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HOTEL DE LA BEANCE presenta 
INTEDIO
Ultima liturgia-lectio
privata con e per un corpo assente
di
Mario Lino Stancati
Sabato
6 e Domenica 7 Giugno 2009, ore 21, al Teatro dell’Acquario

con:
Serena Ciofi, Marco Magnelli, Mario Lino Stancati.

regia
luci: Alessandro Rizzo

regia
musiche: Valerio Canonaco

costumi:
Rita Zangari ¸ staff: Laura Ferrara, Dario Conforti




INTRODUZIONE PER GLI
ASTANTI E PER GLI ATTANTI
A pochi, pochissimi,
davvero a pochi miserabili,

è dato sapere che chi
siamo non ci riguarda affatto,

che ciò che sentiamo, o
pensiamo, è sempre una traduzione,

un travisare, un
tra-dire, una circonlocuzione d’incapaci bell’e buona,

dove ciò che vogliamo è
ciò che non vorremmo, quindi una curiosa beffa;

ora, sapere questo, ogni
minuto, riconoscerlo, di scatto, in ogni sentimento,

significa essere
straniero nel proprio corpo, esiliato, estraneo,
pronto a partire, con
nessuna valigia però, già, per non affaticarsi troppo,

significa essere penna
d’un Altro Inchiostro, fuori le righe, non stando che fuori testo,
personaggio barocco mosso
e, poi, rimosso fra l’onde-vortici d’un unico Stile,
nella compiuta verità
d’una finta narrazione, fiction-verosimile, romanzata,

ripetuta serie in
prima-e-ultima serata, intercalata di sogni telecomandati

e novelle differenti,
incubi e tragedie, come scatole, cinesi d’Oriente,
dentro altre scatole più
grandi: tutto una Storia con storie, fiabe esotiche,
lontane come Le Mille
e una Notte, sì proprio così, esotici, distanti,
siamo in mille, in quanti
siamo, ma la notte è una, la notTE All’eTeRnO.

PRESENTAZIONE DI
INTEDIO

A invocare il Mostro (
monstrum - monere: segno divino, prodigio - avviso,
ammonizione) e a mostrarsi in proscenio, vi sono i tre modi/siti
dell’evaporare in e dalla Scena, ovvero un altare
mistico, un angolo bar, un mini-stage. Ma, allo stesso tempo -
in un bizzarro triangolo vizioso, o, se volete, in un ombroso circolo
virtuoso - si officiano i tre momenti della Messa, intesa,
ascoltata, ad-vocata sia come
immissione-inserimento-riempitura, che come
missa-missio, ossia come l’atto di congedare, dire addio,
separarsi. Da qui la messa in alto, la messa in
questione e la messa in oblio. Ma anche il distacco dal
cielo superiore, l’arrivederci del domandare incessante e il
saluto alla dimenticanza finale. Queste le duplici movenze di
doppi vuoti, oscillanti tra la spirituale elevazione estatica o il
saluto estremo d’ogni sacra alterità; fra l’etilico
discendere/regredire nel pancreas spappolato o la gelida ricerca di
scolarsi tutta e qualsiasi lucidità coscienziale e, infine, tra
l’immediato svanire/sublimare estetico
delle fiamme avverse o il poetico commiato d’ogni caro fuoco amico.
Sul palco, quindi, appaiono un celebrante-satanasso, in odor d’eresia
universale, col suo Te Deum barbarico quanto sonoramente
venerabile; poi, un bevitore ormai ghiacciato dai gradi improponibili
del suo tedio immedicabile, e un attante col suo fedele
musico tentati a far vivere l’incendio d’ogni In(terno)
e il rogo santo del Te(atro). Questi attimi di figure
vocalizzano e s’agita-no(!), così, nella ambigua trinità del
vorticare sovrumano, trascendente e mostruoso, nella centrifuga buia
del padre, del figlio e dello spirito santo, amen.
E dall’alto di
quest’ombreggiare ternario, principia una voce, ideale e
scheletrica, che, nel teatro d’ogni vociare, nel
silenzio d’ogni sguardo, sta lì a fischiare, criticare,
sfriculiare, ingiuriare, profanare, discantare, e via
ingarbugliando. Un’oralità occulta questa, celata, svelantesi,
iconoclasticamente incaponita a rendere acefala ogni bella presenza
mentale, cinicamente intenta a fare il Funerale al funerale (del
detto) umano, a chiuderci la bocca con La Voce, una volta per tutte.
A pre-occupare (da sempre?) la beanza centrale, il posto vuoto, il
buco aperto, il taglio beante del quadro teatrale, splende - per
concludere il disastro viola, bianco e rosso, in una parola
celeste - l’enigma reale d’un corpo assente, seppur vivissimo
nella presenza del suo mancare proprio sotto questi fari, disperso
sotto questi riflettori, accesi a illuminare la fossa cieca della
superficie misterica, isterica, termica, terminale, animale, brutale,
oscena, scenica, scema, somarella, somatica o, ancora una volta,
per smettere st’illusione grafica,
dite e fate come volete voi:

vi lasciamo liberi di dire,
liberi d’illudervi d’essere liberi,

liberi nel dire e nel fare,
liberi d’incatenarvi ad libitum,

finalmente liberi

- hic et nunc, non-lì e mai –

di (s)venire e d’
in(s)contrarvi

a, con e contro questo INTEDIO.

In
(mala)fede Mario Lino Stancati