04/10/2009 - Piera Aiello, testimone di giustizia, torna a Partanna dopo 18 anni per rivendicare il suo diritto a Vivere
Piera
Aiello accompagnata da Nadia Furnari si trova nella sua casa di
Partanna per le motivazioni che riportiamo di sotto. Tutto tace al
momento.
Daremo
ampie informazioni nel corso delle ore. Chi volesse avere le notifiche
degli aggiornamenti chiediamo di iscriversi al nostro canale facebook.
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OGGETTO:
Comunicato stampa: Piera Aiello, testimone di giustizia, torna a
Partanna (TP) dopo 18 anni per rivendicare il suo diritto a Vivere
Tornata
nella sua casa di Partanna (TP), Piera Aiello, testimone di giustizia
dal 1991, per constatare il suo effettivo status di “ex testimone”,
come da comunicazioni (e senza motivazione) del Servizio centrale di
protezione, che ha demandato alla Prefettura della località segreta i
problemi legati alla
sicurezza
in base a motivazioni contenute nel documento “stralcio del verbale di
riunione del 15 aprile 2009” recapitato alla Aiello (i cui dettagli
renderemo noti durante la conferenza stampa).
La
Prefettura competente, da parte sua, ritarda ancora ad ottemperare alle
misure concordate con Piera Aiello già nel maggio scorso (teniamo a
sottolineare che il 2 aprile Piera Aiello aveva appreso che la sua
copertura è stata vanificata per cause ad oggi ancora oggetto di
indagine e sulle quali
non desideriamo soffermarci, nel pieno rispetto della serenità di giudizio delle istituzioni competenti).
Ricordiamo
inoltre che l'art.16-ter della L 45/2001 prevede che le misure di
protezione siano mantenute fino alla effettiva cessazione del rischio,
cessazione della quale la diretta interessata non ha ricevuto alcuna
comunicazione, nemmeno dopo le ripetute richieste rivolte al Servizio
centrale
di protezione, che fa capo al ministero degli Interni. Da qui la sua
decisione di chiedere un sereno colloquio con le procure siciliane che
si sono avvalse delle sue testimonianze per avere chiarezza sulla
condizione di pericolo in cui attualmente versano lei e la sua famiglia.
Ci
riserviamo inoltre di discutere nell’ambito di “Contromafie”,
organizzato da “Libera” a Roma il 23/24/25 ottobre, le politiche da
intraprendere insieme ad altre associazioni affinché siano accolte le
proposte
di modifica alla legge già presentate ad alcuni parlamentari al forum
(organizzato dall’Associazione Antimafie “Rita Atria”) sui testimoni di
giustizia tenutosi a Roma il 26 luglio scorso, durante la giornata in
memoria di Rita Atria.
Martedì 6 ottobre alle 11.30 a Partanna (TP), in via Crispi 199, si terrà una conferenza stampa in presenza di Piera Aiello, di don Luigi Ciotti.
Per
motivi legati alla sicurezza di Piera Aiello è necessario accreditarsi
inviando una email all'indirizzo info@??? (per informazioni
tel 347.262.27.46).
Documento Piera Aiello
Io
sottoscritta Piera Aiello nata a Partanna il 02-07-1967 Testimone di
giustizia dal 1991 e residente in località protetta, scrivo e intendo
rendere pubblico questo documento dopo 18 anni di non vita, grazie ad uomini di Stato preposti a garantire la mia sicurezza – come quella di altri Testimoni di Giustizia – e che invece si sono dimostrati ASSENTI e peggio INDIFFERENTI alle nostre condizioni di vita ed alle condizioni di pericolo cui eravamo esposti.
Sono persone che hanno dimostrato purtroppo un assoluto senso di superficialità per quanto riguarda la questione delicatissima dei Testimoni di Giustizia, invece di dimostrare quella attenzione e quell’attento accompagnamento dei “Testimoni di Giustizia”
che lo Stato ha progressivamente imparato ad assumere come compito e
tradurre nello spirito e nel dettato delle specifiche Leggi promulgate,
ma di cui costoro sembra non abbiano mai avuto conoscenza o
comprensione.
Pertanto
ho deciso di elencare e rendere pubblica questa situazione attraverso
la narrazione di una piccolissima parte della mia vicenda umana che
attesta il poco tatto con cui io, e sicuramente molti altri Testimoni di giustizia
come me, veniamo trattati fino ad oggi da funzionari e rappresentanti
istituzionali che avrebbero invece il compito di essere delicati e
quantomeno premurosi e solerti nell’affrontare i nostri problemi, e che
invece dimostrano la volontà di lasciare irrisolte le questioni, spesso
vitali, poste dal Testimone, o di costruire percorsi limpidi
per una fuoriuscita dal Programma di Protezione ed un ritorno a nuova
vita in modo dignitoso, dopo il lungo periodo di tribolazioni e
peregrinazioni nelle aule dei vari tribunali.
La
mia storia è forse risaputa, in quanto ampiamente riportata dai mass
media, ma sento necessario – per dare un ordine ed una ragione
comprensibile alla conclusione verso cui sono orientata – raccontarne
qualche breve tratto ben sapendo che non è possibile rappresentare in
poco spazio tutta la drammaticità quotidiana della vicenda che ho
scelto di vivere per contrastare la criminalità mafiosa, vicenda che è
stata aggravata proprio da una inattesa insensibilità istituzionale da
parte di chi avrebbe dovuto accompagnarmi in questa scelta di vita dura e difficile.
Divenni Testimone di Giustizia nel 1991 a
seguito di avvenimenti criminali rivelati in deposizioni rese davanti
al Giudice Paolo Borsellino ed allo stuolo di Sostituti Procuratori che
con lui collaboravano. Venni messa sotto regime di protezione
immediatamente. Subito dopo la mia decisione, mia cognata Rita Atria
volle condividere la medesima scelta di Testimone di Giustizia.
Quando
ho preso la decisione di testimoniare vigeva l’istituto dell’Alto
Commissario, solo successivamente vi sarebbe stato l’avvento del
Servizio Centrale di Protezione.
Già
a quei tempi, in regime di Alto Commissario, si registrava una profonda
confusione di compiti, ruoli e modalità di intervento, in quanto i
funzionari non sapevano bene come gestire il fenomeno dei Testimoni di Giustizia e facevano molta fatica a distinguere tra questi ultimi ed i collaboratori di Giustizia, cioè coloro che – a differenza dei Testimoni,
i quali non avevano mai colluso con i crimini ed i criminali di cui
riferivano vicende e comportamenti – si erano dissociati per le più
varie ragioni dai crimini e dai criminali con cui avevano
precedentemente collaborato direttamente ed attivamente.
L’unica
cosa che posso dire con certezza è che quando era in vita Paolo
Borsellino le varie mancanze e difficoltà venivano sempre risolte
tempestivamente e grazie a suoi diretti interventi, mentre dopo la sua
morte le cose precipitarono.
Già
dopo pochi giorni dall’omicidio del Giudice, si verificò infatti una
vicenda sconcertante. Vennero cioè a trovarci (me e mia cognata Rita)
due funzionari che ci dissero: “Dalla morte del Giudice, molti
collaboratori si stanno tirando indietro. Voi
cosa volete fare?”. Allora ci chiamavamo tutti collaboratori, senza
distinzione, perché non c’era ancora una legge che differenziasse i due
status, ma non credevo che per differenziare un criminale da una
persona onesta nella coscienza dei funzionari occorresse un testo di
legge, credevo piuttosto che bastasse solo la Verità delle cose. (La
legge arriva, ma solo nel febbraio del 2001).
Quella
domanda mi ha fatto capire che non avrei più avuto il conforto dello
Stato rappresentato da Paolo Borsellino, ma avrei bensì convissuto con
l’improvvisazione. Rimasi allibita, risposi con l’unica cosa che potevo
dire, e cioè che “se prima avevo un motivo per andare avanti, adesso ne
avevo mille”. Mia cognata Rita non rispose. Lei era convinta che la
mafia l’avrebbe trovata e uccisa. Aveva ragione Rita: con la morte di
Paolo Borsellino era finito tutto, non saremmo più state protette allo
stesso modo, e sbagliano coloro che citano Rita solo come vittima della
mafia. Rita è vittima dell’indifferenza di funzionari incapaci a capire
la differenza tra una pratica ed un essere umano. Come dimenticare
l’intervista di Ambra Somaschini (29 luglio 1992 su repubblica)
all’allora prefetto di Roma. Alla domanda: “Rita Atria soffriva di
depressioni e il settimo piano di quel palazzo anonimo, la solitudine,
forse ne hanno provocate altre…”, il prefetto rispose: “Pagavamo 950
mila lire al mese per quell’appartamento. Abbiamo fatto il possibile”. Pagavano
950 mila lire da meno di una settimana (perché Rita ebbe quella casa
dopo la morte di Paolo Borsellino), ma non è questo il problema: la
risposta doveva essere diversa perché la giornalista parlava di “essere
accanto umanamente ”, di un supporto psicologico, per far sentire che
dopo Paolo Borsellino lo Stato c’era, e invece … “Pagavamo 950 mila
lire”. Umanità misurata col metro dei soldi.
Come
dimenticare poi le differenze che venivano fatte tra me e Rita: a me
avevano dato un alloggio bellissimo, con tutti i comfort, ma a Rita
diedero un appartamentino lugubre. Ci davano un contributo mensile
talmente irrisorio che a stento riuscivamo a sbarcare il lunario.
Ritengo importante sottolineare questo aspetto per far capire che noi Testimoni di Giustizia non veniamo trattati tutti alla stessa stregua. Ci sono testimoni di seri “A” e testimoni di serie “Z”.
Dopo la morte di Rita, chiesi di trasferirmi in un convento, stanca di vedere quei funzionari
con cui dovevo relazionarmi e che pretendevano di “gestirmi” a modo
loro senza alcuna mia partecipazione al disegno ed alla costruzione del
mio futuro. Avrei voluto restare fuori dal mondo, ma dopo un paio di
anni decisi che la vita monacale non faceva per me, soprattutto per la
presenza della mia bambina. Mia figlia era ormai in età scolare, e
dunque decisi di trovarmi un appartamento in un qualche paese ed a mie
spese mi trasferii nella mia “nuova residenza”.
Chiesi
ai funzionari preposti a dare soluzione ai problemi della mia esistenza
quotidiana di collaborare per iscrivere la mia bambina a scuola, ma
nulla mi venne risposto. Decisi di andare personalmente dal direttore
didattico del posto, sperando che fosse un onesto padre di famiglia e
non un delinquente. Trovai una persona di coraggio e carica di passione
civile: gli dissi chi ero, che non avevo documenti, ma rivendicavo che
mia figlia potesse godere del suo inalienabile diritto allo studio.
E
fu dunque solo grazie a me e a quel direttore, che mia figlia poté
entrare a scuola, sotto false generalità. Quando la bambina frequentava
ormai la terza elementare, durante un colloquio presso il Servizio
Centrale di Protezione (di fronte a testimoni) una funzionaria del
servizio centrale mi chiese quanti anni avesse mia figlia e se andasse
a scuola. Le risposi che mia figlia aveva otto anni e che frequentava
la terza elementare e che loro avrebbero dovuto saperlo senza
chiedermelo!
Non
solo il danno, dunque, ma anche la beffa di un ipocrita e tardivo
interessamento per una situazione che io avevo tempestivamente
segnalato e che era rimasta dormiente per oltre tre anni!
Negli
anni successivi, dopo aver conseguito due diplomi, sempre a mie spese,
e grazie all’aiuto di persone estranee a quegli uffici istituzionali,
chiesi di fuoriuscire economicamente dal programma: volevo tornare
libera, volevo lavorare, volevo tornare a vivere!
Mi
venne concesso quel “privilegio” dopo dure ed impari lotte, perché nel
frattempo non mi venivano attribuite le nuove generalità. Quei
documenti rappresentavano per me l’unica possibilità di costruire il
mio futuro e tuttavia mi venivano negati. Comunque ci riuscii grazie
anche all’intervento di persone che mi stimano e mi vogliono bene e che
mi hanno salvato la vita, perché la solitudine mi aveva spinto alle
stesse conclusioni di mia cognata Rita.
Venni
“liquidata” con una cifra che considero irrisoria, ma a me non
importava. Anche se pochi, quei soldi mi consentivano di realizzarmi
nel lavoro, mi consentivano di ritornare a nuova vita. E poi c’erano le
nuove generalità che mi permettevano di andare a votare dopo 7 anni, di
non chiedere in prestito il codice fiscale di un’amica fidata, di
uscire e non aver paura di esibire il documento, di portare mia figlia
all’ospedale e di scegliere il medico e tutte quelle cose che fanno di
un essere umano un cittadino.
Dopo
la “capitalizzazione” (la chiamano così la liquidazione) attorno a me è
caduto il silenzio istituzionale più assoluto. Nessuno, dico nessuno,
si è mai chiesto come io abbia utilizzato tali soldi, se ero riuscita a
realizzarmi, nulla, neanche una telefonata per dire: “signora va tutto
bene? È viva?”. Il nulla. Eppure mi avevano detto che c’era un
funzionario del ministero del Lavoro che mi avrebbe potuto aiutare nel
reinserimento lavorativo.
Sapevo
che in quegli uffici noi siamo pratiche, ne avevo avuto ampiamente la
prova e la stessa storia continuava a ripetersi. Non potevo neppure
telefonare per parlare con i funzionari. Addirittura una volta venni
insultata perché telefonando avevo chiesto di parlare con il direttore
del Servizio Centrale. Mi rispose un funzionario, ammonendomi di non
chiamare più!
Insomma
quello Stato che mi era stato proposto come la mia nuova famiglia in
realtà si è trasformato nella mia peggiore prigione, con relativi
aguzzini, forse per “gratitudine della mia attiva testimonianza contro il crimine organizzato”.
Ho
anche prodotto tutta la documentazione prevista dalla Legge e
necessaria perché lo Stato acquistasse la mia casa in Sicilia e mi
consentisse di ottenere nella mia nuova residenza beni di “pari
consistenza” o comunque qualcosa di dignitoso che si potesse chiamare
casa. Lo Stato ha rifiutato di accogliere le mie richieste (offrendomi
una cifra offensiva e umiliante per una casa costruita con sacrificio e
anni di immigrazione in Venezuela di mio padre) e la vicenda si è
risolta nella necessità di avviare una azione giudiziaria con un
ricorso davanti al TAR contro quello Stato che mi doveva tutelare per
promessa e per Legge! Ricorso che ancora ad oggi deve essere discusso!
Avevo
chiesto altre cose che mi spettano di diritto, che non vado qui ad
elencare (sempre disponibile a farlo con chiunque nutrisse dubbi sulla
mia onestà intellettuale), ma com’è sempre accaduto quando sono andata
negli uffici istituzionali, ho trovato apparente disponibilità ed
avvertito una “falsa” cortesia, ma nessuna volontà di risposte concrete
e tempestive. Così è stato ad esempio per una richiesta fatta a
febbraio 2009 e per la quale ancora oggi (settembre 2009) sono
in attesa di una qualsivoglia risposta, foss’anche un rifiuto. Non so e
non mi è dato sapere se sono state approvate le mie proposte e
richieste. Mi chiedo come sia possibile affidare oltre a simili persone
la propria vita! Mi chiedo come faccia una istituzione ad ignorare
critiche pesanti e denunce fondate contenute nella relazione sui
Testimoni di Giustizia della precedente commissione antimafia… Nella
nuova commissione hanno ritenuto il problema talmente superfluo o
superato che hanno pensato di non istituire una commissione
sull’argomento. Non si sono posti neanche il problema se le indicazioni
contenute in quella relazione fossero state in qualche modo portate
avanti.
Ho
avuto un grave problema di sicurezza determinato da un episodio oggi
oggetto di accertamento (nonostante tutto confido sempre sul fatto che
vinca il primato della Verità e della Giustizia su altri primati meno
nobili) che ha fatto saltare la mia copertura. Questo significa che la
mafia conosce il mio attuale nome e dove mi trovo.
In
seguito a quello che per me e per la mia famiglia è un vero e proprio
dramma, a maggio sono stata convocata in Prefettura, dove mi sono state
fatte promesse di videosorveglianza. Ho saputo da fonte certa che
alcuni dei funzionari del Servizio Centrale di Protezione sostengono
che quei dispositivi di videosorveglianza sarebbero stati già montati
(per l’esattezza l’affermazione è stata: “la signora è coperta da
videosorveglianza”), cosa assolutamente falsa se riferita alla mia
personale situazione. Dunque costoro parlano senza cognizione di causa
di cose che non conoscono o che preferiscono ignorare.
Da
tutto questo la mia profonda inquietudine: persone e funzionari
istituzionali che dovrebbero occuparsi di una situazione di rischio e
delle relative azioni di garanzia della sicurezza, mettono invece a
rischio deliberatamente con la loro inefficienza le vite umane che sono
state affidate all’esercizio dei loro poteri.
Questi signori nei recenti documenti che mi notificano scrivono che sono solo “un’ex testimone”
e che della mia sicurezza se ne deve occupare la Prefettura della
località segreta. Io posso serenamente sostenere che anche questa è una
affermazione falsa o comunque infondata, perché io sono fuoriuscita sì
dal programma, ma solo economicamente: ogni qual volta mi devo recare
in luoghi a rischio, sono ancora tenuta a comunicarlo al NOP che lo
notifica al Servizio Centrale di Protezione, e di conseguenza debbo
essere accompagnata da uomini di scorta. Presumo dunque che ciò avvenga
perché sono sempre e comunque una persona a rischio di aggressione,
quindi soggetta ad essere scortata. Mentre la mafia sanziona che i suoi nemici sono nemici per sempre, lo Stato di Diritto afferma che i Suoi Testimoni divengono ad un tratto ex testimoni
e dunque possono essere lasciati in balìa della propria sorte, decisa
dai criminali denunciati. Ovviamente nessuno ti notifica che non sei
più a rischio e che la mafia (anche quella uscita di galera) ha
dimenticato. Nessuno si prende la responsabilità di dirlo apertamente,
così magari per aver la certezza che la mia copertura è saltata a causa
di due stolti uomini dello Stato forse vogliono il cadavere: “tutto è
da verificare”. Qualcuno è arrivato a dire che la mia condizione di
presidente di una associazione antimafia mi avrebbe esposta. Ovviamente
non hanno dimostrato come. Eppure era stato proprio un sottosegretario
a dirmi che la mia storia era talmente importante che bisognava che io
andassi nelle scuole. Io nelle scuole ci vado, ma da sola, e cioè senza
sponsor politici.
Adesso a distanza di diciotto anni da quella scelta che ha segnato la mia vita e che non rinnego, dico basta. Ritorno
in Sicilia, visto che sono una ex testimone, ritorno a casa mia, dove
nessuno può cacciarmi, ritorno alla mia identità che nessuno ha diritto
di cancellare. Ritorno tra i ragazzi per rivendicare il diritto alla Vita. Non torno per morire ma per lottare.
Preferisco passare gli ultimi giorni della
mia vita (per quanti essi potranno essere) nella mia Sicilia, in mezzo
ai mie affetti, che mi sono stati strappati 18 anni fa. Ma desidero
farlo rendendo pubbliche le ragioni della mia decisione.
Prendo
tale decisione con serenità e con consapevolezza. Per proteggere la mia
nuova famiglia, per far sapere all’opinione pubblica l’inefficienza di
persone e funzionari istituzionali che hanno l’ardire di gestire con
assoluta incompetenza e totale disinteressamento situazioni
delicatissime che a dir poco sono sfuggite loro di mano.
Aggiungo
inoltre che intendo che la difesa dei miei diritti è azione
imprescindibile per continuare ad andare nelle scuole e parlare della
cultura della testimonianza. Qualche anno fa ho ricevuto una lettera da
una bambina di 12 anni del mio paese: “tu vivi esiliata, Rita Atria è
morta, ci state chiedendo di diventare eroi?”. Rispondano
i funzionari dello Stato a questa domanda. Io ho deciso di dimostrare
alla mia Terra che dobbiamo pretendere protezione e allontanare i
mafiosi dalle città, e non i cittadini onesti.
Per tali inadempienze, per porre fine alla mia prigionia, per porre fine a vivere una vita non vita
Chiedo
L’annullamento dello status di ex testimone di giustizia come da notifiche del Servizio centrale di protezione in netta contraddizione con l'art.16-ter della L 45/2001 che prevede che le misure di protezione siano mantenute fino alla effettiva cessazione del rischio.
In
tal senso se viene mantenuto lo status di ex testimone chiedo che
organi competenti mi notifichino lo scampato pericolo così come mi
hanno notificato il mio esilio.
Ricordo
che fino al mese di luglio c.a. mi sono recata in Sicilia con tre
uomini di scorta più due di supporto sul territorio, per un totale di
cinque uomini di scorta. Se fosse intervenuta la cessazione del rischio
evidentemente non avrei avuto bisogno di questi uomini.
L’acquisizione dei miei beni. Anche in questo caso interviene l’art 16 ter della L 45/2001:
"se
lo speciale programma di protezione include il definitivo trasferimento
in altra località, il testimone di giustizia ha diritto ad ottenere
l’acquisizione dei beni immobili dei quali è proprietario al patrimonio
dello Stato, dietro corresponsione dell’equivalente in denaro a prezzo
di mercato".
La
concessione del mutuo che avevo chiesto e che da mesi mi si dice
essermi stato concesso, mentre invece le mie pratiche rimbalzano tra la
banca e il ministero degli Interni in un palese stato di
incomprensione. Inutile dire che il mutuo l’avevo chiesto per uno stato
di bisogno che solo grazie ad interventi privati sto cercando di
tamponare. Per lo Stato sarei già caduta in miseria.Il diritto a vivere insieme alla mia famiglia in maniera dignitosa.
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