novembre 2009