UNA MANIFESTAZIONE CONSAPEVOLE E PARTECIPATA E UNA CONCLUSIONE CHE EVIDENZIA DRAMMATICAMENTE L’ASSENZA DI RAPPRESENTANZA
E DI UN PROGETTO CONTRO L’ARROGANZA E LO STRAPOTERE FIAT.
Sabato 16 maggio a Torino il corteo contro la prospettata chiusura degli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Termini Imerese e l’ulteriore ridimensionamento di Mirafiori è stato molto lungo e vivo, sia per la presenza degli operai torinesi sia per l’arrivo di numerose delegazioni da tutta Italia, Pomigliano in testa. La volontà unitaria di dare una risposta a Marchionne e la consapevolezza della posta in gioco – il tentativo dei padroni di utilizzare la loro crisi per costruire un’altra sconfitta del movimento dei lavoratori – hanno contraddistinto la manifestazione che durante tutto il percorso ha ricevuto il sostegno della popolazione nelle strade, dalle finestre e dai balconi.
I lavoratori sono sfilati a migliaia senza rigide divisioni organizzative tra le sigle sindacali, con una naturale e spontanea ricerca di una risposta solidale e collettiva, ma anche con la preoccupazione di scongiurare un film già visto, ovvero l’ennesimo epilogo fatto di deserto industriale e di accordi di gestione di migliaia di licenziamenti collettivi mentre i profitti della Fiat continuano a essere garantiti soprattutto dal denaro pubblico. Una preoccupazione legittima, visto la sequenza di accordi a perdere cui tutti i sindacati concertativi ci hanno abituato in questi ultimi vent’anni.
Per offuscare questo quadro sociale scandaloso puntualmente i mass-media anziché interrogarsi su come e quanto questa crisi sia stata costruita e venga utilizzata dai padroni, preferiscono invece inventarsi una violenza di piazza - meglio se targata “Cobas” - e a strumentalizzare la conclusione della manifestazione nel comizio davanti al Lingotto: di fronte ad una contestazione verbale, forse eccessiva ma comunque comprensibile, a fronte della richiesta di intervento dal palco dello Slai-Cobas di Pomigliano il servizio d’ordine dei sindacati confederali non ha trovato di meglio che opporre resistenza fisica e la chiusura dell’impianto voce.
Ben più grave e preoccupante dello scivolamento fisico dal palco del segretario Fiom Rinaldini – peraltro trattenuto da un esponente dello Slai-Cobas, come si nota dalle stesse foto dei quotidiani – è il prossimo venturo ennesimo scivolamento politico e sociale di un sindacato concertativo le cui sigle si dividono tra chi - come Cisl, Uil e Ugl - è pronto a soddisfare qualsiasi progetto di Confindustria e chi - come la Cgil - si autorappresenta come baluardo democratico, ma paga il peso non indifferente di aver comunque concertato un quindicennio di perdita di diritti e di potere delle lavoratrici e dei lavoratori.
Oggi il problema è quello di ricostruire una rappresentanza dei diritti sociali negati, di ridare voce, peso e dignità a milioni di lavoratori che sono soggetti sociali e politici, e non semplici fruitori di ammortizzatori sociali. La Confederazione Cobas sta cercando – sicuramente con fatica – di costruire questo percorso, senza proclamarsi a solutori ma ricercando con tutte le forze disponibili un cammino comune e condiviso. Contro tutte le arroganze del potere, e anche contro le sue ricorrenti strumentalizzazioni e invenzioni mediatiche.
Torino, 17 maggio 2009
Confederazione Cobas Torino