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Cornigliano, l´ambientalismo che non c´è più
PAOLO ARVATI
È un po´ paradossale la parabola storica della critica ambientalista in Italia e anche a Genova. Da testimonianza culturale di piccole forze tra anni ´70 e ´80 l´ambientalismo si trasforma in critica di massa capace di mobilitare migliaia di persone contro impianti e lavorazioni nocive. Poi si smorza, guarda caso in sincronia con la progressiva perdita di centralità della produzione industriale e del lavoro operaio. È la storia recente di tanti territori del nostro Paese ed è anche la storia recente di Genova e in particolare di Cornigliano, cui è dedicato un bel saggio di Roberto Tolaini, giovane ricercatore e docente di storia economica nella Facoltà d´Ingegneria di Genova. Il saggio, fresco di stampa, è inserito in un volume del Mulino sulla storia ambientale delle aree industriali italiane, da Cornigliano a Bagnoli, da Manfredonia a Porto Torres.
La Cornigliano di oggi è il risultato di un secolo travagliato di storia industriale. Lo è per il degrado territoriale. Lo è per le conseguenze demografiche, visto che dopo il boom degli anni ´50 e ´60 il quartiere si svuota, perdendo tra 1971 e 2001 un terzo della propria popolazione. Lo è anche per il recente ripopolamento migratorio frutto dell´abbattimento dei prezzi delle case provocato dal degrado.
Tolaini osserva che questa lunga storia inizia già nei primi del Novecento, quando la prima industrializzazione cancella le caratteristiche ottocentesche di un quartiere (allora comune autonomo) a vocazione turistica per le proprie risorse climatiche e paesaggistiche. È brutalmente imposta una pericolosa promiscuità tra abitazioni e impianti nocivi, tanto che subito nascono gravi problemi d´igiene pubblica e la tubercolosi s´insedia come patologia sociale di massa. Lo sconvolgimento epocale è avviato però a fine anni ´30 con la decisione di costruire lo stabilimento siderurgico destinato a sostenere lo sviluppo produttivo dell´industria meccanica nazionale. Dopo l´interruzione degli eventi bellici, il progetto è realizzato a partire dal 1950 con la costruzione di una diga di recinzione e poi con la colmata del mare grazie al materiale ottenuto dallo sbancamento della collina degli Erzelli. Cornigliano perde il mare, numerose abitazioni e anche il famoso castello Raggio. Nel 1953 decolla lo stabilimento poi celebrato come l´emblema di un´industria pubblica innovativa ed efficiente. In pochi anni gli occupati arrivano a seimila per sfiorare i dodicimila nei primi ´70.
La gravità della situazione ambientale è nota già dalla prima metà degli anni ´60 e proprio allora si verificano le prime proteste. Sono però agitazioni minoritarie, perché in città, per almeno un quarto di secolo, funziona una specie di grande compromesso fondato sull´occupazione e sul reddito per migliaia di famiglie come contropartite dell´inquinamento, delle malattie e del degrado. Il compromesso si rompe con la crisi siderurgica nei primi anni ´80. Proprio nel 1980 viene firmata una petizione di protesta da 11 mila dei 20 mila residenti del quartiere. Cinque anni dopo, nell´estate del 1985, si sviluppa con manifestazioni e blocchi stradali il movimento guidato dalle "donne di Cornigliano" che per un quindicennio ha la capacità di imporre la questione ambientale come primo tema dell´agenda politica genovese: "
non semplicemente un problema di quartiere osserva Tolaini perché s´intreccia con la ridefinizione dell´identità
di una città in piena crisi".
Il superamento della siderurgia a caldo è una vicenda interminabile che occupa buona parte degli anni ´90 e 2000 e apparentemente si chiude con lo spegnimento dell´altoforno il 29 luglio 2005. Tuttavia si spegne anche il movimento che aveva portato a quel risultato storico. Proprio negli anni in cui bonifica e rilancio del territorio richiederebbero l´intelligenza e la critica di massa degli anni ´80, le uniche voci sgangheratamente critiche a Cornigliano sono quelle del no alla moschea.
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