*TORINO. BOTTE AL FIGLIO CHE GLI DICE: “SONO GAY”
*Il sedicenne: «Sono gay voglio soltanto essere accettato»
*mercoledì 02 settembre 2009* , di la Stampa <http://www.lastampa.it/>
<http://www.gaynews.it/view.php?ID=82627&s=16>
<http://www.gaynews.it/scrivi_autore.php?ID=82627> *di NICCOLÒ ZANCAN
*
È l’unico cognome italiano sul citofono. Via Monterosa, vecchia casa di
Barriera, odori che si mischiano: aglio, pesci fritti, menta. È l’ora di
cena. Interno cortile. Le finestre sono spalancate sui fatti degli altri.
Alle otto di lunedì sentono urlare dalla cucina degli italiani. Insulti al
secondo piano. Un ragazzino, 16 anni, piange. Poi grida anche lui. Volano
piatti. Minacce, botte. La situazione sta degenerando. Qualcuno chiama i
carabinieri.
La prima segnalazione parla genericamente di una «lite animata in famiglia».
Un intervento banale, ogni giorno ce ne sono tanti. Arriva un equipaggio del
nucleo radiomobile. I militari salgono, vanno a vedere. La situazione in
effetti è ancora molto tesa. Padre contro figlio. E viceversa. Ma dietro
quella lite in famiglia, scoprono, dopo aver parlato con entrambi, c’è un
motivo particolare. «Gli ho detto che sono omosessuale», ha spiegato il
ragazzino. «Lui lo sa benissimo, ma non vuole accettarlo». Il padre
conferma. La madre piange nell’angolo. I carabinieri fanno tornare la calma.
Verificano che nessuno si sia ferito seriamente. Solo qualche livido,
escoriazioni, rabbia viva. Non ci sono gli estremi per denunciare qualcuno.
Spiegano che si può «procedere solo con una querela di parte».
Il giorno dopo il clima in via Monterosa è ancora teso. Un vicino racconta:
«È la seconda volta in pochi giorni che devono intervenire le forze
dell’ordine. Anche la polizia è stata al secondo piano. I rapporti con quel
ragazzino sono molto tesi».
Il padre, origini pugliesi, faccia pallida da chi ha lavorato tutto agosto,
è un uomo di cinquant’anni. Fa il muratore. Scende a parlare, molto provato:
«Non è successo niente. Sono fatti nostri. Questa storia non deve uscire da
qui». Il fratello maggiore, 19 anni, è sulla stessa lunghezza d’onda: «Non
c’è niente da dire, nulla di nulla. Niente da spiegare. Cose nostre.
Altrimenti finisce male».
Forse il ragazzino vorrebbe dire la sua. Ma non esce di casa per tutta la
mattina. La madre chiude le persiane sul ballatoio: «Sono fatti di famiglia.
È un brutto dolore, lasciateci stare».
Non è possibile conoscere dal diretto interessato questa storia. Anche il
telefono di casa squilla a vuoto. Nessuno risponde.
«È un ragazzino basso di statura, timido, molto gentile - dice un vicino -
va a scuola, studia, passa i pomeriggi ai giardinetti qui dietro». Non ieri.
Non dopo le botte in casa. «Sono gay - ha detto - voglio soltanto essere
accettato». Ma il padre si opponeva, prima a parole, poi come una furia,
come se fosse una decisione negoziabile.
Ai giardini lo conoscono quasi tutti. Sulle panchine qualcuno ha fatto
alcune scritte sul tema: «... è frocio». Ma anche qui non è facile trovare
persone che abbiano voglia di parlare dell’argomento. «Il padre soffre
tantissimo per questa storia, lasciatelo perdere. È una vera disgrazia».
Per fortuna nel palazzo abita Rachid, un ragazzo marocchino di 25 anni. Lui
ha capito benissimo quello che sta succedendo, anche senza bisogno di
spiegazioni. «L’altra sera ho sentito il litigio. Non è la prima volta che
succede. Ma è stato particolarmente violento. Ce l’hanno con il figlio
minorenne. Per me è un bravissimo ragazzino, un tipo a posto, simpatico, qui
gli vogliamo tutti bene. Ma ho sentito troppa rabbia in quella casa, non è
giusto. Il piccolo italiano non va lasciato solo».
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*IL COMMENTO
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*Gianni Farinetti
*Il mio compagno di un tempo, nei primi Anni 80, decise di partecipare a una
trasmissione di Rai 2 in cui si parlava di omosessualità. Aveva 19 anni,
studiava, era impegnato nel partito radicale. La sera che la trasmissione
andò in onda i suoi genitori, ignari, la videro. Quando arrivò a casa lo
aspettavano in soggiorno. Erano persone semplici, il papà operaio, la mamma
casalinga, di origini meridionali. Dopo il primo choc gli chiesero se era
vero che era gay, ma anche se in qualche modo, magari con una battuta in
casa, una barzelletta raccontata in compagnia, lo avessero in qualche modo
offeso, se si fosse mai sentito discriminato.
A torto si crede che la cosiddetta tolleranza - definizione che mi lascia
freddo perché mi chiedo da sempre cos’è ’sta storia che devo essere
tollerato - sia appannaggio delle persone colte, informate, aperte.
Invece è solo questione di sensibilità personale (e infatti ho altri amici
che provengono magari da famiglie borghesi, se non intellettuali certo con
uso di mondo, che non sono mai riusciti a parlare serenamente, in famiglia,
della propria omosessualità). Dirlo costa. Innanzitutto va detto a se
stessi, e già lì non è uno scherzo, soprattutto quando si è giovanissimi e
si crede di essere in qualche modo sbagliati, o diversi (ma da chi? Dagli
altri che si comportano apparentemente tutti allo stesso modo?). Immaginiamo
di dichiararlo ai genitori. Ho conosciuto mamme «moderne» dare di matto alla
notizia, o tradizionalissimi padri esclamare: «Tutto qui? Credevo dovesse
rivelarmi chissà che cosa!». Può succedere. Può anche succedere di
accorgersi che non è obbligatorio dirlo. Il non detto non è necessariamente
una scorciatoia, l’importante che non sia una bugia.
Molti genitori - vorremmo lo fossero tutti - se non sono ciechi dovrebbero
capire da sé che un figlio ha dei problemi di qualsiasi forma, sessuali,
affettivi ecc., e aiutarlo, per prima cosa, a sdrammatizzare una condizione
che dramma non è. Essere gay è esattamente come essere biondi, o
vegetariani, o avere le orecchie a sventola: un fatto del tutto naturale. *Sono
delle vere tragedie invece i condizionamenti sociali a cui siamo sottoposti,
i conformismi che possono anche sfociare, e succede sempre più sovente in
questa società che finge di essere aperta, degli episodi di violenza che
leggiamo quotidianamente sui giornali.* E così difficile scrollarsi di dosso
il senso di vergogna, come fosse una vergogna seguire se stessi. Quando
sento che la Chiesa dice che gli omosessuali hanno un comportamento
disordinato mi viene subito in mente che sì, il mio fidanzato butta i suoi
vestiti dappertutto. E che io quando cucino uso troppe pentole e lascio in
giro un casino inenarrabile. Sono stato fortunato, la mia famiglia è di
tendenza laica, non terrorizzato dal mito della virilità e tutte quelle
sciocchezze lì. Non dico che sia stato facile, non lo è stato per niente, da
ragazzo la mia brava dose di terrori l’ho avuta anch’io, ma quando ho capito
che desideravo diventare una persona felice, matura e consapevole, e che
volevo che anche le persone intorno a me lo fossero - non solo amici e
parenti, ma anche sconosciuti compagni di una comunità a cui sento di
appartenere - bè, non avevo altra scelta e l’ho detto.
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*Bombe carta sulla folla della gay street
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*Nella notte «teste rasate» lanciano rudimentali ordigni tra la folla: molta
paura, ma solo un ferito lieve*
ROMA - Due bombe carta, centinaia di ragazzi che fuggono urlando, un
motorino a fuoco, il segno di un piccolo cratere nell'asfalto, una fioriera
devastata e un ragazzo che si tiene le orecchie dal dolore: dieci minuti
prima di mezzanotte, la comunità gay romana è sprofondata di nuovo in un
incubo. Dopo le coltellate e le bottigliate di "Svastichella" per un bacio
omosessuale, dopo le bombe incendiarie sul portoncino del locale che ospita
"Muccassassina", la festa gay più famosa d'Italia, stavolta nel mirino è la
Gay Street della Capitale.
È una fortuna se nessuno s'è fatto male: l'unico ragazzo che era sembrato
ferito al volto dalle schegge e dal rumore se l'è cavata con poco più che un
grosso spavento. Secondo i rilievi dei carabinieri, a colpire sono stati due
ragazzi a piedi. "Due teste rasate", raccontano i testimoni. Sono arrivati
da via Ostilia, a cento metri dal Colosseo: è la prima strada che incrocia
via di San Giovanni in Laterano, la Gay Street.
In mano hanno i due grossi petardi, ma nessuno li nota. La strada, molto
frequentata a tarda sera e non solo dalla comunità omosessuale, è animata da
centinaia di ragazzi che passeggiano, bevono un drink nei dehor dei locali o
chiacchierano sul marciapiedi. È un attimo: i due giovani lanciano i due
petardi "in mezzo alla folla", racconta il presidente dell'Arcigay romano,
Fabrizio Marrazzo, che si trovava proprio nella Gay Street. In realtà, una
delle "bombe carta" colpisce una fioriera, l'altra devasta un motorino e ne
rovina un altro.
Il boato è enorme, nella strada lunga e stretta: è un fuggi fuggi. I due
aggressori intanto scappano a piedi, favoriti dal panico. "I ragazzi
volevano corrergli dietro - racconta Marrazzo - ma li ho implorati di
fermarsi: cosa sarebbe successo se fossero stati armati di un coltello?".
Stasera torneranno tutti nella Gay Street, alle 22, per manifestare contro
il clima invivibile che sta perseguitando la comunità. "Abbiamo invitato il
presidente della Provincia Nicola Zingaretti, che ci sarà, e anche il
sindaco Alemanno che invece non potrà esserci perché è in viaggio a
Lourdes".
"È un gesto terroristico e conferma l'emergenza omofobia", commenta il
presidente di Gaynet, Franco Grillini, ex presidente dell'Arcigay. "Arriva
dopo una lunga serie di atti di aggressione e conferma quanto andiamo
sostenendo da tempo: è in atto una vera e propria aggressione di stampo
politico verso la comunità lgbt italiana ad opera di fanatici e di gruppi
neonazisti che si sentono più o meno legittimati dalla vittoria della destra
alle ultime elezioni politiche".
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