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24/08/2009 Comunicato dei volontari italiani di Zaatar in Palestina
Campo di volontariato di Askar dal 10 e al 30 luglio 2009. Il racconto dell'esperinza di 6 giovani volontari di Zaatar.
Cosa abbiamo visto nei territori occupati.
Sorrisi, voglia di vivere, ospitalità, speranza, fede, voglia di ricostruire, voglia di futuro, voglia di emancipazione, fiducia nelle nuove generazioni, fiducia nella cultura.
Le forme della resistenza sono varie, e nessuna di esse è violenta.
Senza di tutto questo, la Palestina si sarebbe già spenta, cedendo definitivamente alla politica israeliana: occupazione, militarizzazione, apartheid, fascismo.
Senza i sorrisi e la voglia di vivere, le pietre scagliate contro i muri non avrebbero forza.
Siamo stati abbracciati dai palestinesi, accolti come fratelli, curati come figli.
Trovare casa lontano da casa non è mai facile, ma dopo due giorni i campi profughi ti ingoiano e ti mischiano a tutti gli abitanti.
L'unica cosa che non potrai mai avere è la solitudine.
Ci manca la Palestina, ma dobbiamo tornare a casa, almeno questa volta, per raccontare tutto quello che abbiamo raccolto nei nostri cuori, attraverso ciò che abbiamo visto e sentito.
Perchè la nostra testimonianza è l'unico media che Israele non controlla, nonostante il regime faccia di tutto per ostacolarci e intimidirci.
La nostra testimonianza è l'aiuto più grande per i palestinesi, siamo messaggeri, non è un compito da sottovalutare: probabilmente è più difficile del lavoro che abbiamo svolto nel campo, perchè di fronte a noi troveremo muri di indifferenza ben più alti del muro di apartheid che sta circondando la Palestina.
Ma la nostra forza è la forza che i campi profughi ci hanno trasmesso: Askar, Balata, Jenin, solo alcune delle tante realtà che ti rapiscono.
Luoghi così densamente abitati da non poterlo immaginare. Così intrisi di resistenza da farti sentire minuscolo e inutile. Da farti innamorare.
Poi ci sono realtà dove invece ti viene rabbia, dolore.. ti viene voglia di combattere, non sai come, ma non puoi rimanere immobile, non puoi restare da parte: Hebron, Qalqilia, Bil'in.
Luoghi dove vedi la sofferenza dei palestinesi, l'odio dei coloni.
Odio che viene insegnato ai bambini.
Il muro ti circonda, dall'altra parte lavori, magari non ti fanno passare. Magari non ti fanno tornare a casa.
Puoi protestare pacificamente, in cambio riceverai violenze. Arresti notturni, lacrimogeni.
L'aria del tuo villaggio sa di gas. I tuoi ulivi sono recintati di filo spinato.Un pezzo di muro è in arrivo.
Bastano due persone, armate, recintano un pezzo di terra, gli danno un nome. Un nuovo insediamento è nato.
I palestinesi a tutto questo resistono adottando la coscienza dell'autoconservazione, non rischiano il tutto per tutto in un solo atto, ma cercano di convertire la rabbia in flessibilità, o attività che siano contro il regime in modo culturale, sociale ed educativo. Qualcosa che possa migliarare la situazione politica. Mantenendo alto il loro livello di identità culturale, un sentimento forte che li unisce e li rende un Popolo, un'unica entità. La loro forza, la loro sopravvivenza.
Noi non possiamo neppure immaginare cosa significa vivere da più di sessant'anni sotto occupazione.
Come ci sentiremmo se ci rubassero territorio?
Se ci rubassero acqua che poi dovremmo ricomprare dagli stessi ladri?
Se intorno a noi ci fosse un muro alto dieci metri?
Se fossimo costretti a vivere in un chilometro quadrato con altre venticinquemila persone?
Come ci sentiremmo se avessimo voglia di vivere, di costruire, di imparare ma intorno a noi non ci fossero posti di lavoro, porte aperte per il futuro?
Come ci sentiremmo se da un giorno all'altro tutto potesse essere distrutto?
Come ci sentiremmo se ogni notte fossimo svegliati dai soldati, se il giorno dopo ci svegliassimo senza sapere che fine ha fatto il vicino di casa?
Come ci sentiremmo se dall'alto delle colline tante villette a schiera dall'aria così rassicurante fossero popolate da persone che ci odiano e che non vedono l'ora di vederci sparire?
Sono tante le domande a cui non sapremmo rispondere, l'unica cosa certa è che siamo tutti colpevoli finchè decidiamo di non vedere.
Israele gode del supporto di molti, soprattutto dei potenti.
Gli israeliani sono vittime della propaganda e sono obbligati a fare il militare: hanno l'opportunità di vedere ciò che subiscono per loro mano i palestinesi.
Il loro cieco accettare, il loro muto assenso, li rende uguali alle bombe che distruggono vite innocenti.
Vogliono la pace quanto i palestinesi, ma alle loro condizioni.
Alcuni sono contrari all'occupazione, ma danno per scontata la legittimità della nascita di Israele.
Sono contrari alle colonie, ma vedono in Ben Gurion uno dei padri della loro nazione.
Mentre noi non vi vediamo che il padre della pulizia etnica ai danni dei palestinesi.
"Se rimani neutrale in una situazione di ingiustizia, allora hai scelto la parte dell'oppressore."
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