Autore: ANDREA AGOSTINI Data: To: forumgenova Oggetto: [NuovoLab] genova: impressioni sulla gronda
testo di pierfranco pellizzetti editorialista del secolo ( pubblicato ieri sul giornale )
Giovedì vado nello squallore di Bolzaneto per l'ultima tappa del débat publique sulla Gronda di Ponente. La sala del teatro Rina e Gilberto Govi trabocca di gente. E si percepisce subito che qui sta materializzandosi qualcosa di ben più grave del risentimento per l'oggetto specifico dell'incontro: purissima rabbia. Perché quella gente, dopo tanti anni di cinismo di sinistra non si fida più, si sente tradita. E lo grida.
Sicché, quando il coordinatore professor Luigi Bobbio (sempre più a disagio nella trappola in cui si è cacciato: un pesce fuor d'acqua) annuncia la proiezione del filmato che dovrebbe introdurre la discussione, viene subissato dai fischi con relativo cambio di programma. Per cui è costretto a passare subito la parola alla platea. Ma se tenta di girare il microfono al presidente del locale Municipio Gianni Crivello l'uragano di proteste lo blocca di nuovo.
Perché il vero messaggio del popolo della delegazione in tumulto va oltre la questione Gronda: è il sangue che sgorga da una ferita più profonda. La ferita inferta dalla perdita di ogni residua fiducia nella dirigenza politica che dovrebbe proteggerlo, prima ancora che amministrarlo. Per questo l'applauso più scrosciante va a chi fa a gara nell'insultarla, esprimerle tutto il proprio disprezzo. Come si diceva un tempo: il potere a portata di sputo. Scontato prevedere che, alle prossime scadenze elettorali, qui l'assenteismo raggiungerà livelli sardi, dove il non-voto è ormai il primo partito.
Nel fiume inarrestabile delle invettive scorre smarrimento insieme a messaggi da guerra tra poveri, tipici della comunità che si rinserra nel proprio malessere («la Gronda fatela ad Albaro», «Bolzaneto non è la pattumiera di Genova»). Anche gli extracomunitari, definiti più importanti agli occhi dei politici delle famiglie native, diventano il simbolo di una marginalità ringhiosa; spia che ormai l'antica coesione sociale del quartiere operaio si è totalmente frantumata.
A fronteggiare la canea c'è un politico di lungo corso come l'assessore Mario Margini. La sua esperienza lo porta subito a scegliere tra le due maschere che gli sono abituali, l'arrogante e il punching-ball, quella dell'incassatore impassibile. Ma qui c'è da salvare la ghirba ed è meglio trincerarsi nel ponziopilatismo: contrariamente a quanto affermato da suoi colleghi, la Giunta comunale non ha ancora deciso nulla (tracciati o fattibilità? ndr) e lo farà solo dopo aver valutato i risultati delle consultazioni popolari.
Risulta evidente il cul di sacco in cui è finita l'amministrazione cittadina (di cui lo scrivente è stato facile profeta), anche per aver voluto dichiarare un potere decisionale che non ha: le ultime parole in materia di Gronda spettano alle valutazioni tecniche di impatto ambientale (la famosa VAS) e al vaglio politico della Giunta regionale.
Eppure - a voler vedere - in quella platea ribollente si potevano cogliere anche aspetti positivi, potenziali risorse per un'uscita dall'impasse. Perché, seppure inintenzionalmente, il famoso débat publique ha fatto balzare fuori dalla lampada arroventata il genio della passione civica.
«Mai tanti cittadini in piazza quanti stasera», si ripetevano i presenti. Si rivedevano vecchi leader di territorio come Roberto Campi, storico rappresentante degli studenti liberali di ingegneria nel '68, ora portavoce del Comitato Murta e autore di uno degli interventi più corposi e apprezzati.
Energie partecipative da rimettere in gioco se - accantonate esterofilie e star di importazione - si vorrà affrontare il nodo drammaticamente evidenziato da queste assemblee: il degrado delle nostre periferie, lasciate andare in rovina e senza più luoghi di aggregazione per uno straccio di ricostruzione delle legature di convivenza.
Insomma, la lezione emersa dall'inquietante vicenda complessiva è che urge una vera politica di territorio, nella città spaccata tra un centro vetrina e il degrado circostante; lascito non lusinghiero di chi questa Giunta ha preceduto.
Non c'è più molto tempo per farlo, al massimo un biennio.