[NuovoLab] Intervista a Zalaya

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Author: brunoa01
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Subject: [NuovoLab] Intervista a Zalaya
Il Manifesto di Claudia Jardim - LAS MANOS (HONDURAS)


«Il golpe NON PASSERÀ»

Parla il presidente honduregno deposto: «Se la destra riprende in mano le armi per rovesciare presidenti riformisti, anche i popoli hanno il diritto di tornare a spingersi sulla stessa strada»
Circondato da guardaspalle, il presidente deposto dell'Honduras Manuel Zelaya s'intrattiene con un gruppo di honduregni che hanno passato la frontiera con il Nicaragua nel posto in cui aveva dato appuntamento ai suoi sostenitori per ritornare nel paese, tutti insieme, dopo 26 giorni di esilio.
L'entrata trionfale programmata da Zelaya è stata frenata dal governo golpista di Roberto Micheletti, che aveva decretato lo stato d'assedio nei dipartimenti le cui strade portano alla frontiera, nel tentativo di impedire la mobilitazione lanciata dal Fronte di resistenza al golpe.
Decisi tuttavia a ricevere il presidente deposto, centinaia di honduregni si sono avventurati per le montagne del paese per dribblare la repressione dell'esercito. Fra abbracci e grida di «ritorna Mel», secondo il nomignolo con cui viene chiamato Zelaya dai suoi, la sicurezza del presidente mette in guardia sulla presenza di franchi tiratori avvistati su una collina circostante.
Senza la moltitudine che si aspettava, Zelaya ha deciso di non passare la frontiera. Se l'avesse fatto, diceva un colonnello dell'esercito honduregno che «sarebbe stato immediatamente arrestato». Il presidente deposto aspettava l'esito di un «negoziato» con i militari che gli consentissero l'entrata, sia pure simbolica. Ma l'accordo non c'è stato.
Seduto su una jeep circondata da suoi simpatizzanti, Manuel Zelaya ha conversato con Brasil de Fato. Visibilmente affaticato e apparentemente senza una strategia praticabile capace di garantirgli il ritorno alla presidenza, Zelaya ha detto alcune parole chiare e pesanti: «Se la destra ha ripreso in mano le armi per rovesciare un presidente riformista, anche il popolo ha il diritto di tornare sulla stessa strada».
Il governo Usa ha criticato la sua decisione di tentare di tornare nel paese senza un accordo precedente con il governo golpista. Cosa ne pensa?
Ho concesso tutte le tregue possibili e immaginabili. Sono stato estremamente tollerante e paziente, ho aspettato e appoggiato tutte le decisioni prese dalla comunità internazionale. Ho accettato quel che ha detto il segretario di stato Hillary Clinton. Intanto i golpisti continuano a reprimere il popolo honduregno, violando i diritti umani della popolazione, appropriandosi di risorse che non sono loro, usurpando la sovranità popolare, tradendo i poteri dello stato. Mi hanno strappato di casa all'alba a colpi di fucile, ammanettato. Non mi hanno mai accusato formalmente davanti a un tribunale, né adesso né prima. Ora si stanno inventando accuse contro di me, la mia famiglia e i miei ministri. I militari parlano di democrazia ma quando qualcuno esprime qualche opposizione viene immediatamente bollato come comunista, lo perseguono e poi fanno un colpo di stato. Il fatto è che l'oligarchia honduregna è estremamente conservatrice.
Visto che non riesce a rientrare in Honduras, che cosa pensa di fare?
Mantengo l'appello al popolo honduregno perché venga alla frontiera. Sono solo 12 chilometri fra El Paraiso, l'ultimo posto di blocco dell'esercito, e Las Manos. La gente può venire a piedi. E c'è anche un'altra possibilità. Ho a disposizione due elicotteri e posso atterrare in qualunque posto.
Quali sono stati i fattori determinanti che hanno portato al golpe?
L'Honduras è la terza economia più povera dell'America latina. Su ogni dieci honduregni, otto vivono nella povertà e tre nella povertà assoluta. Credo che una società che vive così da almeno un secolo debba essere analizzata nel tentativo di promuovere dei cambiamenti. E questi cambiamenti sono legati con la forma di governo. È evidente che l'oligarchia economica, privilegiata da questa situazione, dallo status quo, non vuole questi cambiamenti. Quindi l'unico modo di promuovere un cambio in Honduras è quello di ampliare gli spazi di partecipazione dei cittadini, i processi di partecipazione sociale. Su questo ho puntato e l'oligarchia mi ha denunciato come un nemico della patria e ha cominciato a cospirare contro di me. Ho aumentato il salario dei lavoratori, ho tentato di avviare la riforma agraria, ho aperto le porte al socialismo del sud e questo è stato considerato un delitto. Tutto questo ha fatto sì che l'élite economica - appoggiata dei vecchi falchi di Washington come Otto Reich e Robert Carmona e da alcuni congressisti Usa - avviasse la cospirazione che è poi sfociata nel golpe. Ma si sono sbagliati. Pensavano che fosse facile come nel secolo scorso, quando in quarantott'ore i golpisti riuscivano a dominare la situazione e soggiogare il popolo. Il popolo adesso è nelle strade già da un mese e dimostra di non accettare il golpe. Anche la comunità internazionale è cambiata. Ormai non subisce più i colpi di stato, perché sono illegittimi, sono un salto all'indietro, è il ritorno della forza contro la ragione, il ritorno della violenza contro le urne. È questo che ha provocato il golpe. La paura dei cambiamenti, la paura che il popolo si organizzi.
La stampa honduregna la paragona al presidente venezuelano Hugo Chavez. Lei come definisce il suo governo?
Il mio è un governo di centrosinistra. Di centro perché appoggiamo il liberismo economico e di sinistra perché appoggiamo i processi sociali, in qualche modo socialisti. Ho cercato di tenere una via di mezzo fra queste due opzioni. Ma anche così mi hanno bollato come nemico dell'oligarchia economica, solo perché ho aumentato il salario minimo dei lavoratori. Mi sembra del tutto iniquo aver subito un colpo di stato solo perché stavo proponendo un referendum consultivo per vedere quale fosse la risposta del popolo rispetto ai processi di partecipazione dei cittadini. Quel che è accaduto è ridicolo, il mondo sta ridendo dei golpisti, nessuno li riconosce.
Molti considerano che gli Usa abbiano adottato una posizione ambigua in questa crisi. Hanno condannato il golpe ma non hanno imposto sanzioni economiche al governo di fatto di Micheletti. Qual è la sua opinione?
L'amministrazione del presidente Barack Obama è stata coerente con la diplomazia multilaterale e ha dimostrato di voler risolvere il problema. Ma non si può dire lo stesso rispetto ad altri gruppi di potere negli Stati uniti. La vecchia guardia conservatrice sta appoggiando il golpe. Obama no. Il segretario di stato Hillary Clinton è stata chiara. Ma negli Usa ci sono molti interessi politici ed economici e c'è molta gente settaria che vuole imporre la sua ideologia.
Lei sta cercando di ritornare al potere. Tuttavia finora il presidente di fatto Roberto Micheletti ha ripetuto che non accetterà la risoluzione dell'Osa, l'Organizzazione degli stati americani, che chiede di restituirle la presidenza. Cosa significa questo precedente per l'America centrale?
Questo golpe uccide la forza della sovranità popolare. Costituisce un precedente nel senso che se la destra riprende in mano le armi per rovesciare presidenti riformisti, allora anche i popoli hanno il diritto di tornare a cercare le soluzioni dei loro problemi ricorrendo a questa strada, cosa che noi non desideriamo. Prima dicono al popolo che bisogna votare e che la democrazia è un suo diritto, e adesso le armi tornano ad aggredire la democrazia. Questo non si può permetterlo. Contro questo bisogna battersi.
Con le forze armate, il Congresso e il potere economico schierati a favore del golpe, cosa cercherà di fare per recuperare il potere?
Continuare a battermi e tenermi fermo nelle mie posizioni.

©Brasil de fato-il manifesto
* Brasil de fato è il giornale dei movimenti sociali brasiliani, fra cui il Movimento dei Sem Terra e Via campesina

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