[NuovoLab] dal sito di music for peace,finalmente a gaza

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Autore: brunoa01
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To: forui-sociali, forumgenova, forumsociale-ponge
Oggetto: [NuovoLab] dal sito di music for peace,finalmente a gaza
Striscia di Gaza, Lunedì 13 aprile 2009

E’ finalmente arrivato il giorno delle distribuzioni. La sveglia suona alle ore 7.00. Prepariamo gli zaini, oggi ci sposteremo a Gaza City, ospiti di un altro Ospedale della Mezza Luna Rossa Palestinese. L’appuntamento è fissato alle ore 9.00 nello stesso ospedale che ci accoglierà per la notte; i bombardamenti e le cannonate non hanno risparmiato neppure i piani superiori e l’ala est di questa struttura sanitaria. Entriamo in una sala riunioni. Intorno al tavolo, i responsabili delle strutture destinatari degli aiuti: l’Al Quds e l’Al Amal Hospital, situati nel centro della Striscia di Gaza, l’Al Alauda Hospital che copre la zona nord, la Nedaa Alhaya Benevolent Asociation, che offre cure ed assistenza gratuita nella zona sud e l’ Am Jad for Cultural and Social Development, centro di assistenza per bambini sordo muti. Insieme concordiamo una prima ripartizione secondo i bisogni e sono le 10.00 quando ci rechiamo nella tenda - magazzino dove ieri abbiamo stoccato gli aiuti. Davanti ai cancelli che delimitano i magazzini della Mezza Luna Rossa si accalcano un centinaio di persone in coda sotto il sole per ricevere una razione di cibo, distribuita tramite un’apposita tessera verde. Fa molto caldo, anche grazie all’ “effetto serra” creato dal tendone, ma è una grandissima soddisfazione vedere il materiale che riempie i 4 camion ed il furgone con i quali verrà portato a destinazione negli ospedali. Sono le tre e mezza del pomeriggio quando terminiamo la distribuzione. La fatica è molta, ma ripagata, completamente. Pranziamo. Ci viene raccontato, con una disarmante naturalezza, del peschereccio che è stato affondato a cannonate questa mattina perché, a causa della nebbia, ha oltrepassato le 4 miglia (6,5 Km) concesse ai palestinesi per pescare. Storia di ordinaria e quotidiana follia in questo lembo di terra chiamato Striscia di Gaza.

Striscia di Gaza, Domenica 12 aprile 2009

Quando ci svegliano a khan Younis, nella Striscia di Gaza, quasi non ci sembra vero, dopo un mese trascorso tra attese, telefonate, incontri e discussioni interminabili in Egitto. Passa a prenderci il dr. Montasser e si va a Gaza City. Le case bombardate sono un pugno nello stomaco. Anche le ambulanze sono state prese a cannonate: ne vediamo alcune carcasse sventrate di fronte all'ospedale. Su ciò che resta di una portiera gli squarci delle schegge. Neppure l'ospedale è stato risparmiato. Neppure le case accanto, ancora in piedi, ma coperte di fori di proiettili e ferite dagli squarci dell'artiglieria. Pochi metri, un cancello, uno spiazzo, e i due containers con la croce di Music For peace che ci aspettano, intonsi, carichi di medicinali, finalmente a destinazione. Apriamo, c'è tutto. Iniziano le fatiche dello "scarico del carico" per trasferirlo sotto un tendone fortunatamente distante solo alcuni metri. I volontari della Palestine Red Crescent Society ci danno una mano, entusiasti, ma oltre 20 tonnellate di medicinali, letti, materassi, peluches per bambini, sedie a rotelle, sulla schiena si sentono. Con noi c’è anche Yousef Al Bura’i responsabile operativo per la Striscia di Gaza dell’ufficio della Cooperazione Italiana, che con piacere non lesina fatica nell’aiutare il gruppo. Pranziamo a pomeriggio inoltrato, all'ultimo piano dell'ospedale, ospiti della mezzaluna rossa Palestinese. A meno di dieci metri dalla nostra tavola un salone sventrato e bruciato da una bomba, forse al fosforo. Il tetto sfondato e carbonizzato. La stessa sorte è toccata a un ala dell'ospedale: ci passiamo, scendendo le scale. Le stanze sono carbonizzate. Dei letti restano solo le parti metalliche e le molle dei materassi. Torniamo verso khan younis. Crolliamo dal sonno. Accanto a noi sfilano edifici distrutti, silos agricoli e moschee centrate dall'artiglieria, come in un agghiacciante tiro al bersaglio. Torniamo in albergo. È sera. Dopo cena incontriamo di nuovo il dr. Montasser, per gli ultimi dettagli della distribuzione, prevista per domani...
Quasi dimenticavamo; buona Pasqua, anche da qui.

Sabato 11 aprile 2009, El Arish

Un mese e un giorno in Egitto. Poco dopo le dieci il telefono squilla. E’ l’ambasciata italiana del Cairo. Poche parole, concise: “Ci sono i permessi, correte al confine!”. Fiducia e scetticismo. Bagagli. Alla reception salutandoci dicono di aver visto il nostro servizio su Al Jazeera. Tutto spinge tranne il taxi, più scassato del solito se possibile. Si va. Al valico di Rafah ci arriviamo alle 12:20. Cielo grigio, nessuno. Gli uomini della polizia segreta “sono andati via e tornano dopo”, ci riferiscono alla porta. Panico diffuso. Poi invece tornano davvero, ci fanno cenno di entrare. Passaporti, al solito, ma tutto sembra improvvisamente più fluido. Come se ciascun militare sapesse già tutto dell’ok al nostro passaggio, fin dai metal detectors. Ci fanno compilare il modulo d’emigrazione. La dogana timbra. Corridoio deserto e siamo nell’ufficio del “solito” ufficiale senza nome, quello della polizia segreta. Ci chiedono di dichiarare per iscritto, a penna e in italiano sulle fotocopie dei nostri passaporti, che ci tratterremo nella Striscia di Gaza per soli 4 giorni. L’ambasciata ci aveva detto quindici, ma già così non ci sembra vero. Sono le 14:07 quando nella stanza disadorna vengono pronunciate le tre parole della svolta: “GO-TO-GAZA”. Salutiamo con gli zaini già in spalla. Ci sembra persino accettabile che ci chiedano 91 (novantuno) pounds come tassa d’uscita. “No foto! No video!” ma abbiamo già scattato l’impossibile. Un autobus con i vetri a pezzi ci aspetta, deserto. Piove. Saliamo, salutiamo anche i muri. Dopo 31 giorni, usciamo dall’Egitto per entrare in Palestina, nella Striscia di Gaza. E’assurdo ma pare che da oltre un mese non passi nessun operatore umanitario. Non ci sembra ancora vero fino a quando non vediamo la bandiera palestinese dipinta su un muro di cemento armato. Alle 14:43 vediamo finalmente la faccia del dott. Montasser dopo un mese di telefonate. Siamo arrivati. Siamo contenti, come minimo. Un the e saliamo sull’ambulanza che ci accompagna fino a Khan Younis, dove pernottiamo nella pensione dell’ospedale che ospita le famiglie che hanno avuto la casa distrutta dalle bombe, a metà strada tra il confine e Gaza city. Lungo il percorso, i primi segni dei bombardamenti. Domani ci aspetta una lunga giornata di lavoro. Finalmente! Inshallah.

Venerdì 10 aprile 2009, El Arish

Venticinquesimo giorno di stop forzato, un mese giusto dal nostro arrivo in Egitto. Un altro venerdì di festa. Vuoto. Hussein, il proprietario della pensione dove alloggiamo ci invita a pranzo a casa sua. Le nostre ambasciate del Cairo e Tel Aviv, nel tardo pomeriggio, ci chiedono ancora pazienza per un altro paio di giorni. Stanno cercando di muoversi ai massimi livelli, ci confidano. Noi confidiamo in loro.

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