[Sexyshock] (senza oggetto)

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Autor: mit.bo@tin.it
Data:  
Para: sexyshock
Assunto: [Sexyshock] (senza oggetto)
Nel gran pollario dell'affaire Marrazzo qualcosa di sensato. Gli
articoli mio e di Fabrizia apparsi rispettivamente su Manifesto e Gli
Altri

                                                Ma chi va con le 
trans?
Da  quattro giorni il telefono del MIT (Movimento Identità 
Transessuale) squilla in continuazione. Giornali  e televisioni 
nazionali e locali continuano a chiedere informazioni, confidenze, 
dichiarazioni sul caso Marrazzo. L’Italietta del gossip, quella piccina 
piccina impregnata di moralismo e molto poco di moralità ha bisogno di 
sbranare qualcuno. E la “bassa politica” che di quella italietta è 
prodotto e soprattutto produttrice, si scatena. Il paese degli 
ipocriti, quello del “si fa ma non si dice” sembra scoprire l’acqua 
calda, si scandalizza, si incuriosisce, si incazza perché quel politico 
compra prestazioni sessuali con i nostri soldi, ma soprattutto le 
compra dalle transessuali…que l’horreur!  Perché è su questo che si è 
puntata l’affaire Marrazzo, sul fatto che lui abbia tradito non solo il 
popolo ma soprattutto i suoi valori, anzi per essere più precisi il suo 
valore assoluto e cioè l’essere maschio! Nell’immaginario collettivo 
colui che va con una trans, va con una “non donna” deludendo, tradendo, 
rompendo quel patto sociale che nel privato pochi, anzi pochissimi, 
riescono a osservare alla lettera ed è proprio una questione di 
lettera, perché una A oppure una O fanno la differenza.   
Ho preferito 
non andare in nessuna trasmissione televisiva, troppe urla, poco 
ascolto e soprattutto perché interessava poco il mio sguardo sul 
fenomeno, mi si chiedeva invece, sempre e comunque, di raccontare la 
mia storia, esattamente come al Grande Fratello. Se ci fossi andata e 
mi avessero lasciato lo spazio mi sarebbe piaciuto rivolgere agli 
italiani la seguente domanda: di chi sono tutte quelle macchine che di 
sera, e non solo, si aggirano nelle strade in cerca di acquisti? Chi 
consulta le migliaia di annunci che ogni giorno compaiono su giornali e 
siti? Chi sono i clienti?  Basterebbe un veloce sondaggio per scoprire 
che gli italiani alla domanda in blocco rispondono  sicuramente non mio 
figlio, ne mio padre, ne mio marito, ne il mio fidanzato! E da dove e 
da chi arriva la richiesta visto che è proprio e solo quella che 
stimola l’offerta? Domanda lecita, perchè alla storia delle caramelle 
non ci crede più nessuno! Nonostante il consistente giro di vite del 
famoso Pacchetto Sicurezza, la prostituzione, lungi dall’essere 
eliminata, si è trasformata, si è spostata e ricollocata, aumentando il 
suo volume invece di diminuire. Quella transessuale resta fiorente a 
riprova che esiste una consistente domanda che ne la morale, ne la 
legge, ne le regole possono intaccare perché essa corrisponde al 
desiderio e, ci piaccia o no, il desiderio nella nostra società diventa 
consumo! Ci si scandalizza che una trans brasiliana si prostituisca? E 
cos’ altro potrebbe fare in un mondo in cui tutte le altre porte sono 
chiuse? Voglio essere più provocatoria e chiedere cosa potrebbe fare 
una trans con una ottava di seno, labbra provocanti, glutei 
straripanti? La bidella, la badante o magari la lavavetri? Se ha 
costruito il suo corpo per essere una bomba di sesso e per vendere 
prestazioni sessuali, forse, liberi dal pregiudizio, dovremmo 
riconoscere quell’aspirazione come legittima piuttosto che stabilire 
dove e come dovrebbe collocarsi! Ma in Italia un riconoscimento di 
questo tipo è pura utopia! Come pura utopia sembrano essere diventati i 
diritti civili e la dignità delle persone transessuali, in un paese che 
risulta essere al primo posto nel mondo per omicidi transfobici, ma 
quella è un’altra storia,  perché all’Italietta non interessa, vuole 
sapere piuttosto cosa ha trovato in loro Marrazzo o Lapo Elkan….
indovina indovinello? Chiaramente Lapo e Marry e solo loro, sicuramente 
non mio marito, mio figlio, mio padre ecc’etero ecc’etero! Sarebbe 
stata la stessa domanda, magari articolata meglio, che avrei voluto 
porre a Ida Dominijanni lunedi sera all’Infedele di Lerner quando ha 
dichiarato che un (sottolineo il maschile) transessuale è un uomo che 
si maschera da donna. Per tutte/i noi non è stato bello. Diciamo che da 
lei ci si sarebbe aspettato altro. Può darsi che il femminismo della 
differenza faccia chiudere gli occhi su quello che non è donna, ma 
sinceramente non credo si tratti di una maschera, piuttosto del 
contrario. Come dire che i neri sono bianchi un po’ abbronzati perché 
si parte comunque da un modello. 
Il mondo transessuale/transgender lo 
scorso anno si è riunito in un importantissimo seminario di tre giorni 
nella campagna toscana per approfondire la questione dell’identità, 
quella della costruzione di senso in un mondo il cui senso è quello 
vetero/patriarcale e la delicata questione delle parole che ci 
nominano, perché in un mondo che ti annulla è difficile trovare le 
parole per dirsi, raccontarsi, ribadire all’italietta ipocrita che 
prima di essere mostri siamo favolose, oltre ad essere prostitute siamo 
anche altro e soprattutto che siamo persone portatrici di diritti e 
degne/i di rispetto.
Marrazzo si ritirerà in un convento, ma noi 
restiamo su questa terra perchè qui vogliamo vivere e viverci bene!
Porpora Marcasciano



                                                                xxxxxx
Oramai la cronaca incalza e il polverone mediatico rischia di appannare 
il tema di fondo, che sottende gli eventi: Berlusconi, Boffo, 
Marrazzo…chi sarà il prossimo? Ogni caso fa a sé, ma il filo che li 
lega, al di là di personalità e di sensibilità individuali così 
diverse, è quello tra sessualità e politica in generale, e tra 
sessualità maschile e politica più specificamente. Bisogna fare molta 
attenzione però a non cadere in un certo sensazionalismo, che tutto 
confonde, e non cedere alla tentazione che vede in questo defilé di 
“scandali” la premessa di una resa dei conti sul teatro immaginario del 
conflitto fra i sessi. Tutto ciò che sta avvenendo ha ben poca 
relazione con quanto guadagnò la scena negli anni settanta-ottanta e l’
agonismo sessuale che fece da volano di una crisi profonda del 
cosiddetto patriarcato è da tempo alle nostre spalle. C’è anzi un’
agonia dell’agonismo sessuale: la cronaca ci chiarisce la portata 
distruttrice (e attuale) di un classico logion   lacaniano: non c’è 
rapporto sessuale. Fra uomini e donne, verrebbe da dire, la parola è al 
portafoglio o alle armi, la borsa e/o la vita, e quindi non c’è nessuna 
relazione. Le pratiche di cancellazione, a partire da quella letterale 
della violenza e della morte inferta con sempre maggiore frequenza ha 
incrinato oramai lo specchio immaginario della differenze, di sesso o 
di genere importa poco. Non c’è più ordinante specularità , l’Altro si 
rifrange su un prisma che ha mandato all’aria le identificazioni 
ammesse. Se il patriarcato è incrinato in profondità, è sempre il 
Fallo, il fallo disincarnato dai Nomi-del-padre, la sua logica, a 
distribuire le carte coperte sul tavolo da gioco. Situazione pericolosa 
come poche. Lo sanno, in primis, le donne, così come lo sanno gli 
omosessuali, le lesbiche, le transessuali.
Tutto ciò si dipana 
chiarendosi alla nostra comprensione se cogliamo il senso esatto del 
trilemma, denaro/sesso/potere, su cui ha meritoriamente insistito Ida 
Dominijanni in questi mesi. Ora di questo trilemma, o di questo 
annodamento, il meno che si possa dire è che non va da sé. Ha una sua 
storia, e degli antecedenti, che riprendo a modo mio da un vecchio ma 
attuale lavoro di Jean-Claude Milner. 
L’assiomatica moderna (e 
maschile, con poche eccezioni) in materia di sessualità stabilisce un 
sistema di equivalenze interno a una transazione mercantile, che ha nel 
matrimonio il suo punto di addensamento istituito. Questo segmento 
sesso/denaro non ri-conosce l’alterità, la sua qualità, se non nella 
forma del valore d’uso. Le qualità di un corpo, di un soggetto sono 
essenziali, ma solo in quanto entrano in un sistema onnilaterale di 
relazioni di scambio. Levi-Strauss ha studiato la pre-istoria di questo 
sistema di scambio-circolazione (delle donne) in regime chiuso, che 
solo nel capitalismo conosce il suo pieno, “libero”, matrimoniale 
dispiegamento.  D’altra parte lo stesso Marx  nel Capitale analizza 
questa particolarità delle merci che contano sì per le loro “qualità”, 
ma solo entrando in circolazione attraverso un sistema di equivalenze, 
che per così dire pareggiano le differenze. La nascita e la storia 
stessa della democrazia moderna è largamente tracciata  dallo stesso 
problema. 
E non di altro ci parla Lacan, nel Seminario del 1968, che 
di quel “plusgodimento”, assolutamente omo-logico con il plusvalore 
marxiano, e che è il cuore mistico del sistema delle equivalenze. E di 
passata bisognerà riconoscere in questo cuore mistico non tanto il 
“simbolico maschile”, quanto i tratti della gestione maschile (e della 
sussunzione capitalistica) del simbolico, che sono ben leggibili nella 
filigrana degli scandali di questi mesi. E’ il valore aggiunto e 
mortifero del godimento –il plusgodimento- il vero risvolto dell’
assenza di rapporto sessuale.  
Ma l’assiomatica della modernità in 
materia di sessualità non è esaurita dal paradigma sesso/denaro. Ad 
esso se ne affianca un altro, che trattiene l’Altro, come figura 
indispensabile al piacere. Quell’altro che la transazione mercantile-
matrimoniale disperde inevitabilmente. E’ il paradigma sadiano dell’uso 
del corpo. La pura esperienza dell’altro come pura differenza fra  
corpi diversi che si incontrano. L’oppressione, minuziosa e maniacale, 
di un corpo sull’altro ne è lo strumento.  Tuttavia se si legge quel 
capitolo de La filosofia del boudoir, che ha per titolo Francesi, 
ancora uno sforzo per essere repubblicani, si capisce che lì sotto si 
agitava qualcosa di più vasto che non una singolare propensione 
perversa. Per Sade è profittevole godere in modo libero, e privo di 
freni, del corpo di una donna solo se lei è sollevata dalla repressione 
parentale e dal sistema matrimoniale. In caso diverso non potrebbe 
occupare il posto dell’Altro.  Di qui la “proposta” di abolire il 
matrimonio. Ora questo paradigma, che ricopre l’altro segmento del 
trilemma, quello del rapporto fra sesso e potere, ha avuto un suo 
seguito. Se intorno a Sade, autore piuttosto noioso,  si è stratificato 
un lavoro critico di portata straordinaria, si può supporre che non sia 
per caso. Se poi si pensa che di nient’altro ci hanno parlato 
Baudelaire e Mallarmè nell’ottocento, Bataille e Lacan e Pasolini nel 
novecento, percepiamo la portata simbolica di questo secondo e separato 
segmento del discorso sessuale. Ma se, tanto per non farsi mancare 
nulla, si registrasse che anche autrici di un certo femminismo a torto 
qui da noi considerato laterale (De Lauretis, Sedgwick, Preciado) si 
inseriscono in questo filone, per ri-significarlo, il quadro 
diventerebbe anche più completo. 
Ora ciò a cui stiamo assistendo è la 
chiusura di questa forbice, di questo sistema a due segmenti in favore 
di un unico annodamento, che si enuncia appunto: denaro/sesso/potere. 
Ne va misurata la portata, sapendo che non si tornerà indietro –non si 
torna mai indietro. 
Quello che meno convince nella discussione di 
questi mesi è che si ritiene il problema di natura esclusivamente 
maschile. Non è così. L’annodamento è potuto avvenire perché il 
paradigma dell’ “uso del corpo”, sfumate o ridotte a gioco erotico le 
sue risonanze estreme, si è “democratizzato” e ha visto l’assunzione di 
un ruolo attivo anche da parte di molte donne. Lo scambio fra sesso e 
potere avviene anche a partire da un uso del corpo (proprio) da parte 
delle donne. E’ quanto a suo tempo ci hanno spiegato e rispiegato, poco 
ascoltate per la verità, Michi Staderini e Roberta Tatafiore. Le donne –
è vero- restano in questo sistema in una sorta di “esclusione interna”. 
Contrattano al suo interno, ma pur sempre in un regime di dipendenza. L’
arretramento antropologico e anche una certa torsione delle relazioni 
hanno investito la società nel suo complesso. Siamo oramai  di fronte 
all’esercizio diffuso di un sesso “senza sessualità”, oltre che senza 
amore. Una società non è fatta di parti a tenuta stagna, sicché dire 
che la questione è maschile, e insomma che siamo oramai vicine al 
momento in cui, nudo il re, si approssima l’ Arc de Triomphe della 
differenza femminile, significa mancare la cosa e il nodo decisivi. 
C’
è da dire che il pensiero della differenza sessuale sembra oramai 
inclinare verso un’ideologia della differenza sessuale.  Registrare il 
regime  delle differenze dopo il tramonto del patriarcato esigerebbe 
una plasticità di pensiero che la prassi della ripetizione preclude. 
Come si vede dalle cose – un pò sessiste- dette da Dominijanni all’
Infedele a proposito di quelle transessuali, che ha trovato congruo 
definire “uomini mascherati da donne”. Mentre gli uomini che se ne 
sentono attratti sarebbero i risibili “omosessuali inconsci” di una 
diffusa e giornalistica psicoanalisi all’amatriciana. Anche al netto 
della tara che ogni discorso televisivo impone, si tratta di 
affermazioni che hanno un livello scientifico degno di un 
sovrappensiero di Nonna Abelarda, una caratura etica paragonabile alle 
incursioni della Santanché, un tenore politico degno del miglior 
Gasparri.  C’è di che riflettere.
Le transessuali che si prostituiscono 
non hanno un problema molto diverso da quello delle varie Patrizie e 
Noemi. Problemi che ci coinvolgono per quello che veicolano. Solo, le 
donne transessuali che vivono ogni giorno la propria condizione, che 
sempre più fanno (o cercano di fare) un lavoro di tipo diverso, e che 
vogliono essere rispettate come persone, si sentono una pistola carica 
puntata addosso.  Spiace dover prendere atto che un po’ di munizioni 
sia disposta a fornirle una femminista storica.   
Un passaggio è 
oramai avvenuto, destinato ad avere conseguenze rispetto a quando l’
esclusione femminile era “esterna” e di marca patriarcale.  La 
sessualità come connettore della disgiunzione sessuata sembra oramai 
sotto la spada di damocle della sentenza lacaniana. 
Bisogna pensarla 
di nuovo. E smettere di fare l’imitazione di “un’enorme autorevolezza 
femminile” che è lontana dall’essere conquistata, e che, mancando, ci 
vede tutte in pericolo.  




Fabrizia Di Stefano