Autore: Alessio Ciacci Data: To: intergas, gasalladiavola, forumlucca, lucca, villaggioecosolidale Oggetto: [Forumlucca] Appello ed articolo di Francuccio Gesualdi
Francuccio Gesualdi chiama all’azione
Francuccio Gesualdi, fondatore del Centro Nuovo Modello di sviluppo lancia
un appello all’azione per cominciare a progettare insieme l’economia del
ben-vivere che coniughi sobrietà, giustizia sociale e sostenibilità
ambientale.
Coniugare ecologia occupazione e sicurezza sociale. Ambizioso, ma possibile.
E se il nuovo mondo lo progettassimo tutti insieme? Appello di Francuccio
Gesualdi Se anche tu sei convinto che la triplice crisi, economica, sociale,
ambientale, impone profonde trasformazioni di sistema, allora questo
messaggio è per te. E’ l’invito ad aderire ad uno dei gruppi di discussione,
che stiamo cercando di far nascere in ogni parte d’Italia. Il tema è come
costruire una società capace di garantire il benvivere a tutti, nel rispetto
dei limiti del pianeta. Un obiettivo ambizioso, ma non impossibile. Magari
sei già impegnato nei Bilanci di giustizia, in un gruppo di acquisto
solidale, in un’associazione ecologista, in un comitato di resistenza
locale, in un consiglio comunale o nel sindacato. Perciò siamo in difficoltà
a chiederti di sobbarcarti quest’ulteriore fatica. Ma non si può farne a
meno: senza una bussola, senza un’idea di società verso cui tendere, non si
può affrontare neanche la politica del giorno per giorno. E’ ormai certo che
per ripristinare l’equilibrio ambientale bisogna ridurre produzione e
consumi, ma finché il motore dell’economia rimane il mercato, l’arresto
della crescita può comportare seri contraccolpi sociali. Non a caso, pur con
i dovuti distinguo, fra gli oppositori della riduzione troviamo anche il
sindacato e i partiti di sinistra, preoccupati per i posti di lavoro e il
buon funzionamento dell’economia pubblica. Segno che questione ambientale e
questione sociale sono due temi indissolubili, se affrontiamo l’uno senza
preoccuparci dell’altro, non abbiamo futuro: saremo sempre osteggiati da
tutti o tutt’al più derisi come dei don Chisciotte che combattono contro i
mulini a vento. Tant’è Alex Langer diceva: «La conversione ecologica potrà
affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile». L’unico modo per fare
breccia nei movimenti di massa, per avere la gente con noi, è dimostrare che
è possibile coniugare sobrietà con piena occupazione e sicurezze per tutti.
Ma non basteranno delle mere affermazioni di principio, la gente ha bisogno
di concretezza, vuole sapere come si ottiene il miracolo. In breve, dobbiamo
elaborare delle proposte di riorganizzazione economica e strategie di
attuazione, questa è la sfida che dobbiamo raccogliere. Una sfida difficile
da affrontare perché i nostri obiettivi non si raggiungono con piccoli
ritocchi. Al contrario richiedono un capovolgimento culturale nel nostro
modo di concepire il rapporto con la natura, i diritti, il lavoro, la
tecnologia, il mercato, la comunità, il benessere. Richiedono una revisione
profonda del nostro modo di organizzare il tempo, le città, la produzione,
la soddisfazione dei bisogni, i rapporti sociali, l’economia privata e
l’economia pubblica. In una parola richiedono il ripensamento dell’intera
architettura economica e sociale, ma da dove cominciare per l’abbozzo del
nuovo progetto? Si potrebbe rispondere che la funzione di studio e
progettazione va delegata agli economisti, dopo tutto loro sono gli
specialisti del settore. Ma una simile soluzione sarebbe una scorciatoia
tanto illusoria quanto pericolosa. Illusoria perché gli economisti, salvo
eccezioni, sono troppo intrisi di cultura mercantile. Da loro non possono
venire proposte che richiedono la capacità di lasciarsi contagiare da altre
visioni del mondo, altri approcci alla vita, di guardare la realtà dalla
prospettiva del benvivere inteso come soddisfazione di tutte le dimensioni
umane, di trovare soluzioni che tengono conto della complessità dei bisogni,
dei limiti del pianeta, dei diritti delle generazioni che verranno. Ma la
delega agli economisti è anche pericolosa, perché è l’antitesi della
democrazia. Democrazia significa comando di popolo, esiste solo se le
decisioni portanti, quelle che danno forma alla società, sono prese da
tutti. Niente influenza la nostra vita più dell’economia e niente è posto
fuori dal nostro controllo più dell’economia, segno che il potere non
appartiene al popolo, ma ai mercanti e al potere finanziario, l’alfa e
l’omega di questo sistema. Per necessità e per virtù, tocca a noi tutti,
senza distinzione di professione, titolo di studio, incarico pubblico,
provenienza culturale e politica, tirare fuori una nuova idea di società e
tracciare un percorso per farla avanzare. E’ un compito che possiamo
assumerci, non richiede particolari attestati scolastici, solo chiarezza
politica che si acquisisce con la discussione e il confronto. Del resto non
si parte da zero, mentre alcuni hanno riflettuto e scritto in proposito,
altri hanno sperimentato su piccola scala, le loro suggestioni e esperienze
possono costituire delle basi di partenza. Il nodo da sciogliere, almeno in
prima battuta, è piuttosto di tipo organizzativo: dobbiamo stabilire come
attivare un processo di elaborazione diffuso capace di giungere a una
sintesi condivisa. L’esperimento è nuovo, non c’è da meravigliarsi se il
percorso non è tutto chiaro, l’importante è partire, strada facendo capiremo
come proseguire il cammino. Il primo obiettivo è la costituzione di gruppi
di studio, aggregazioni di poche persone che individuano i nodi, li
affrontano, ipotizzano soluzioni applicabili a piccola, media e grande
scala. Ci piacerebbe che ne sorgessero centinaia, addirittura migliaia,
trasversali e diffusi su tutto il territorio, piccoli gruppi che si prendono
un anno di tempo, o quello che serve, per ritrovarsi due o tre volte al mese
e discutere una traccia condivisa a livello nazionale, una sorta di sciame
che lo stesso mese si concentra sullo stesso tema. Il tutto dotandosi di
strumenti informatici per mettere le conclusioni dell’uno a confronto con
quelle degli altri affinché emergano assonanze, differenze, divergenze. E
più avanti realizzare degli incontri regionali, addirittura nazionali, per
dirimere i punti più controversi, formulare una piattaforma comune e mettere
a punto delle strategie di transizione. Ma tutto questo è già troppo avanti,
al momento ci accontentiamo di individuare chi condivide quest’ipotesi di
lavoro ed iniziare il cammino. Perciò invitiamo chiunque voglia coinvolgersi
in questo percorso a comunicarcelo, scrivendo un messaggio a
gruppidistudio@??? Basta anche un’adesione telegrafica, l’importante è
segnalare il comune e la provincia in cui si abita. A partire da questo
censimento, ricontatteremo ogni persona per valutare la possibilità di
formazione dei gruppi e stabilire, tutti insieme, come proseguire il
cammino. Attendiamo fiduciosi le vostre adesioni per questa nuova avventura
di partecipazione dal basso.
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SENZA POLITICA NON C’E’ BUONE PRATICHE
*LUGLIO 2009.** Difronte ad un mondo che si fa sempre più difficile, è forte
la tentazione di rifugiarsi nelle piccole iniziative individuali e di gruppo
che almeno ci danno la sensazione di avere raggiunto qualcosa di concreto.
Aspirazione legittima, ma che va vista per quella che è: una tentazione per
trovare l’illusione della pace interiore. Solo associandole ad una più ampia
attività politica e di progettazione sociale, le buone pratiche possono dare
buoni frutti. Di qui la proposta di avviare un lavoro di rete per fare
nascere dal basso un nuovo pensiero politico.*
(Articolo di Francesco Gesualdi pubblicato su Carta del 9 luglio 2009)
C’è un passaggio dell’articolo di Paola Baiocchi e Andrea di Stefano,
pubblicato sul numero 23 di Carta (26 giugno 2009), che mi pare di
fondamentale importanza. Volendo parafrasare Lettera a una professoressa,
andrebbe scolpito sulla porta di ogni gruppo d’acquisto e di ogni gruppo che
aderisce a Bilanci di giustizia. La frase è: “Per modificare a fondo
l’economia in senso egualitario, non basta parlare di stili di vita, bisogna
parlare di modelli di società”.
Può sembrare strana questa mia posizione, ma dopo avere insistito per anni
sul consumo critico e sugli stili di vita, come nuovi spazi di impegno,
sento che questa proposta può trasformarsi in un’involuzione se viene
vissuta come il nostro unico spazio di impegno. Ho sempre concepito le
azioni attraverso il consumo come una un’ulteriore leva di impegno politico
in aggiunta alle altre che tradizionalmente abbiamo sempre vissuto (voto,
sindacato, protesta, rivendicazione, partecipazione locale, progettazione
dell’alternativa) perchè solo utilizzando tutti gli spazi di potere che
abbiamo a nostra disposizione possiamo sperare di promuovere il cambiamento.
Invece ho l’amara sensazione che molti stiano vivendo le iniziative
attraverso il consumo come una sostituzione degli altri livelli di impegno,
una sorta di riflusso nel privato politico: avendo capito che il sistema è
duro a cambiare, ci rifugiamo nelle piccole iniziative individuali e di
gruppo che almeno ci danno la sensazione di avere raggiunto qualcosa di
concreto. Aspirazione legittima, ma che va vista per quella che: una
tentazione per trovare l’illusione della pace interiore.
Coerenza personale, esperienze alternative, partecipazione isituzionale in
ambito locale, rivendicazione e opposizione in ambito nazionale e
internazionale, ma anche pensiero in grande: questi sono, a mio avviso, gli
spazi che dobbiamo occupare contemporaneamente se vogliamo giocare un ruolo
di cambiamento reale. Fra tutti, quello che sento abbandonato di più è
l’ultimo, il pensiero in grande, la capacità di delineare un orizzionte
alternativo, una nuova terra promessa verso la quale incamminarci.
Navighiamo a vista, come tutti gli altri protagonisti della scena politica,
senza un progetto se non parole: decrescita, sostenibilità, buenvivir.
Parole belle, che esprimono valori importanti, ma che non si trasformano in
azione politica perchè non delineano un quadro alternativo di riferiemento,
non esprimono il famoso modello sociale di cui parlano Paola e Andrea.
Prendiamo atto della realtà: siamo pochi, sempre gli stessi, se andiamo
avanti di questo passo ci spegneremo per consunzione. Mi chiedo perchè e una
parte della risposta sta nella violenza del sistema che ci impone una
precarietà crescente, forme di assunzione che dividono, invasione
televisiva, concentrazione mediatica, impoverimento scolastico. Tutto questo
sta modificando il nostro essere, sta scalzando il senso dei diritti, della
solidarietà collettiva, dell’equità, del rispetto, per fare posto ai
concetti mercantili di tipo individualista: arrivismo, successo, ricchezza.
Ma mi dico che parte della responsabilità è anche nostra: di fronte ai gravi
problemi sociali e ambientali che stiamo vivendo partoriamo solo piccole
iniziative individuali e di gruppo, non siamo assolutamente capaci di
indicare una strada di trasformazione di massa. Questo è il terreno che
dobbiamo recuperare.
Mentre continuiamo a fare tutto il resto che già facciamo, dobbiamo trovare
il tempo e le energie per occuparci anche della progettazione
dell’alternativa, altrimenti non diventeremo mai credibili. La gente vuole
sapere come potrà vivere pur smantellando l’industria dell’automobile, come
potrà avere una buona sanità, una buona istruzione, in una parola una buona
economia pubblica, pur raffreddando l’economia, come si coniuga una buona
vita con risorse limitate. Dobbiamo tornare a riflettere, a progettare
l’alternativa e dobbiamo farlo in una maniera partecipata, guai alle
soluzioni di vertice. Sogno la nascita di cento, mille, un milione di
piccoli, gruppi diffusi in ogni dove, che si confrontano su questi
interrogativi e al tempo stesso prospettano degli scenari di lungo respiro e
delle strategie di intervento immediato. Un lavoro di pensiero e di
progettazione diffuso, ma non svincolato, effettuato in un rapporto di rete
che nel tempo possa sfociare in un qualcosa di più organizzato: un movimento
dalle mille specificità che però è unito da un un pensiero comune sulla
forma sociale ed economica che può assumere la nostra società industriale,
un movimento che pur proponendo e vivendo strategie politiche e
partecipative le più varie, forma massa critica nella medesima direzione e
sa coagulare attorno a se nuove forze.
Ci vuole una regia per tutto questo. Vedrei bene che fosse assunta in
maniera congiunta dalle riviste dei nostri movimenti, perchè hanno il
vantaggio di arrivare a molti. Chiedo formalmente ai direttori di Carta,
Altreconomia, Valori, di rispondere a questo appello e di dichiararsi
disponibili a un incontro di approfondimento. Attendo fiducioso una
risposta.