Quando la Fallaci ancora era democratica, nel 1976 intervistò Colby:
William Colby
Da Intervista con la storia, ed. Bur, 1990
Washington, marzo 1976
Più che di una intervista si trattò di una rissa,
esasperata ed esasperante, angosciosa e cattiva, invano vestita coi
toni civili della discussione. Oltre il gioco delle domande e delle
risposte, il pretesto del giornalismo, la realtà rendeva entrambi
consapevoli dei nostri ruoli opposti e nemici. Lui rappresentava il
potere, la piovra invisibile e onnipresente che tutto domina e strozza.
Io, la sua vittima. Lui credeva al diritto di spiare, interferire,
corrompere, rovesciar governi, organizzare complotti, uccidere, tenere
sotto controllo perfino me: ad esempio registrando le mie telefonate.
Io credevo al diritto d’essere lasciata in pace e amministrarmi da sola
la libertà che mi spetta. Così il rancore con cui l’avevo aggredito
dicendogli subito che il mio paese non è una sua colonia, una sua
repubblica delle banane, presto lo contagiò. E non fu più possibile
trovare un punto d’intesa, di tolleranza reciproca. Per ore, come due
insetti impegnati a bucarsi, ferirsi, straziarsi, ci gettammo in faccia
rimproveri accuse e crudeltà. (Prevenzioni ideologiche, lui le
chiamava.) E lo spettacolo aveva qualcosa di assurdo, ai limiti di una
sottile pazzia. Avvelenata dalla passione e dalla rabbia, la mia voce a
volte tremava. La sua invece restava inalterata, controllata, sicura.
L’unico segno di ostilità veniva dagli occhi celesti, fermi quanto gli
occhi di un cieco, che a tratti si accendevano di silenziosa ferocia
senza che le sue labbra cessassero di sorridere, senza che le sue mani
cessassero di versare con dolcezza il caffè. A un certo punto mi chiesi
a chi assomigliasse quest’uomo di ghiaccio che mi faceva soffrire. E la
risposta fu facile. Assomigliava a un prete dell’Inquisizione, o un
funzionario del Partito comunista sovietico. Che poi è la stessa cosa.
Una volta avevo visto sui giornali la fotografia di Suslov. E William
Colby aveva lo stesso sguardo, lo stesso naso, la stessa bocca di
Suslov. Aveva anche lo stesso corpo lungo, asciutto, elegante. La
stessa compostezza spietata. Sbagliai a dirgli, da ultimo, che mi
ricordava Cunhal. Con Cunhal aveva in comune solo il fanatismo e la
mancanza di quella meravigliosa virtù che ha nome dubbio. (Ogni sua
parola era tesa a dimostrare il suo odio cieco incrollabile, non solo
per i comunisti ma per chiunque si definisse di sinistra.)
William
Colby: per ventott’anni funzionario eminente della CIA, per due anni e
mezzo suo direttore. Il suo vero ritratto è nel racconto che egli fa di
se stesso. Eccolo. «Come si diventa capo della CIA? Per caso, by
chance. E perché si entra nella CIA? Per avventura intellettuale. E per
patriottismo. Mio padre era ufficiale dell’esercito. Aveva un alto
senso del dovere. L’ho ereditato insieme al gusto di viaggiare e
all’amore per l’America. La famiglia di mio padre venne qui nel 1600,
dall’Inghilterra. La famiglia di mia madre ci venne duecento anni dopo,
dall’Irlanda. Sono stato concepito nel Panama, sono nato nel Minnesota,
sono cresciuto per alcuni anni in Cina: a Tien Tsin. A diciotto anni
sono andato in Francia a imparare il francese. So il francese, il
norvegese, il tedesco, l’italiano, il vietnamita: anche se li ho
dimenticati un po’. Ho la laurea in legge e pensavo di fare l’avvocato.
Perché divenni invece una spia? Non per divertimento, è sicuro. Non ho
mai letto un libro su James Bond. Leggo solo testi di politica, storia,
filosofia, marxismo, leninismo. La faccenda andò così. Durante la
seconda guerra mondiale ero ufficiale in Oklahoma. Allenavo i soldati.
Ma non volevo seguire la guerra da lontano, dall’Oklahoma. Così entrai
volontario nei paracadutisti. Avevo ventidue anni. Un giorno venne uno
dell’OSS. Cercava gente da paracadutare in Europa, per aiutare la
Resistenza. Non avevo nulla di meglio da fare. Accettai. Mi
paracadutarono in Francia e in Norvegia. Lì combattei coi partigiani.
Operazioni di sabotaggio eccetera. Finita la guerra, l’OSS fu dissolto
e perciò mi misi a fare l’avvocato. Ma scoppiò la guerra in Corea e
rientrai nel servizio segreto, nella CIA. Dopo la Corea fui alcuni anni
in Italia. Poi a Washington e in varie parti del mondo. Due volte in
Vietnam. Al tempo di Diem e nel 1969-1970, quand’ero a capo del
programma Phoenix.» Naturalmente non disse che il programma Phoenix
sterminò, spesso con l’assassinio, oltre ventimila vietcong. E, quando
glielo ricordai, sostenne che ventimila non sono molti: in battaglia
muore più gente. Non disse che nessuna delle tragedie avvenute negli
ultimi anni gli era estranea: che era implicato in quella del Cile, in
quella di Cipro, in quella dei Curdi. Tanto per citarne due o tre. Però
ammise d’essere stato lui il più forte sostenitore dei finanziamenti ai
democristiani e ai socialdemocratici italiani. E questo era molto
importante visto che ero andata da lui soprattutto per chiedergli della
corruzione esercitata dalla CIA nel mio paese.
L’intervista-rissa
avvenne nella modesta villetta in cui abitava, presso Washington,
insieme alla moglie e ai due figli minori. (I due maggiori erano
sposati. Il più vecchio aveva trentaquattr’anni e faceva l’avvocato.)
Fui con lui due volte, per una lunga mattina di venerdì e un intero
pomeriggio di domenica. Né la prima né la seconda volta si lasciò
andare a un gesto di sgarberia o di impazienza, né la prima né la
seconda volta accennò a farmi fretta. Fu sempre cortese, elegante,
controllato: perfetto. Lo stesso comportamento che aveva tenuto dinanzi
al senatore Church e al deputato Pike che lo interrogavano per i
comitati di inchiesta parlamentare. Lo scandalo nato in quella
circostanza intorno ai delitti della CIA e le dimissioni cui era stato
costretto non gli avevano spaccato i nervi: figuriamoci se avrei potuto
spaccarglieli io. Mantenne il suo sangue freddo anche quando
l’intervista venne pubblicata, in quasi tutto il mondo, sollevando un
rumore pari a quello che avevo provocato con le interviste a Kissinger
e a Cunhal. Infatti sia alla televisione che alla stampa dichiarò che
il testo scritto dimostrava come la battaglia fosse stata gloriosamente
vinta da lui, penosamente persa da me, e perché non andavo a
intervistare il capo del KGB? Poi, per dimostrarmi quanto fosse
liberale e chiarire che la mia insolenza non lo toccava, prese anche a
scrivermi letterine di indulgente simpatia e bonario rimprovero per il
mio «anarchismo» e il mio «sinistrismo»: riconoscendo però che ero una
giornalista accurata ed onesta. In una diceva: «Possiamo trovarci in
disaccordo, e infatti noi due ci troviamo molto in disaccordo, ma
ritengo benefico per le società libere che ci si possa litigare e
scambiare idee senza paura l’uno dell’altro». Non gli risposi mai
chiedendogli cosa intendeva per società libere e scambio di idee senza
paura. Certo non avevo e non ho paura di lui o della sua CIA ma devo
confessare che, vedendo la sua firma, avvertivo ogni volta una specie
di brivido.
Io mi rendo conto che la CIA ha sempre il vantaggio di
farsi intervistare e il KGB no: l’osservazione era giusta. Però è
difficile dimenticare il senso di minaccia che si prova a sentirsi e
sapersi controllati da essa: come io lo sono da anni. E non so se Colby
ne è al corrente, visto che la cosa accadde quando egli era ormai un
privato cittadino: ma sembra che la CIA non sia del tutto estranea
all’uccisione di Alessandro Panagulis. E, per quanto ciò possa
ingiustamente ferire il signor Colby, devo dire che tale pensiero fu il
primo che mi venne alla mente quando, per il Natale del 1976, ricevetti
un suo gentile cartoncino di auguri. Con la Madonna ammantata d’azzurro
e teneramente abbracciata al Bambin Gesù.
ORIANA FALLACI. Quei
nomi, signor Colby. I nomi dei miserabili che in Italia hanno preso
soldi dalla CIA. L’Italia non è una repubblica delle banane della
United Fruits, signor Colby, e non è giusto che il sospetto gravi su
un’intera classe politica. Non crede che Pertini, il presidente della
nostra Camera, abbia diritto di conoscere quei nomi?
WILLIAM
COLBY. No, perché la nostra House of Representatives ha detto col voto
che i nomi devono restare segreti e perché la CIA deve proteggere i
suoi soci, deve proteggere chi lavora con lei. Naturalmente la
decisione di dare o no quei nomi spetta al governo degli Stati Uniti, e
io non parlo per il governo. Parlo per la CIA. Ma il mio giudizio è no,
la mia raccomandazione è no. Niente nomi. È il minimo ch’io possa fare
per rispettare l’accordo con la gente che lavorava con me. Al suo
Parlamento possono fare tutte le inchieste che vogliono: non esiste una
polizia per le indagini? Chi si sente sospettato non ha che da dire
«non è vero, non ho ricevuto il denaro». Per me va benissimo. Io non
posso sacrificare alcuni per evitare il sospetto su altri. Io ho
promesso di tenere un segreto e lo terrò perché, se rompo la promessa,
non potrò più rivolgermi a gente nuova. Sarebbe facile andare per
esclusione, rispondere «no» a sei nomi e «no comment» al settimo. Lei
avrebbe quello che cerca. Perché non cerca la stessa cosa coi russi?
Perché non chiede al governo sovietico i nomi dei comunisti che
prendono i soldi di Mosca in Italia? I sovietici fanno esattamente ciò
che facciamo noi. Hanno i nostri identici problemi.
Parleremo
dopo dei russi. Ora parliamo della CIA, signor Colby. Se io, cittadina
straniera, venissi qui a finanziare un partito americano e ventuno dei
vostri uomini politici, inoltre alcuni dei vostri giornalisti, cosa...
Lei commetterebbe una cosa illegale e, se venissi a saperlo, la denuncerei all’FBI perché la arrestasse.
Bene. Dunque io dovrei denunciare alla polizia italiana lei, il suo ambasciatore, i suoi agenti, e farvi arrestare.
Non dico questo.
Come
no? Se è illegale che io corrompa, diciamo, un signor Pike o un signor
Church, non è altrettanto illegale che lei corrompa, diciamo, un signor
Miceli?
Io non dico che lei corromperebbe. Dico che agirebbe contro la mia legge.
Ma
anche lei ha agito contro la mia, signor Colby! E sa cosa aggiungo? V’è
solo un tipo più disgustoso del corrotto: il corruttore.
Noi
della CIA non corrompiamo. Se avete un problema di corruzione, nella
vostra società, esso esisteva molto prima che la CIA arrivasse.
Corrompere significa dare denaro a chi fa cose per noi, e noi non diamo
denaro per questo. Diamo denaro a chi non ha abbastanza denaro per fare
quello che vuole. Fondamentalmente noi sosteniamo i regimi democratici
e, fra tutti i paesi che dovrebbero capirlo, c’è l’Italia. È stato
l’aiuto americano che per trent’anni ha impedito all’Italia di cadere
in un comunismo autoritario. E ci siamo riusciti sostenendo i partiti
del centro democratico, sempre.
I vostri «clienti», come lei
li definisce nel rapporto Pike. Signor Colby, sul dizionario
inglese-italiano la parola «client» è proprio tradotta «cliente». Ma
cosa significa «cliente» per lei?
Bè,... ecco... Com’è che un
avvocato chiama... Cosa fa un avvocato col suo cliente? Un avvocato
aiuta il cliente... Sì, clienti dell’avvocato.
Dunque lei si considera l’avvocato dei democristiani e dei socialdemocratici in Italia.
Giusto. Cioè... No. Non voglio commentare nessuna situazione particolare.
Perché? Mi aveva forse risposto con una bugia?
Io
non dico bugie. E soffro quando mi accusano di dire bugie. Non le dico
proprio. A volte taccio qualcosa, a volte mi rifiuto di dare
un’informazione, tengo il segreto. Ma niente bugie: neanche se volessi.
La Camera non me lo permetterebbe, e neanche il Senato, neanche la
stampa. Il capo dell’Intelligence americana non è come il capo
dell’Intelligence di altri paesi dove gli è consentito negare cose
vere. Qui l’Intelligence agisce sotto il controllo della legge, non al
di fuori della legge. E, per cavarsela, bisogna dire «no comment». Ma,
sui nostri finanziamenti ai partiti democratici, voglio porle una
domanda io: sarebbe stato giusto o no se l’America avesse aiutato i
partiti democratici contro Hitler?
Le rispondo subito,
signor Colby: in Italia non esiste alcun Hitler. E quegli ottocentomila
dollari che l’ambasciatore Graham Martin volle dare al generale Miceli,
con la benedizione di Kissinger, non finirono affatto in mani
democratiche. Finirono in quelle dei seguaci di Hitler.
Non
discuterò alcuna operazione specifica della CIA ma le dirò che ho un
grande rispetto per l’ambasciatore Martin. Siamo stati insieme in molte
parti del mondo e l’ho sempre giudicato un uomo forte, un uomo che
prendeva sempre le posizioni giuste e le responsabilità giuste
nell’interesse degli Stati Uniti. Inoltre ritengo che in questo genere
di attività la CIA possa avere un punto di vista e il nostro governo
possa averne un altro. Non è la CIA che decide, è il presidente che
decide. Non dimentichi che in ciascuna di queste operazioni la CIA è al
servizio del governo, segue le direttive del governo. A volte le
direttive sono accettabili, a volte no. Ma, in ogni caso, la CIA le
segue con rigore. Almeno fino a un anno fa, cioè fino a quando è
passata la nuova legge, il presidente poteva chiamare il direttore
della CIA e dirgli: «Fai questo e non dirlo a nessuno».
Dunque
furono proprio Nixon e Kissinger a voler dare quei soldi a Miceli: la
CIA era davvero contraria. Se li vede, li ringrazi per le bombe che i
fascisti fabbricano con quei soldi.
Non posso parlare di
questo. Però so che i neofascisti hanno solo l’8 per cento dei voti e
che, sebbene esistano elementi molto estremisti fra loro, non rischiate
certo un’altra marcia su Roma. So che il pericolo per voi è
rappresentato dai comunisti. E so che, dalla fine della guerra, noi
della CIA non abbiamo fatto altro che aiutare le varie forme
democratiche contro la minaccia comunista. E questo ha continuato per
venticinque, anzi trent’anni.
Col risultato che i comunisti
ora sono alle soglie del governo e ad ogni elezione guadagnano voti. Ma
le sembra di averli spesi bene quei soldi? Le sembra che la sua
Intelligence sia stata intelligente?
Di solito non spendiamo i
nostri soldi in sciocchezze. Certe cose non si giudicano da un fattore
e basta. In questo caso, dal 33 per cento che hanno ottenuto i
comunisti nelle ultime elezioni. E forse gli interventi americani in
Italia dopo la seconda guerra mondiale non sono stati perfetti, però
sono stati utili. Positivi. Parlo anche della NATO e del Piano
Marshall. Quando io ero a Roma, nel 1953, la gente viaggiava in Vespa.
Ora viaggia in automobile. Oggi vivete meglio di come sareste vissuti
se i comunisti avessero vinto nel 1948 e anche nel 1960. L’italiano
medio vive meglio del polacco medio, dunque la politica americana non è
stata un errore in Italia. Abbiamo fatto un buon lavoro. Quando dite di
cavarvela male, ripetete le stesse cose del 1955. Anche allora
gridavate che il governo era pessimo e tutto crollava. In Italia vedete
sempre le cose in modo catastrofico, vi sentite sempre sull’orlo del
precipizio. Eppure la catastrofe, nel 1955, non è avvenuta. E non
avverrà neanche ora. Perché vi sono buoni italiani.
Certo non i suoi «clienti», signor Colby.
Io parlo della gente normale.
Qual era l’uomo politico che le piaceva di più quand’era in Italia?
De
Gasperi, direi. Ma non posso far nomi. Non devo. Del resto non
conoscevo molte persone importanti... Ero un giovane funzionario e il
mio lavoro consisteva piuttosto nel raccogliere informazioni e stare in
contatto coi gruppi politici giacché parlavo italiano. Posso dirle solo
che, a quel tempo, io ero per l’apertura a sinistra. Sì, un’apertura ai
socialisti. Li rispettavo. Li rispetto ancora perché i socialisti sono
occidentali, sono europei, credono davvero nella libertà e nella
democrazia. Negli anni Cinquanta ritenevo che avessero commesso un
grande errore ad allearsi coi comunisti ma ritenevo anche che, alla
lunga, non avrebbero mantenuto quell’alleanza. E così ero per una
apertura verso di loro, sì. Ma, a quel tempo, questo non era il fattore
decisivo della politica americana in Italia.
Già. C’era
Claire Boothe Luce come ambasciatore. Fino a che punto, come CIA, lei
operava e opera in collaborazione con l’ambasciata USA?
Operavo
molto con l’ambasciata, ovvio. Ero l’addetto politico: political
attaché. Si opera sempre con le ambasciate. La maggior parte delle
informazioni le abbiamo attraverso le nostre ambasciate. E la signora
Luce faceva un buon lavoro. Un ottimo lavoro. Sono ancora amico della
signora Luce. Donna interessante, capace.
Soprattutto di
interferire nelle faccende del mio paese, neanche fosse stato una sua
colonia. Però non è solo attraverso la vostra ambasciata che voi
operate in Italia: sappiamo tutti che il vero pied-à-terre della CIA in
Italia è il SID. E le chiedo: con quale diritto lei si permette di
spiarmi in casa mia usando il servizio segreto del mio paese? Con quale
diritto controlla ad esempio il mio telefono?
Perché così io so
quel che succede nel mondo. E il controllo del telefono, guardi... io
ho avuto il telefono controllato tante volte, in tanti paesi, ne sono
certo. E non me ne è mai importato. Anche se fosse controllato ora,
cosa che escludo, non me ne importerebbe nulla. Almeno sul piano
emotivo. Non ci vedo nulla di male a tentar di capire cosa succede nel
mondo, cosa pensa la gente e cosa fa. Non si tratta mica di spiare la
privacy altrui: si tratta di sapere se lei ha una pistola puntata
contro di me, o una qualsiasi altra arma per farmi del male. Insomma,
lei mi sta chiedendo: una nazione ha diritto o no di usare la sua
Intelligence in un’altra nazione, attraverso attività clandestine? Bè,
in ogni paese c’è una legge che risponde no. E quasi in ogni paese lo
si fa. Perché moralmente si ha il diritto di tentar di scoprire cosa
accade, e così proteggerci. È illegale ma se ne ha il diritto.
Guardiamo
se ho capito bene. Lei considera illegale ma legittimo agire anche
attraverso il servizio segreto di un altro paese. Ad esempio il mio.
Dipende.
A volte un’altra Intelligence ci aiuta. Dipende dalla politica del
paese. A volte due paesi hanno un interesse reciproco, ad esempio sono
molto vicini ai loro alleati e molto preoccupati di una penetrazione.
Così lavoriamo insieme.
Come dicevo. È vero o no che la migliore operazione della CIA col SID fu la fuga da Mosca di Svetlana Stalin?
Non
posso dirlo. Soprattutto in questo periodo di investigazioni non devo
parlare dei nostri soci e dei nostri rapporti coi servizi segreti
stranieri. Se lo faccio, se chiunque di noi lo fa, non si fidano più
della nostra Intelligence. Un servizio di Intelligence non deve dire
nulla sui suoi soci. Lei non immagina quanto sia stata danneggiata la
CIA da quel che è successo. Immensamente. In tutto il mondo. C’è gente
che ora ci dice: «Ma come faccio a stare con voi? Posso davvero
affidarvi la mia vita? Oppure racconterete tutto al Senato e al
Congresso?». Molti ci hanno voltato le spalle. Molti che operavano con
noi ci hanno detto no, basta, non continuo. Perfino certi servizi
segreti stranieri ci hanno detto no, basta, vi davamo tanto materiale
segreto e d’ora innanzi non vi daremo più nulla. Abbiamo perduto una
quantità di collaborazione, una quantità di agenti...
Solo agenti o anche clienti?
Anche
clienti. Alcuni ci hanno detto: «Non dateci più nulla, per carità,
sennò poi lo raccontate». Gente nuova e gente di antica data. Si sono
sentiti traditi. Noi della CIA ci siamo battuti molto per tenere i loro
nomi segreti, e direi che abbiamo vinto. Ma la pubblicità intorno a
questa faccenda ci ha fatto lo stesso un gran male. E queste sono cose
che al KGB non succedono. In Italia avete un mucchio di agenti del KGB.
Molti. Anche italiani, naturalmente. Il KGB fa uno sforzo molto grosso
in Italia, a parte il fatto che può contare sul Partito comunista
italiano. Uno sforzo molto energico. Però nessuno chiede al KGB di
rivelare i nomi dei suoi agenti, dei suoi clienti, o le sue attività.
Nessuno gli chiede di comportarsi in modo democratico e liberale. Al
KGB non si rimproverano colpe, del KGB non si rivela nulla: né il
giusto né lo sbagliato. Chi accusa il KGB di interferire con le
faccende private del suo paese?
Lei si sbaglia, signor Colby. La santa verità è che non vogliamo né voi né loro. Ne abbiamo abbastanza di voi e di loro.
Bene,
bene. Ma allora perché non parlate dei soldi che i comunisti italiani
prendono dal commercio con l’Europa dell’Est? Tutto il materiale che va
e viene attraverso il commercio con l’Unione Sovietica e i paesi
satelliti passa da agenzie che danno una percentuale ai comunisti
italiani. È un buon sistema. Complicato ma buono. Ci hanno messo
trent’anni per perfezionarlo. Che ne direbbe se l’America avesse con
l’Italia un commercio governativo e desse la percentuale a un partito?
Non
ci pensa la CIA a fare questo? Non ci pensano gli ambasciatori come
Martin? Non ci pensano le ditte come la Lockheed, la Gulf, la Esso?
È
straordinario il suo modo di razionalizzare e indirettamente concludere
che gli altri sono bravi ragazzi, creature buone pulite squisite. I
sovietici danno una percentuale dei loro commerci con l’Italia a certe
persone che poi la passano al PCI, e lei dice: è la stessa cosa. Sì, è
la stessa cosa che fecero in Polonia affinché il PC polacco andasse al
governo e poi al potere. Si incomincia sempre così: si aiuta il partito
comunista coi soldi, il partito va al governo, poi va al potere, e ci
resta. Ma guai se non ci resta come vuole l’Unione Sovietica! Arriva
una delegazione da Mosca, si mette intorno a un tavolo col comitato
centrale, e gli spiega che è «meglio comportarsi bene». Vorrebbe che
l’Italia finisse così? E supponiamo che la corruzione in Italia sia da
una parte e basta, supponiamo che i comunisti in Italia siano bravi
ragazzi puliti: per questo li lascerebbe andare al governo? Per questo
lei correrebbe un simile rischio? Nomini un paese che sia stato
comunista e che ora non lo sia più. Uno solo! Uno dove il PC sia andato
al potere e poi si sia ritirato secondo le regole del gioco
democratico, lasciando a un altro partito il diritto di governare. Lo
nomini! Uno! Uno solo!
Signor Colby: cosa ci fareste, voi americani, se i comunisti vincessero le elezioni in Italia?
Nomini un paese! Uno solo!
Signor Colby, ci fareste un golpe come in Cile?
Un paese! Un paese solo! Romania? Cecoslovacchia? Ungheria? Polonia?
Mi risponda, signor Colby: un altro Cile?
E
se poi non ci fossero altre elezioni? Se poi accadesse come accadde con
Hitler e Mussolini? Ma non capisce che i comunisti sono stati tutti
questi anni al gioco democratico perché gli conveniva? Non capisce che,
finché erano in minoranza, il sistema democratico gli serviva? Ma lei
crede davvero che quando saranno al governo continueranno a essere
democratici? Quella non è gente cui si possa dire
«siccome-siete-bravi-ragazzi-vi-lasciamo-comandare-per-un-po’». Il loro
centralismo democratico non ha nulla a che fare con la democrazia. E i
vostri guai potete risolverli in modo migliore che lasciandogli vincere
le elezioni. Lo ricordi. O non vincerete le elezioni mai più.
Lei
potrebbe anche aver ragione. Però le ricordo che a gettare i paesi
nelle braccia dei comunisti siete proprio voi americani: comprando,
corrompendo, proteggendo i fascisti in tutto il mondo. L’America è la
più grande fabbrica di comunisti del mondo, signor Colby.
Questo è un insulto dettato da prevenzioni ideologiche e io lo respingo.
Respinga,
respinga. Però mi dica: secondo le informazioni che lei ha sempre avuto
come capo della CIA, vede nessuna differenza tra il PC di Cunhal e i PC
di Carrillo, Marchais, Berlinguer?
Il PCI è lo stesso che era
ai tempi di Gramsci e di Togliatti, cioè un partito che cerca di
lanciare un ponte tra il sistema sovietico e quello occidentale
tentando di vivere un po’ nell’uno e un po’ nell’altro campo. C’è
un’ambivalenza nel PCI. E i comunisti francesi, come i comunisti
spagnoli, non fanno che imitarlo. Il PCI ha sempre preteso di essere
molto rivoluzionario per tenere il passo totalitario, e allo stesso
tempo ha sempre preteso di essere molto italiano per riempire il vuoto
col resto dell’Italia. Lei in realtà vuol chiedermi se io credo o no a
certi uomini del PCI quando dicono d’essere per il pluralismo eccetera.
Le rispondo: non conosco quegli individui ma la questione non è avere
fiducia o no negli individui. La questione sta nei loro imperativi
politici. Attualmente, con un’Europa occidentale piuttosto unita e
forte e protetta dagli interessi americani, l’imperativo politico per i
comunisti è far parte dell’Europa occidentale. Domani, se l’Europa
occidentale ha problemi economici o se c’è un cambio di leadership
nell’Unione Sovietica, il loro imperativo politico può cambiare. Ed
essi possono diventare più autoritari e più leali ai sovietici.
Recentemente il PCI e il PCE e il PCF hanno attaccato con una certa chiarezza l’Unione Sovietica.
Oh,
questo è facile. Lo fecero anche in Cecoslovacchia nel 1968. In
compenso hanno appoggiato l’URSS in molte occasioni e continuano a
mantenere ottimi rapporti con Mosca. La loro politica dice che non
dovrebbe esserci né la NATO né il Patto di Varsavia. La cosa più
semplice, intanto, è eliminare la NATO. Liberarsi del Patto di Varsavia
è duro. Loro mirano a ridurre il contributo dell’Italia alla NATO
dicendo, bè, del Patto di Varsavia ci occuperemo dopo. Ma quale sarebbe
il grado di collaborazione tra militari italiani e militari americani,
governo italiano e governo americano, il giorno in cui aveste un primo
ministro comunista? Crede davvero che ci sarebbe una collaborazione
nell’interesse della NATO? Io credo che sorgerebbero molte difficoltà.
Forse.
Ma insisto nella domanda cui lei non vuole rispondere: cosa ci
farebbero gli americani se i comunisti andassero al governo in Italia?
Non lo so. Questo riguarda la politica degli Stati Uniti. Non lo so.
Sì che lo sa, signor Colby. Un altro Cile?
Non
necessariamente. Non so... È una domanda ipotetica, non posso
rispondervi. Dipende da troppi elementi. Potrebbe non succedere nulla,
potrebbe succedere qualcosa, potrebbe succedere qualche sbaglio.
Uno
sbaglio come il Cile? Coraggio, signor Colby. Crede che sarebbe
legittimo per gli Stati Uniti intervenire in Italia con un Pinochet se
i comunisti andassero al governo?
Non credo di poter rispondere a questa domanda. E il vostro Pinochet non è in America. È in Italia.
Lo
so, ma ha bisogno di voi. Senza di voi non combina nulla. Signor Colby,
io cerco di farle ammettere che l’Italia è uno Stato indipendente, non
una repubblica delle banane, non una vostra colonia! Non potete far
sempre i poliziotti del mondo. Chiaro?
Chiaro ma sbagliato. [In
italiano nel testo.] Lasci che spieghi. Dopo la prima guerra mondiale
l’America visse un fenomeno di rigetto. Dicemmo che la guerra era stata
sbagliata, mal combattuta, e avemmo un periodo di innocenza. Riducemmo
il nostro esercito a qualcosa come 150.000 uomini, volemmo una
diplomazia aperta, e il segretario di Stato dissolse l’Intelligence
sostenendo che i gentiluomini non leggono la posta altrui. Ci
accingemmo insomma a vivere in un mondo di gentiluomini e annunciammo
di non volerci coinvolgere più negli affari stranieri. Sorsero problemi
in Europa e non intervenimmo. Sorsero problemi in Manciuria e non
intervenimmo. Venne la guerra in Spagna e ci dichiarammo neutrali.
Passammo perfino una legge sulla nostra neutralità. Ma non funzionò. E
ci caddero addosso i problemi economici, e vennero leader autoritari
che credettero di poter dominare i loro vicini, e scoppiò la seconda
guerra mondiale e dovemmo entrarci. Dopo la seconda guerra mondiale
ricominciammo daccapo: nel 1945 dissolvemmo l’esercito, e dissolvemmo
l’OSS, e dicemmo Pace. Però ebbe inizio la guerra fredda. Diventò
subito chiaro che Stalin non avrebbe seguito la strada che avevamo
tracciata. Il comunismo russo divenne una minaccia in Grecia, in
Turchia, in Iran. E così imparammo la lezione. Rimettemmo insieme il
nostro servizio segreto, lo chiamammo CIA, contenemmo l’espansione
autoritaria dell’Unione Sovietica con la NATO e il Piano Marshall e la
CIA. Liberali e conservatori insieme: entrambi convinti, stavolta, di
dover aiutare all’estero. Io ero uno di quei liberali. Ero stato
addirittura radicale da ragazzo e...
Perbacco. Come ha fatto a cambiare così?
Clemenceau
dice che chi non è radicale da giovane non ha cuore, e chi non è
conservatore da vecchio non ha testa. Ma mi lasci concludere. La NATO
funzionò. Il contenimento dell’espansionismo sovietico funzionò. Il
piano di sovversione dei partiti comunisti fu neutralizzato. E questo
non fu gettarci dalla parte dei fascisti, non fu la destra contro la
sinistra. Fu la ricerca di una soluzione democratica. E fu la politica
americana che la CIA abbracciò e da allora seguì: decidendo che avremmo
combattuto per la libertà a ogni costo. Certo... bè, sì: nel corso di
questa battaglia a ogni costo capitarono e capitano situazioni con
leader locali piuttosto autoritari. O più autoritari di quanto la gente
vorrebbe.
Da Franco a Caetano, da Diem a Thieu, da
Papadopulos a Pinochet. Senza contare tutti i dittatori fascisti
dell’America Latina. I torturatori brasiliani ad esempio. E così, in
nome della libertà, diventaste i sostenitori di tutti coloro che
dall’altra parte uccidono la libertà.
Come nella seconda guerra
mondiale quando, contro la maggiore minaccia di Hitler, sostenemmo la
Russia di Stalin. Sì, proprio allo stesso modo in cui allora lavorammo
con Stalin ora capita che lavoriamo con... insomma, talvolta dobbiamo
lavorare con qualcun altro. La espansione comunista, dagli anni
Cinquanta in poi, prese il posto della minaccia nazista, e noi... Bè,
sostenendo qualche leader autoritario contro la minaccia comunista si
lascia sempre aperta l’opzione che il paese di quel leader autoritario
diventi democratico in futuro. Coi comunisti, invece, il futuro non
offre speranze. Così non vedo motivo di scandalo in certe nostre
alleanze. Alle alleanze si arriva sempre per fronteggiare una minaccia
più grossa. E, per noi americani, la minaccia più grossa resta il
comunismo. Il mio governo riconosce Pinochet come il governo legittimo
del Cile, è vero. Ma io non accetto che duecento milioni di russi
vivano sotto il comunismo sovietico? E poi Pinochet non vuole
conquistare il mondo. Chi si preoccupa di Pinochet?
Glielo
dico io, Mr. Colby. Anzitutto se ne preoccupano i cileni che da oltre
due anni vengono imprigionati e perseguitati e torturati e uccisi da
lui. Poi se ne preoccupano quelli che alla libertà ci credono davvero e
non a parole come lei. Infine se ne preoccupano i paesi che, come il
mio, temono di diventare un secondo Cile. Grazie a voi americani.
Lei
sbaglia proprio a scegliere il Cile come esempio. Se legge attentamente
il rapporto senatoriale sul Cile, pubblicato malgrado le mie obiezioni,
vede che dal 1964 in poi noi ci limitammo ad aiutare il centro
democratico contro un Allende che si diceva associato con Castro e coi
comunisti. La CIA non ebbe parte nel rovesciamento di Allende nel 1973.
Il comitato senatoriale non trovò una prova della nostra
collaborazione, dopo il 1970.
Davvero? E il finanziamento degli scioperi? E gli interventi della ITT?
Bè,
un po’ di denaro fu dato: un contributo infinitesimale. Lo demmo
attraverso altra gente, cioè a un gruppo che poi lo passò a un altro
gruppo. Roba da niente. Legga i miei dinieghi dinanzi al senatore
Church quando dico: «Con una eccezione che durò sei settimane nel 1970».
Io
direi piuttosto che incominciò nel 1970: l’11 novembre, quando Nixon e
Kissinger chiamarono Richard Helms, allora capo della CIA, e gli
ordinarono di rovesciare Allende organizzando un golpe.
Durò
solo sei settimane... E non riuscimmo... Il resto del nostro programma
in Cile fu di sostegno alle forze del centro democratico contro la
minaccia della sinistra. Non rientrava nella nostra politica rovesciare
Allende nel 1973. Noi aspettavamo le elezioni del 1976 sperando che le
forze democratiche vincessero nel 1976. Certo non aiutammo Allende,
però siamo innocenti del golpe del 1973. Quel golpe fu causato dallo
stesso Allende che stava distruggendo la società e l’economia cilena,
che si comportava in modo antidemocratico, che sopprimeva la stampa di
opposizione, che agiva in modo anticostituzionale come dissero sia il
Parlamento che la Corte suprema che...
Ma che diavolo sta
inventando, signor Colby?!? Ma come si permette di falsificare la
storia così? Ma se la stampa di opposizione tormentò Allende fino
all’ultimo momento!
Che Allende fosse democratico è una sua
opinione personale. Lo dichiarava lui stesso di voler sopprimere
l’opposizione, la borghesia. Sopprimere! Era un estremista, il suo
Allende, un oppressore. Io lo so. Io ho buone informazioni.
Se
tutte le sue informazioni assomigliano a questa, signor Colby, capisco
perché la CIA si rende così spesso ridicola. Ma io voglio sapere questo
da lei che si batte in nome della democrazia: avendo vinto
democraticamente le elezioni, Allende aveva o no il diritto di
governare il suo paese?
Bè, ecco...
Non esiti, signor Colby. Mi risponda.
Mussolini non vinse le elezioni? Hitler non divenne cancelliere della Germania grazie alle elezioni?
Lei non può essere così in malafede, signor Colby. Lei non può paragonare Allende con Hitler e Mussolini. Questo è fanatismo.
Io non sono fanatico. Io credo in una democrazia liberale occidentale.
In che modo? Ammazzando? Mi racconti dell’assassinio del generale Schneider, il capo di Stato maggiore di Allende.
Noi
della CIA avemmo pochissimo a che fare con l’assassinio del generale
Schneider. Pochissimo... È scritto nel rapporto senatoriale sul Cile:
apparentemente il gruppo che tentò di rapirlo non era lo stesso che
riceveva le armi dalla CIA. È la solita storia di quelle sei settimane.
Oh, il suo modo di vedere la CIA è davvero paranoico. Lei si comporta
come la stampa americana quando si eccita per la Pistola Nera, quella
con le frecce, di cui parla il senatore Church. Un’arma che non fu mai
usata, mai. Ah, siete voi della stampa che gettate il fango sulla CIA,
che falsate, distorcete. Naturalmente, nel corso delle nostre attività
all’estero, qualcuno è rimasto ucciso... Naturalmente... Nostri agenti
e anche persone dall’altra parte della barricata... Ma niente
assassinii. Conosco chi lavora per me e posso assicurarle che si tratta
di buoni americani, di veri patrioti che lottano per proteggere il
proprio paese... per il diritto di difendere la libertà...
Perché quel diritto non ve lo prendete con Pinochet?
Ogni
nazione deve fare le sue scelte e poi queste sono faccende che
riguardano il mio governo. Lei non lo capisce perché parte da un
atteggiamento ideologico. Io non sono ideologico, sono nazionalista e
pragmatista. E da buon pragmatista le dico che tocca agli Stati Uniti
decidere dove vogliono aiutare e dove no. Era nostro diritto sostenere
gli oppositori di Allende, così come è nostro diritto aiutare in Europa
chi si oppone all’avanzata comunista. La CIA fa questo da trent’anni
ripeto e lo fa bene. E l’Italia è l’esempio migliore, ripeto.
Mi
dica, signor Colby: in nome di quel pragmatismo è mai capitato che la
CIA suggerisse al suo governo un dialogo coi comunisti italiani ed
europei?
Un dialogo? Non vedo come possa esserci un dialogo tra
noi e loro. E poi le loro posizioni sono note: conosciamo la loro
politica, i loro programmi. La buona fede di un individuo non ci
interessa: un uomo in buona fede può sempre essere rimpiazzato da un
altro. Quanto alle loro promesse... Anche Gromiko faceva promesse.
Anche Molotov. Anche Vishinski. Promesse solenni.
Dunque fu
la CIA a raccomandare che non fosse concesso il visto a Segre e a
Napolitano, quando furono invitati dal Council on Foreign Affairs.
Non
mi sembra utile indicare ai comunisti che siamo pronti per il loro
compromesso storico. Peggio ancora, per un compromesso storico tra il
PCI e gli Stati Uniti. No, non accetto quella roba. Non accetto gente
che, una volta al potere, ridurrebbe la sua amicizia per gli Stati
Uniti. Non ho simpatia alcuna per gente di quel tipo.
E il viaggio di Almirante a Washington?
Questa
è una domanda per il Dipartimento di Stato, non per me. Io non lo
conosco questo Almirante. So soltanto che è un fascista al di fuori del
centro democratico. E i fascisti non mi piacciono. La CIA non c’entra
proprio col suo viaggio in America. Io non ne sapevo nulla.
Ma
come?! Con tutte le spie che avete nei partiti italiani vi vien a
mancare un’informazione così? Perché ne avete di spie, no? Anche nel
PCI.
Naturalmente abbiamo tutto l’interesse di conoscere i loro
piani futuri e segreti. Naturalmente vogliamo sapere in che direzione
vanno e se sono sinceri quando dicono di voler restare nella NATO.
Anche il KGB ha i suoi agenti per questo. Però otteniamo le nostre
informazioni anche in molti altri modi: leggendole, ad esempio. Prenda
questa razionalizzazione del compromesso storico. A leggerla bene si
capisce che, al di sotto dei discorsi tattici, si nasconde una
dichiarazione strategica. Sicché, in due anni, tutti quei discorsi
tattici possono essere sostituiti da una visione stalinista della
storia. Non dimentichi che Stalin poté fare un accordo con Hitler e poi
romperlo. Io credo nel leggere ciò che la gente dice di voler fare.
Forse lo farà. Se avessimo letto con più attenzione Mein Kampf di Hitler...
Signor
Colby, lei mi sta presentando la CIA come un’associazione di boy scouts
che passano la maggior parte del loro tempo in biblioteca. Per
cominciare, voi siete delle spie...
Un momento. Sì, nei tempi
andati l’Intelligence era solo spionaggio. Mata Hari e via dicendo.
Oggi invece l’Intelligence è un processo intellettuale che consiste
principalmente nell’accumulare informazioni le quali vengono
centralizzate e studiate da specialisti. Informazioni ottenute dalla
radio, dalla stampa, dai, libri, dai discorsi. Per questo ci chiamiamo
Central Intelligence Agency. Oltre a questo c’è l’elettronica, ci sono
i computers, c’è la tecnologia insomma. E negli ultimi quindici anni la
tecnologia ha talmente cambiato l’Intelligence che non c’è più bisogno
di Mata Hari che ruba il segreto per darlo al generale. Voglio dire:
prima ci chiedevamo quanti missili avessero i sovietici. Ora li
contiamo, sappiamo quanto sono grandi, quanto vanno lontano...
Naturalmente il lavoro clandestino c’è ancora, soprattutto nei paesi
chiusi. Ma la vecchia Intelligence come segreto totale è finita. E la
parola spia non rende l’idea, proprio perché l’Intelligence non
significa soltanto spionaggio. Significa analisi, tecnologia. Una
faccenda molto più grossa, molto più affascinante del lavoro alla Mata
Hari. Ed è questo che rende la CIA il servizio segreto migliore del
mondo.
Meglio del KGB?
Oh, il KGB è un’altra cosa.
La maggior parte del lavoro del KGB si svolge nell’Unione Sovietica
dove esso è l’FBI, la CIA, la polizia di Stato, i carabinieri, tutto.
Naturalmente, c’è poi il resto. Qui negli Stati Uniti, al tempo delle
spie atomiche, fecero alcune buone operazioni. Davvero eccellenti. Come
quando reclutarono una ragazza della sezione controspionaggio del
nostro Dipartimento di Giustizia, e lei rivelò tutto ciò che sapevamo
sulle loro spie. Ottima operazione, ottima. E quando sistemarono un
trasmettitore nel tacco della scarpa di un nostro diplomatico? Anche
quello fu un colpo eccellente. Eccellente. Sa, questa è gente che
lavora per il suo governo, e il fatto che io non sia d’accordo con la
loro filosofia non significa che non li ritenga capaci di fare un buon
lavoro. Naturalmente, bisogna distinguere tra la loro abilità e il loro
scopo. Se la prima può essere ottima, il secondo può essere pessimo.
Comunque le dirò che, attualmente, anche il KGB sta copiando i sistemi
della CIA. Anche i russi incominciano a vedere l’Intelligence come un
processo intellettuale, uno studio sofisticato, una analisi.
Signor
Colby, la CIA è anche qualcosa di peggio. È una forza politica segreta
che organizza complotti e colpi di Stato. È uno strumento che punisce
chiunque sia contro gli interessi o la politica degli Stati Uniti. È...
Ciò
a cui lei si riferisce riguarda solo il 5 per cento del nostro
bilancio. Solo il cinque per cento va alle nostre attività politiche e
paramilitari. Attività segrete, ovvio, e necessarie nel mondo in cui
viviamo. Siamo realisti: un po’ di aiuto ad alcuni paesi, ad alcuni
amici, può evitare lo svilupparsi di una crisi seria e magari la terza
guerra mondiale. Negli anni Cinquanta quelle attività costituivano il
trenta per cento del nostro bilancio. Negli anni Ottanta, se il mondo
continua a svilupparsi in direzione totalitaria come sembra, possiamo
tornare al trenta per cento. O anche di più. Ma, ora come ora, è solo
il 5 per cento. E su quello avete sollevato questo illegittimo
polverone. Illegittimo, sì. Non è meglio difenderci finanziando
qualcuno anziché facendo la guerra?
Sì, ma qui non si tratta
di finanziare e basta. Si tratta, ad esempio, di assassinare i leader
stranieri. Parlo dei vostri veleni e delle vostre fiale batteriologiche
per ammazzare Castro, Lumumba...
Nel 1973, prima che esplodesse
questa faccenda, io detti ordini precisi contro i progetti di
assassinio. Ho respinto numerose proposte di assassinio in numerose
occasioni durante la mia carriera e soprattutto quando sono diventato
capo della CIA. Ho sempre detto che l’assassinio era una cosa
sbagliata. Però molti le risponderanno che se Hitler fosse stato
assassinato nel 1938, oggi il mondo andrebbe meglio.
E dài con Hitler! Castro non è Hitler.
Castro
permise all’Unione Sovietica di installare missili nucleari a Cuba,
così mettendo sotto la minaccia nucleare tutte le città americane a
sud-est del Mississippi.
E ciò la autorizzava ad ammazzare Castro?
Le
garantisco che nell’Italia del Rinascimento molta gente discuteva,
dentro e fuori la Chiesa, sui pro e i contro del tirannicidio.
Anzi
la discussione era incominciata alcuni secoli prima, coi greci e i
romani. Come morì Giulio Cesare? Come morivano i principi dei vari
Stati italiani? L’assassinio era un’arma politica e, come tale, non è
stato davvero inventato in America ieri mattina. Per favore, non venga
a farmi del moralismo. Non si alzi in piedi, come italiana, per darmi
lezioni di morale su quest’argomento.
Lezioni di morale
forse no. Sebbene, personalmente e nel 1976, io ne abbia tutto il
diritto. Lezioni di storia, sì. Le ricordo infatti che Cesare fu ucciso
da un romano e non da un americano. E Pericle innalzava monumenti ai
greci che uccidevano un tiranno greco, non agli americani che
ammazzavano i cubani.
Però Vercingetorige fu ammazzato da
Cesare, e Attilio Regolo dai cartaginesi, e una quantità di capi
stranieri da Lucrezia Borgia. Io non cerco giustificazioni. Io dico che
s’è sempre fatto e che è difficile per un paese dare lezioni morali a
un altro paese.
Siete voi che dite d’essere più morali degli
altri. Siete voi che vi presentate come l’arcangelo Gabriele.
Democrazia, libertà, e via dicendo. Ora si ripara sotto le gonne di
Lucrezia Borgia?
Forse la nostra morale non è perfetta ma è
meglio di quella degli altri. In tutto il mondo la politica americana è
guardata come un faro di libertà e le vostre calunnie sulla CIA hanno
il solo scopo di ingiuriare l’America. Ho lavorato ventott’anni alla
CIA e sono in grado di affermare che in ventott’anni, sono state ben
poche le cose che non avremmo dovuto fare. Per esempio, aprire la
posta. Sì, ci fu un periodo degli anni Cinquanta in cui aprivamo la
posta in partenza e in arrivo dall’Unione Sovietica. V’era un motivo:
l’America pullulava di spie sovietiche. Tuttavia non avremmo dovuto e...
Ma chi parla di posta! Qui si parla di assassinii, signor Colby!
La
CIA non ha mai assassinato nessuno. Neanche Diem. Accusarci di
assassinio è ingiusto. Vi furono casi in cui andammo e tentammo, è
vero. Ma non riuscimmo mai. Non realizzammo mai i nostri piani.
Anche
se lei dicesse la verità, signor Colby, non le sembra vergognoso che la
CIA facesse progetti per ammazzare gli avversari come faceva Al Capone?
La
gente fa queste cose in tutto il mondo, che sia saggio o no. Progetti
di uccidere capi di Stato esistono in tutto il mondo. Io lo so. Lo
so... E confermo che sono sempre stato contro l’idea di ammazzare in
quel modo. Ne ho fatto una regola, nel 1973. Ho personalmente
licenziato alcuni direttori della CIA perché mi proponevano cose
simili. Gli ho detto: «Lei non lo farà!». Chiarito questo, le cito un
motto di Jefferson: «L’albero della libertà deve essere innaffiato ogni
vent’anni dal sangue dei tiranni».
Insomma, quando-ci-va-ci-vuole. È religioso, lei, Mr. Colby?
Sì, molto. Sono un cattolico osservante e rigoroso.
Di quelli che vanno alla messa ogni domenica mattina?
Sì, certo. Anche stamani sono andato.
Di quelli che credono al Paradiso e all’Inferno?
Sì, certo. Io credo in tutto quello che la Chiesa dice. Perché?
Così. Mi racconti della mafia. Dell’uso che la CIA fa della mafia.
Un
caso! Un caso solo! Nel 1960! Per Castro! Quando Castro prese il potere
a Cuba considerammo l’opportunità di lavorare con persone che a Cuba
avevano ancora certi amici. Persone della mafia, voglio dire. Amici
della mafia. E li contattammo e, secondo il nostro progetto, essi
dovevano tentare di uccidere Castro. Ma fu molto... Bè, non funzionò.
Allen Dulles e McCone erano direttori della CIA a quel tempo.
E McCone disse di non saperne nulla.
Bobby
Kennedy però lo sapeva. Quindi lo sapeva anche John, il presidente. Sa
cosa penso? Chi rimane più screditato da queste rivelazioni non è
nemmeno la CIA, sono i presidenti degli Stati Uniti.
Le
rivelazioni dimostrano che la CIA non è mai stata un elefante
selvaggio, uno Stato dentro lo Stato, un governo al di fuori del
governo, ma ha sempre lavorato come parte della politica americana. E
ora che il paese sta attraversando un processo di revisionismo, la CIA
è un po’ il capro espiatorio di quel revisionismo... La prova che i
presidenti volessero certe azioni specifiche non è molto evidente, in
alcuni casi non è neppure chiaro se il presidente lo sapesse o no. Ma i
fatti indicano, semplicemente, che la CIA operava entro i limiti di una
politica che sembrava autorizzarla a fare certe cose.
Infatti
da Eisenhower a Nixon non se ne salva uno. E sotto Johnson quale
birbanteria combinaste? Ah, sì: il golpe di Papadopulos.
La CIA
non appoggiò, ripeto non appoggiò, il golpe dei colonnelli in Grecia. I
colonnelli... certo non li respingemmo. Ma nemmeno li sostenemmo.
Diciamo insomma che lavorammo con loro. Dopo che Papadopulos ebbe
assunto il potere, tenemmo una liaison con lui per lo scambio di
informazioni. E anche con Joannidis la CIA aveva la stessa liaison per
lo stesso scopo. Il resto è mito. E avere buoni rapporti con qualche
leader autoritario non significa mica sostenerlo. Ah, lei non vuol
proprio accettare l’immagine di una CIA diversa da quella che la sua
fantasia ha costruito. Lei mi ricorda la storia dei ciechi e
dell’elefante. Sa quale? Arriva un elefante e i quattro ciechi gli si
avvicinano. Uno gli tocca la proboscide e dice: «È una lancia». Uno gli
tocca una zampa e dice: «È un albero». Uno gli tocca la coda e dice: «È
un serpente». Uno gli tocca un fianco e dice: «È un muro». E nessuno di
loro si accorge che, nell’insieme, è un elefante. Certo una parte della
colpa è nostra. L’Intelligence dovrebbe essere segreto totale. Quando
Schlesinger divenne direttore della CIA, disse: «Perché sull’autostrada
non c’è un cartello che indica l’edificio della CIA?». Gli rispondemmo:
«C’era ma quando Kennedy divenne presidente ci ordinò di toglierlo
giudicando ridicolo che un servizio segreto fosse indicato con un
cartello sull’autostrada». E Schlesinger rispose: «Rimettetelo». Così
lo rimettemmo e... Ma la democrazia non dipende forse dal segreto? Il
voto non è forse segreto?
Eppure lei è proprio quello che ha
infranto il segreto. Si pente mai di aver rivelato tante cose ai
comitati di investigazione? Poteva rifiutarsi?
Certo non mi
pento di aver detto la verità. Non ho mai avuto dubbi o esitazioni sul
fatto di dover rispondere alle loro domande con la verità. Quanto a
rifiutarmi di testimoniare, non avrei potuto neanche se avessi voluto.
La legge mi ingiungeva di parlare. Non avevo scelta. Non mi aspettavo
nemmeno che le mie rivelazioni restassero segrete. Però non credevo che
certi casi venissero così sensazionalizzati. Il fatto è che non è
comodo vivere in una società aperta come quella americana. Consideri il
caso di Richard Welsh, l’agente della CIA ammazzato ad Atene. Sa come
sono andate le cose? Un anno fa un funzionario chiamato John March
scrisse un articolo, qui a Washington, sostenendo di sapere come si fa
a identificare nelle varie ambasciate chi lavora per la CIA. E lo
dimostrò. Avremmo potuto impedirlo? No. Avremmo potuto impedire che i
vari nomi fossero pubblicati? No. La nostra legislazione è debole in
quel senso. Perché il rapporto Pike non fosse pubblicato è stato
necessario l’intervento del Parlamento. E perché il Parlamento
giungesse a tanto è stato necessario che Welsh morisse. Una perdita
enorme per noi della CIA. Enorme. Era un agente estremamente abile.
Era stato anche in Cile?
Non so, era stato in vari paesi dell’America Latina.
Parliamo
un po’ del rapporto Pike. Anche nel rapporto Church la CIA fa una
pessima figura. Ma in quello di Pike, siamo sinceri, passa proprio da
cretina. Non si sa se ridere o piangere, ecco.
Il rapporto Pike
è assolutamente parziale, totalmente prevenuto, e scritto con
l’intenzione di screditare la CIA. Il rapporto Church, cioè quello
sugli assassinii e sul Cile, è abbastanza giusto. Quello Pike è... è...
Non c’è nemmeno tutto quello che ho detto! Lui afferma che lo
spionaggio della CIA è così cattivo che, se l’America fosse attaccata,
non lo saprebbe in tempo. È una dichiarazione falsa. E insensata. E
irresponsabile. Tutto ciò che Pike afferma in quel senso non viene
nemmeno dalle sue investigazioni: viene dalle nostre stesse critiche.
Lui non ha fatto che prendere le nostre carte e copiarle. Ma non le
carte che parlano dei nostri successi: quelle che parlano dei nostri
insuccessi! Prenda l’esempio del Medio Oriente. Nella primavera del
1973 noi dicemmo al nostro governo che, ammeno di un intervento
politico, con probabilità ci sarebbe stata una guerra nel Medio
Oriente. E demmo tutte le informazioni a sostegno di questa tesi. La
sera del 5 ottobre valutammo le cose in altro modo: «Alcuni segni
indicano che la guerra non ci sarà. In complesso riteniamo dunque che
la guerra non ci sarà». D’accordo, questo secondo dispaccio fu un
errore. Però, mesi prima, avevamo detto che forse la guerra ci sarebbe
stata, e alla CIA non leggiamo mica il futuro dentro una palla di
cristallo, no? Non lo sappiamo mica al cento per cento tutto quello che
accadrà domani, no?
Signor Colby, per una Intelligence che
si vanta d’essere la migliore del mondo, l’errore mi sembra grossino.
Quasi grosso come quello che commetteste in Cecoslovacchia quando per
due settimane «perdeste» l’esercito sovietico e fu l’ambasciatore
sovietico a dire a Johnson cosa stava accadendo. Quanto al
Portogallo... Non sapevate nulla neanche sul Portogallo.
Sapevamo
qualcosa, checché ne dica il signor Pike. Sapevamo che c’erano dissensi
nell’esercito, che c’era disagio. E lo dicemmo al nostro governo. Il
Portogallo, guardi... Come per la guerra tra gli arabi e Israele, uno
può conoscere il quadro nel suo insieme e poi fare piccoli errori. Il
Portogallo non lo seguivamo nei dettagli perché a quel tempo non era
importante.
Però, dopo, lo avete seguito bene. No?
Eh,
sì. Certo. Ora sappiamo tutto quel che succede, eccome. Uno non dà
molta importanza a ciò che succede nell’Antartide oggi. Ma, se
nell’Antartide scoppia una guerra, le cose cambiano.
Voglio dire, tutte quelle sommosse nel nord del Portogallo quando i cattolici si ribellarono a Cunhal. Uno zampino di CIA... eh?
La
gente come lei vede la CIA sotto ogni divano. La vede perfino nei
concorsi per l’elezione del più bel cane dell’anno. Ma quello, ripeto,
riguarda solo il cinque per cento delle attività della CIA. Non abbiamo
il tempo di trovarci in ogni villaggio del mondo. Il Portogallo... cosa
vuole che le dica del Portogallo? È ragionevole dedurre che, dopo,
abbiamo lavorato molto duramente su ciò che stava succedendo.
Un aiutino qua, un aiutino là...
No comment. Né sull’Italia, né sul Portogallo, né su alcun paese specifico.
Suvvia,
signor Colby. Non vorrà farci credere che l’Italia è il solo paese dove
la CIA ha speso miliardi. Perché non mi parla, ad esempio, della
Germania?
Certi paragoni non sono possibili. Ogni paese è un
caso a parte. Noi ci preoccupiamo e ci siamo sempre preoccupati di
tutti i paesi europei. L’Europa è molto importante per gli Stati Uniti.
Tutta. E non direi proprio che l’Italia sia il paese dove abbiamo
dovuto lavorare di più. Quanto alla Germania... ha abbastanza soldi per
conto suo. Io posso dirle soltanto che il posto dove noi della CIA
abbiamo avuto maggiore successo nel mondo è, indiscutibilmente,
l’Europa occidentale. Un programma davvero riuscito.
Signor Colby, chi ha voluto che lei lasciasse la direzione della CIA? Kissinger?
No.
Kissinger è sempre stato un grande sostenitore dell’Intelligence. Tra
me e lui vi sono stati momenti di accordo e di disaccordo, però non
siamo affatto nemici. Di Kissinger non posso che dire un gran bene:
ritengo che sia stato un eccellente segretario di Stato e che meriti un
Premio Nobel per la Pace. Un altro. Sì. Per il Medio Oriente. Io sono
fuori della CIA perché il presidente mi fece sapere che intendeva
offrirmi un altro lavoro e... Il presidente può avere molte ragioni per
cambiare il capo della CIA. È un suo privilegio e... Mi offrì un altro
lavoro ma io lo rifiutai. Gli dissi che avrei servito meglio la CIA
scrivendo un libro su ciò che la CIA è veramente e... Del resto, quando
ebbero inizio le investigazioni senatoriali, io fui il primo a dire che
al mio posto ci sarebbe voluto una faccia nuova. Le assicuro che non
v’è in me nessuna amarezza.
Lo vedo. Niente scuote il suo gelo, la sua imperturbabilità.
Non
sono un emotivo, lo ammetto. Però alcune cose mi feriscono. Come quando
fui nominato capo della CIA e un gruppo innominato riempì Washington di
manifesti che mi definivano assassino. La cosa mi ferì. Molto. Proprio
come quando lei dice che la CIA è una associazione di assassini. Per
settimane i miei figli dovettero vivere con quei manifesti e...
Capita mai che i suoi figli le diano di «sporco reazionario»?
Reazionario...
no. Conservatore semmai. Ci sono discussioni in famiglia. I miei figli
erano contro la guerra in Vietnam, si figuri e... Non smentisco
d’essere un conservatore. Votai per Nixon. E ancora oggi ritengo che,
in politica internazionale, egli abbia fatto un lavoro splendido. Pensi
alla Cina, a...
... al Cile, a Cipro, al finanziamento dei
democristiani e dei socialdemocratici in Italia. Signor Colby, sono
esausta. Solo quando intervistai Cunhal soffrii quanto ho sofferto con
lei.
Mi dica, mi dica: che tipo è Cunhal?
Gliel’ho detto: in fondo, un tipo come lei.
Cosa?!?
Sì,
un prete come lei. Oh, non capirà mai, signor Colby, quanto vi
assomigliate voi due. Se fosse nato dall’altra parte della barricata,
lei sarebbe uno stalinista perfetto.
Respingo con sdegno questa
affermazione. Però, forse... No, no. E non sono un prete. Tutt’al più
sono un puritano. Nessun’altra domanda?
Una sola. Posso leggere il rapporto che la CIA ha su di me?
Secondo
la legge americana, lei può scrivere una lettera alla CIA e chiedere di
leggere qualsiasi cosa abbiamo su di lei. Le costerà qualcosa, spese di
francobolli eccetera, ma le faranno vedere tutto. Ammenoché non esista
qualche ragione per tenere segreto il rapporto. Antropov, il capo del
KGB, può fare lo stesso. Non è ridicolo?
No, è sconcertante. Ma tutto ciò che mi ha detto era sconcertante,
signor Colby. E molto, molto triste.
From: laurapicchi56@???
To: forumlucca@???; tifeoweb@???; info@???; giovanna.duranti@???; sensi99@???; calinde@???; salahchfouka@???; m.marcucci@???; talithacianca@???; gicavalli@???; vbertini@???; toussaint@???; m.ciancarella@???; rsensi@???
Subject: RE: ustica: ritrovato "temino" sui servizi firmato cossiga non più anonimo(aveva scritto del "temino" cossighiano mario ciancarella)
Date: Sat, 10 Oct 2009 18:50:57 +0200
Mi è arrivata la copia dell'Abecedario sui servizi di Cossiga.
Nella copia che mi è arrivata si dice che William Colby ex direttore della Cia e amico di Cossiga ha corretto la bozza dell'abecedario sui servizi di Cossiga, Colby è morto ma è del tutto evidente che a pag. 29 non c'è nessun errore di stampa.
Chi è Colby?
Su
www.strano.net/stragi alla cronologia del 1975 si trova scritto:
"William
Colby, direttore uscente della CIA, depone davanti alla Commissione d'inchiesta
del Congresso USA sui servizi segreti. Ammette che nel 1972 la CIA ha organizzato
un'operazione segreta volta a influenzare il corso degli avvenimenti politici
in Italia in senso anticomunista. Alla deposizione è presente anche
il nuovo capo della CIA, George Bush, che aggiunge "... Non sono esclusi
altri avvenimenti del genere qualora ciò fosse richiesto dalle esigenze
di sicurezza degli Stati Uniti...". Durante questi anni si sviluppa
in Italia la strategia della tensione e una serie di tentativi di colpo
di stato."
Tutto torna? quel signore che si chiama Cossiga ha commesso alto tradimento? CI piacerebbe saperlo come cittadini sovrani. Peccato che nessuno a livello politico giudiziario abbia ascoltato Mario Ciancarella quando lo ha denunciato e Cossiga invece che sotto processo, sia oggi senatore a vita. Laura Picchi
From: laurapicchi56@???
To: forumlucca@???; tifeoweb@???; info@???; giovanna.duranti@???; sensi99@???; calinde@???; salahchfouka@???; m.marcucci@???; talithacianca@???; gicavalli@???; vbertini@???; toussaint@???; m.ciancarella@???; rsensi@???
Subject: RE: ustica: ritrovato "temino" sui servizi firmato cossiga non più anonimo(aveva scritto del "temino" cossighiano mario ciancarella)
Date: Sat, 26 Sep 2009 10:37:00 +0200
p.s 2 Ho trovato cosa significa contro-terrorismo, è molto diverso dall'antiterrorismo.
L'antiterrorismo
è un'azione dello stato e dei suoi apparati che è certamente svolta nell'ambito costituzionale
italiano del 1948, si fanno indagini per scoprire gruppi terroristici,
chi li finanzia, i loro rapporti e poi si perseguono i reati commessi
processando e condannando i colpevoli, assolvendo gli innocenti.
Il
contro-terrorismo a mio parere è contro la Costituzione italiana, in
quanto prevede che per un semplice sospetto di terrorismo si faccia
un'azione di guerra preventiva o si usi prima che lo faccia il nostro
avversario il terrorismo stesso contro di esso. Non è affatto come dice
Cossiga un'azione difensiva, ma bensì offensiva e viola a mio parere
l'articolo 11 della Costituzione.
C'è anche un'ulteriore questione
da tenere presente. Nell'antiterrorismo si fanno indagini e se una
persona è innocente non si punisce, nel contro-terrorismo c'è sempre il
rischio che il potere crei il casus belli e faccia guerre o usi il
terrorismo contro chi non ha fatto nulla, è innocente oppure che si
facciano ritorsioni ingiustificate, perchè il sospetto di terrorismo del
potere era infondato. Prima di muovere guerra a qualcuno bisogna avere
prove certe che quello ti ha attaccato, non semplici sospetti. Il
terrorismo contro il terrorismo non va mai usato a mio parere, perchè
la violenza genera violenza e la pace mortuaria. La violazione dei
diritti inalienabili della persona e dei popoli è un rischio molto
ridotto con l'antiterrorismo, in Italia c'è la malagiustizia ma questa
è un'altra questione. la violazione dei diritti è un rischio molto alto
io credo con il contro-terrorismo. un saluto. laura picchi
From: laurapicchi56@???
To: forumlucca@???; marisa.pareto@???; tifeoweb@???; info@???; giovanna.duranti@???; sensi99@???; calinde@???; salahchfouka@???; m.marcucci@???; talithacianca@???; gicavalli@???; vbertini@???; toussaint@???; m.ciancarella@???; rsensi@???
Subject: RE: ustica: ritrovato "temino" sui servizi firmato cossiga non più anonimo(aveva scritto del "temino" cossighiano mario ciancarella)
Date: Fri, 25 Sep 2009 09:51:13 +0200
p.s Peccato che ad ogni livello, nessuno gli abbia mai chiesto a Cossiga se quello fosse o meno un errore di stampa e come sappiamo nessuno gli ha chiesto conto delle sue eventuali(eventuali perchè da accertare ancora a livello giudiziario) responsabilità per Ustica. laura picchi
From: laurapicchi56@???
To: forumlucca@???; marisa.pareto@???; tifeoweb@???; info@???; giovanna.duranti@???; sensi99@???; calinde@???; salahchfouka@???; m.marcucci@???; talithacianca@???; gicavalli@???; vbertini@???; toussaint@???; m.ciancarella@???; rsensi@???
Subject: RE: ustica: ritrovato "temino" sui servizi firmato cossiga non più anonimo(aveva scritto del "temino" cossighiano mario ciancarella)
Date: Fri, 25 Sep 2009 09:32:43 +0200
Cari amici,
potrebbe essere che sia un errore di stampa quello che si può leggere a pag. 29 dell'abecedario sui servizi di Cossiga che vi ho segnalato.
Tra le attività difensive Cossiga inserisce infatti a pag. 29:
"(...) contro-terrorismo: contrasto con l'azione terroristica che abbia origini o supporti dall'Estero.
Se il senatore a vita non voleva scrivere: "contrasto all'azione terroristica...", invece che "contrasto con l'azione terroristica"(io ho sempre sentito parlarle dell'antiterrorismo però, non del contro-terrorismo ndr) come si legge a pag.29, dobbiamo pensare forse che la strage di Ustica potrebbe essere concepita come "un'attività difensiva di contro-terrorismo" dal senatore a vita Cossiga?
Mi piacerebbe saperlo, a voi? laura picchi
From: laurapicchi56@???
To: forumlucca@???; marisa.pareto@???; tifeoweb@???; info@???; giovanna.duranti@???; sensi99@???; calinde@???; salahchfouka@???; m.marcucci@???; talithacianca@???; gicavalli@???; vbertini@???; toussaint@???; m.ciancarella@???; rsensi@???
Subject: RE: ustica: ritrovato "temino" sui servizi firmato cossiga non più anonimo(aveva scritto del "temino" cossighiano mario ciancarella)
Date: Fri, 25 Sep 2009 00:23:04 +0200
Su google book c'è un ampia sintesi del temino cossighiano, sufficiente per capire da parte di tutti voi l'importanza di quanto scrisse Mario Ciancarella sul tema nel cap. 16 dedicato alla strage di Ustica del suo Manoscritto Impossibile Pentirsi.
A chi interessa leggerlo per intero e tenersi in casa una copia può acquistarlo.
Laura Picchi
From: laurapicchi56@???
To: forumlucca@???; marisa.pareto@???; tifeoweb@???; info@???; giovanna.duranti@???; sensi99@???; calinde@???; salahchfouka@???; m.marcucci@???; talithacianca@???; gicavalli@???; vbertini@???; toussaint@???; m.ciancarella@???; rsensi@???
Subject: ustica: ritrovato "temino" sui servizi firmato cossiga non più anonimo(aveva scritto del "temino" cossighiano mario ciancarella)
Date: Fri, 25 Sep 2009 00:05:37 +0200
Potete leggere "I servizi e le attività di informazione e controinformazione. Abecedario per principianti,politici e militari, civili e gente comune compilato da Francesco Cossiga dilettante" al link:
http://books.google.it/books?id=E0hwZkIQijwC&dq=abecedario+cossiga&printsec=frontcover&source=bl&ots=AefyW5qA39&sig=dkezAtePJ83-H-LHfGIDgEqrdBo&hl=it&ei=aui7StD-HoT9_AbXmam8DQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2#v=onepage&q=&f=false
Quando avete letto "il temino" cossighiano sui servizi, l'invito è di fare la fatica di rinfrescarvi la memoria su quanto scriveva Ciancarella sulla questione:
Dal cap. 16 del Manoscritto Impossibile pentirsi di Mario Ciancarella pgg. 145-148
(..)Importanti
alcuni rilievi alle note introduttive. Il documento è
contenuto in un Dossier che la Rivista titola: "A
che servono i servizi",
il testo pubblicato reca il Titolo: "Intelligence:
Istruzioni per l'uso.
di Francesco Cossiga",
ed è introdotto da questa nota redazionale: "Pubblichiamo
questa "Guida si servizi Segreti" redatta dall'allora Capo
dello Stato nel 1990, da lui trasmessa agli Uffici responsabili come
opera di "Anonimo"
per motivi di <opportunità politica>".
L'opportunità politica non può che essere l'interesse
personale del Presidente della Republica a dissimulare la sua diretta
responsabilità in un atto che con assoluta evidenza accerta
l'Alto Tradimento consumato e progettato (nelle sue convinzioni più
deviate) proprio da colui che avrebbe dovuto essere il garante
assoluto dello spirito e della lettera della Costituzione.
Prima
ancora di entrare nel testo, va poi segnalata la nota "1",
riportata accanto al titolo del primo paragrafo di quel testo
preoccupante:
1. I 'SERVIZI SPECIALI'1.
La nota a piè di pagina a sua volta recita: "1. Questo
testo è stato riprodotto per la prima volta da "Cronache
della Disinformazione nr.
28/1993 [Rivista che non sono riuscito a rintracciare, nonostante si
ritrovi in molte bibliografie per la saggistica che stiamo trattando,
al punto da pensare che si tratti di uno di quei bollettini dei molti
circuiti dissimulati dei servizi, funzionali a "far uscire",
anche a fini di "sondaggio" informazioni altrimenti
riservate. Ma di certo si tratta solo di una mia limitata capacità
di accesso alla pubblicistica nazionale che solo a Roma sarebbe
possibile intercettare presso la Biblioteca Nazionale ndr].
Nell'avvertenza Cossiga specificava di essersi
basato anche su "testi in uso nelle scuole di servizi esteri".
Sono
certo che, se vi fosse costretto da una politica consapevole e
determinata, Cossiga non potrebbe che confermare che quei testi - che
negano assolutamente la nostra Costituzione - erano gli stessi della
"Scuola per Dittatori di Panama", gestita dalla CIA e
presso la quale venivano gestiti e partoriti studi come il già
citato "Strategia del Colpo di Stato" del Prof. Edward
Luttwak. Ed ora leggiamolo questo concentrato di nefandezze:
"(..) interessi che per poter
essere realizzati e minacce che per poter essere contrastate
necessitano di attività "non apparenti" e "non
convenzionali", poichè non pubblico è il regime
delle notizie che è interesse acquisire o
clandestina e realizzata in forma occulta è la minaccia che si
intende realizzare. [C'è
chi abbia mai sentito di una minaccia della criminalità
ordinaria od organizzata che non sia "clandestina e realizzata
in forma occulta"? E questo è mai stato sufficiente a
dire che la azione di difesa dello Stato possa avvenire, con la sua
Polizia e la sua Magistratura, attraverso attività "non
apparenti e non convenzionali? ndr]
(..)1.3 Legalità
dei Servizi Speciali
Per questi motivi, si ripete, la
legalità sostanziale dei servizi e delle loro attività
risiede negli interessi
dello Stato e nel
carattere <non convenzionale> del bene che si vuole acquisire,
o del pericolo da cui ci si vuole difendere,
BENI NON ACQUISIBILI IN VIA
LEGALE O IN FORMA <APERTA>, o ATTIVITA' DI PERICOLO SVOLTE IN
FORME ILLEGALI E
CONTRASTABILI, IN MODO EFFICACE, SOLO NELLO STESSO MODO.
Di conseguenza la legalità
sostanziale dei <servizi speciali> si basa sulla legittimità
dei fini, e può
non corrispondere
alla legalità formale
(..) Non convenzionali sono
i mezzi usati e le procedure adoperate, e non convenzionali, per
status, per posizione pubblica, per formazione e per impiego il
personale in essi impiegato e da essi utilizzato.
(..)3.4 Attività <coperte>
dei servizi di intelligence.
In modo accentuato nel dopo guerra,
nell'ambito della guerra fredda, si sono venute accrescendo le (..)
"covert action" (..); si tratta di attività
operative vere e proprie,
che vanno dalla "destabilizzazione"
di regimi politici, alla "sovversione"
anche mediante la
attuazione ed il finanziamento del <terrorismo>, al sabotaggio
quando non addirittura alla azione diretta contro personalità
del Paese avversario"
E
dunque in quelle parole, scritte dal Professore Universitario di
Diritto e Presidente della Repubblica e sottoscritte tuttavia con un
volgare "Anonimo", si legge la consumazione del delitto di
strage a Ustica nelle sue più raccapriccianti motivazioni e
nelle sue più scellerate coperture.
Cossiga,
correndo anche un certo qual pericolo, ha sfidato i Parlamentari
sulla vicenda Ustica, secondo il medesimo criterio con il quale Craxi
li sfidò sulla vicenda tangentopoli e il finanziamento
illecito dei partiti. Anche lì come ad Ustica ritorna il
problema di legittimazione di attività illecite. La medesima
"cultura" sottindente agli interventi davanti alle
Commissioni Difesa di quel Ministro-Generale Corcione, in difesa
della "rubacchiopoli" militare che abbiamo analizzato in
altri capitoli.
Con
il suo "temino" Cossiga vorrebbe porre la pietra tombale
sul concetto stesso di Democrazia Parlamentare, di Stato di Diritto,
di prevalenza Costituzionale.
In
ogni Stato e in qualsiasi condizione e regime politico l'attentato
alla libera o ordinaria convivenza della gente da parte della
criminalità, comune o organizzata, avviene infatti come
aggressione ai beni fondamentali della persona e dello Stato stesso,
nelle stesse forme illegali, non trasparenti, non convenzionali con
cui viene aggredita la sicurezza più generale dello Stato. Ma
essa è contrastata e contrastabile da parte delo Stato solo
con una ancora più decisa adesione alla Legalità, come
valore assoluto. Ogni volta che Giudici, Forze dell'Ordine e
Politici, abbiano ritenuto lecito e legittimo uscire dalla Legalità
con il convincimento di poter affrontare meglio e sconfiggere la
criminalità ordinaria e organizzata, piano piano si sono
ritrovati risucchiati in qualche maniera nello loro spire fino a
risultarne mutati nella loro natura profonda, per ritrovarsi quasi
inconsciamente ad essere divenuti funzionali agli obiettivi del
nemico che volevano combattere. Il campo della illegalità è
il terreno dei criminali, quello della Legalità e il terreno
dello Stato e della Civiltà.
Solo
un presuntuoso ed arrogante aspirante ad una dignità militare
- che gli resterà sempre negata -, come Cossiga, potrebbe
pensare di codificare, in quella maniera e con quelle argomentazioni,
una tattica di scontro con l'avversario. Chiunque infatti abbia fatto
studi anche personali di una certa serietà, non
necessariamente accademici, sulla tattica militare sa che mai si può
sperare la vittoria accettando di combattere nel terreno più
congeniale all'avversario. Ci possono essere mosse apparenti in
questa direzione (come l'infiltrazione di un agente in una banda di
spacciatori o di trafficanti di armi, ma con assoluta
"documentabilità" dello scopo della infiltrazione)
ma il progetto a lungo termine è di condurre l'avversario,
attraverso quella azione, sul campo di battaglia a noi più
congeniale. Cossiga invece si innamora dell'intrigo e del mistero,
come un qualsiasi bimbetto, e ritiene di vincolare lo Stato a questa
sua folle idea di "illegalità legittimata".
Il
nostro squallido Mentore ritiene di conferire con un'alea di
misteriosità alla sola intelligence offensiva di stampo
militare, poteri di assumere comportamenti criminali "assolti"
apriori dal Re, con gli stessi criteri di una Corte settecentesca. Ma
se lo Stato di Diritto rinunciasse alla Legalità come unica
forma di contrasto e prevenzione per accettare l'idea che le "forme
di illegalità siano contrastabili, in modo efficace solo nello
stesso modo" (pensiamo alla violenza della Mafia nelle sue varie
ramificazioni), saremmo tornati molto semplicemente, come invitava a
fare l'on. Martelli, al Far West, alla Legge della Jungla. Dove tutto
è possibile. E se c'è una speranza di limitare sempre
più la violenza della guerra come strumento della politica,
essa è affidata solo alla crescita della cultura del Diritto
Positivo ove il conflitto reale che si innesca tra soggetti diversi e
contrapposti si risolve davanti ad una Autorità Giudiziaria
terza rispetto ai contendenti e non arbitrariamente espressa da un
Potere Regale, ma vincolata alla applicazione del Diritto stabilito
ed accettato.
E'
proprio il mondo militare nella sua vera e più profonda
struttura, comunque di nobiltà, rispetto alla cialtronesca
parodia che ne fa Cossiga, ad offrirci una soluzione, di metodo e di
cultura, fondata sulla Legalità per contrastare le aggressioni
ed i pericoli portati da un qualsiasi avversario, e dunque anche da
una simile cultura della illegalità proposta da Cossiga.
Infatti un cittadino ordinario, per quanto possa avere una licenza di
porto d'armi non sara’ autorizzato ad un uso “ampio” di
quell’arma, e dovrà sempre motivare con dovizia di
particolari e forti testimonianze la necessita’ d'uso di
quell'arma. Mentre un cittadino italiano, chiamato giovanissimo alle
armi, come pure un qualsiasi operatore delle Forze dell'Ordine, sarà
dotato di un'arma e di una facoltà di utilizzo molto più
ampia, dovendo rispondere per il suo impiego anche letale della sola
"violata consegna per eccesso di legittima difesa". E - lo
abbiamo visto parlando della "consegna" - perchè ciò
trovi una sua puntuale disciplina nel diritto, al fine di un
trasparente accertamento del giudice delle indagini, lo Stato e le
sue Amministrazioni sono chiamati a definire la natura del "bene
da proteggere", delineare i confini all'interno dei quali esso
debba essere protetto, precisare i limiti dei poteri conferiti alla
sentinella e le procedure di interdizione, di allarme e di intervento
che essa è tenuta comunque a rispettare per fronteggiare e nel
fronteggiare la minaccia. E certamente con una maggiore presunzione
di legittimita’ d’uso dell’arma da parte del militare, rispetto
al credito di offerto ad un qualsiasi cittadino, senza che tale
garanzia divenga privilegio e presunzione di impunita’.
Cossiga
dice invece - come abbiamo letto appena più indietro - che
questo criterio non sarebbe applicabile alla attività dei
servizi speciali. Ma fa di più: sottrae al Parlamento la
sovranità su questa materia. Mentre noi abbiamo visto come
gli USA ad esempio decretino invece per Legge anche la stessa facoltà
di "covert action" delle Forze Armate e dei loro Servizi
Speciali.
Il
che non toglie che quelle covert action, in quel Paese, siano
soggette in ogni caso a criteri e vincoli ancor più rigidi di
controllo, archiviazione e rendicontazione, e che comunque tutti gli
atti siano pubblicabili, al termine di ogni operazione o nei tempi
fissati da una Legge di pubblicizzazione degli atti, che è
sempre di assoluta garanzia del cittadino più che del Potere.
Ovvero che siano sempre ed immediatamente esigibili ed opponibili
agli autori, su richiesta del Parlamento che ne stia indagando la
"correttezza" secondo i "criteri americani". E
che siano infine sempre evidenti i responsabili dei vari livelli e
coloro che debbano rispondere alla Legge ed al Popolo americano del
proprio operato. La covert action, nella cultura di un regime
sovrano, indica una copertura finalizzata all'esito della azione non
alla sottrazione dai vincoli di legalità dello Stato, o almeno
non dai vincoli di fedeltà esclusiva al proprio Stato.
Esemplare, al riguardo, una dichiarazione di John C. Gannon,
vicedirettore generale della CIA fino al Luglio 1997 in una tavola
rotonda in Italia che analizzeremo più approfonditamente
appena più avanti. Dice Gannon:
"Ci vuole un quadro giuridico che
regolamenti le attività di intelligence nei Paesi democratici.
La CIA ne ha eleborato uno nel corso degli anni, dalle vecchie
direttive statutarie ai successivi "ordini operativi" del
Presidente degli Stati Uniti. Ora abbiamo una base legale molto
solida. Io lavoro sempre con un legale al mio fianco, con il quale mi
consulto per essere sicuro di conoscere tutte le leggi in materia e
garantire che i miei dipendenti operino nella legalità. Le
nostre attività all'estero forse potranno violare le leggi in
vigore in quei paesi, ma nessun dipendente della CIA può
violare le leggi del suo Stato."
Non
sembra, come vedrete, che i nostri politici abbiano colto
l'importanza della legalità nella cultura "del proprio
Paese", cioe’ della propria Sovranita’, che pure Gannon
aveva esplicitato senza riserve. L'assoluto vincolo e rispetto della
Legalità dello Stato da parte di uomini dei servizi, almeno
sul proprio territorio.
Non
c'è invece nessuna parola, in quel temino presuntuoso di
Cossiga, su un pur minimo criterio di archiviazione, di gestione
delle informazioni raccolte, dei tempi e delle procedure di
desecretazione degli atti e di utilizzo pubblico dei materiali
"desecretati", della possibilità e necessità
politica di conoscere comunque e sempre i responsabili di ogni e più
minuta delle azioni e delle sequenze operative attuate dai servizi
speciali. E questa assoluta assenza in Cossiga di ogni criterio di
garanzia democratica - facilmente desumibile dalla legislazione degli
altri Stati, mentre egli ne studia solo i compendi operativi
distorcendoli in una dimensione di assoluta devianza - lo scopre ed
accusa inevitabilmente come collegato ad altri e diversi interessi.
Come Traditore di questo Stato.
Cossiga
concretizza dunque di nuovo il più grande, e l'unico dei
delitti di cui sia imputabile il nostro Presidente della Repubblica:
L'Alto Tradimento. Lo fa nel 1990. Lo fa indirizzando il suo
"insipido ma orrido temino" ai comandanti degli Uffici
Riservati Militari. Lo fa mentre l'onda crescente, della indignazione
popolare e culturale sulla scellerata vicenda di Ustica, vede una più
forte determinazione dei Familiari delle Vittime e dei legali di
parte Civile come dei Comitati di Società Civile; e quando la
loro caparbia denuncia di ritardi ed omissioni sospette porteranno
alla sostituzione dei Giudici Santacroce e Bucarelli con il Giudice
Priore. Lo fa quando il pericolo di un crollo del grande muro
dell'omertà si fa assolutamente concreto. Lo fa dopo che il
Col. Gheddafi ha rilasciato una esplosiva intervista a Retequattro
dove ha prefigurato, quasi nei più perfetti particolari, lo
scenario della strage. Lo fa quando la Commissione Gualtieri, verso
la quale il sig. Cossiga ha già dato pubblici segnali di
insofferenza, redige una relazione seria e commisurata alle sue
funzioni (accertamento delle
cause della mancata
indidividuazione dei
responsabili) e dunque in
una lettura responsabilmente politica dello scenario della strage.
L'intervento
di Cossiga è una chiamata a rinserrare le fila a quegli uomini
dei servizi e delle Forze Armate che avrebbero potuto essere tentati
di rompere la consociazione al tradimento per tornare a schierarsi
con ogni forma e spazio di "lealismo" Costituzionale. Di lì
a poco, perchè il messaggio di "garanzia di impunità
legate al silenzio" e di "pericolo per chi violasse la
consociazione a quel silenzio", lanciato da Cossiga, fosse
comunque intelligibile a chi sapeva, e fosse chiaro come quel
messaggio fosse confortato dalla evidente e "vigile"
presenza sui comportamenti di ciascuno dei cospiratori da parte del
grande controllore e padrone del loro futuro, e fosse dunque
trasparente la necessità di mantenere silenzi "tombali"
su quanto fosse accaduto, riprenderà la serie - la terza
della catena omicida - dei delitti legati al dopo Ustica.
E
la politica non reagiva e non reagisce fino ad oggi. Anzi con l'on.
Brutti sottoscrive e peggiora la nauseante interpretazione del
"Diritto" offertaci del Prof. Cossiga, il quale
nell'Autunno 1997, come vedremo, andrà ad umiliare e
sbeffeggiare la intera Commissione Stragi ed in particolare il suo
Presidente Pellegrino ed il suo consulente, mai direttamente
nominato, Prof. Giuseppe De Lutiis.(..)
Se volete dunque buono studio! Laura Picchi
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