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Author: brunoa01
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Subject: [NuovoLab] Tempi duri per gli epigoni genovesi dei "tabaccai" milanesi
liberazione 14.2.09

Checchino Antonini
Tempi duri per gli epigoni genovesi dei "tabaccai" milanesi

Checchino Antonini
Tempi duri per gli epigoni genovesi dei "tabaccai" milanesi. Lì difendono il diritto di impallinare i ladruncoli sparandogli alle spalle, sotto la Lanterna, invece, invocano un referendum contro il progetto di una moschea e masticano amaro per l'imminenza del gay pride nazionale che ha avuto l'ardire di inserire nel logo proprio il monumento simbolo della città.
Ieri pomeriggio al Lagaccio, il faccia a faccia tra la città tollerante e quella xenofoba. Da un lato, «l'Isola dell'accoglienza», come la chiama Megu Chionetti portavoce della Comunità di S.Benedetto al Porto. Più di 500 persone, molti i giovani, con don Gallo, i centri sociali (uno dei più longevi, il Terra di Nessuno, è nato dove c'era una discarica, 13 anni fa e ora dovrà capire come integrare i suoi spazi con il luogo di culto), il ricco tessuto di associazioni, Legambiente, Rifondazione, l'Arci, comunità migranti e gli altri pezzi delle sinistre diffuse, perfino il leader regionale Pd. Dall'altra 150, non di più, della Lega - si dice con parecchi in trasferta pagata - e Castelli. Un ex ministro di Berlusconi e un vero ministro di dio, fa notare Andrea Gallo.
Con le camicie verdi ci sono An (che pochi giorni fa ha inviato in città il ministro Ronchi a gettare benzina sul fuoco), Udc (ma nel Pdl l'ex antagonista della sindaca Vincenzi non è d'accordo coi leghisti e l'ex governatore preferirebbe spostare nel tempo il cantiere) e i ragazzotti di Forza Nuova (anche loro forestieri, pare) pronti a spalleggiare un'eventuale forzatura truce fatta trapelare dalle camicie verdi, il lancio di carne di maiale per sconsacrare il luogo prescelto per minareto, scuola coranica, matroneo e moschea vera e propria per un totale di 1450 metri quadri, la metà di quanto si aspettava la numerosa comunità cittadina che oggi si divide tra un paio di sottoscala nei carruggi del centro storico e il luogo di culto ricavato in un circolo Arci al Cep di Prà, dove la convivenza è ottima. Lo spettacolare lancio di carne non c'è stato ma, come avverte un italiano portavoce della comunità (mille indigeni si sono già convertiti), non sta scritto da nessuna parte che un terreno si possa sconsacrare con metodi alla Borghezio.
Da un lato, dunque, la festa che andrà avanti fino a notte inoltrata, dall'altra i toni lugubri di Castelli che tuona contro «una decisione calata dall'alto a favore di una cultura che mostra chiari problemi di integrazione». Secondo lui i musulmani dovrebbero accettare quella Costituzione che lui vorrebbe stravolgere. Dietro di lui alcune centinaia di manifestanti, bandiere leghiste e fiaccole. L'«impresario della paura», come lo chiama don Gallo che ha memoria da vendere: nel Cinquecento, a Genova, ce n'erano sei di moschee. «L'ideale sarebbe stato costruirla al Porto, come allora», dice anche Antonio Bruno, consigliere comunale Prc, ma gli interessi su quell'area gigantesca sono più forti di qualsiasi ragione.
Il Lagaccio è una fossa, poco sopra il porto, ai piedi di uno dei forti che sorvegliavano la repubblica marinara dalle colline circostanti. Continua don Gallo: «Vediamo il progetto, parliamo, dialoghiamo e salviamo questo quartiere degradato e abbandonato». E a chi ribatte con la storia della reciprocità, il fondatore della comunità di S.Benedetto risponde che «ci sono poche chiese cattoliche nei paesi musulmani perchè ci sono pochi cattolici». A pochi passi da dove dovrebbe sorgere la moschea, c'è la chiesa della Provvidenza, denunciata dalla Padania s'è accorta con tre anni di ritardo di una piccola moschea nel presepe a fianco del tipico candelabro ebraico e sotto un muro che voleva simboleggiare quello innalzato da Israele anche intorno a Betlemme. Don Prospero Bonzani non si fa illusioni sulla volontà del quartiere - «Penso che la maggioranza sia contraria alla moschea» - ha provato un piccolo test con i bambini dell'oratorio, quasi tutti contrari. «E quando il piccolo parla il grosso ha parlato». Ma lui non rinuncia a costruire un senso comune di pace: «Ci possiamo confortare se altri, accanto a noi, pregano Dio», dice in perfetto spirito conciliare. Così, da mesi, scrive lettere aperte, fa assemblee con i cittadini e con i giovani, lavora accanto all'associazione "Quartiere in piazza". Prospero è l'erede spirituale di quel don Acciai che ruppe con la Dc nel dopoguerra e morì nell'incendio misterioso della sagrestia. Dice che il suo è un quartiere di «ex poveri, ex meridionali, quartiere teledipendente che trema per l'invasione dei turchi. Anche qui c'erano cartelli: "Non si affitta a meridionali"». 40 anni dopo nessuno se lo ricorda. E' la guerra dei penultimi contro gli ultimi. Ma si può sciogliere questa tensione fabbricata ad arte «rielaborando il piano urbanistico - suggerisce a Liberazione - di questo quartiere dimenticato, si potrebbe fare parecchio, coinvolgendo le oltre venti associazioni di cittadini, cominciando con l'esproprio dell'enorme caserma dismessa dall'artiglieria». «Lagaccio e Oregina sono quartieri proletari e operai, poco è mutato urbanisticamente dagli anni '70, quando, dopo la morte di tre ragazzini fu prosciugato il lagaccio dalla prima giunta di sinistra che costruì il primo impianto sportivo della zona», conferma Paolo Scarabelli, segretario cittadino del Prc lanciando alla sindaca Vincenzi: «La moschea deve venire su assieme a nuovi servizi per tutti».
«Oggi era una manifestazione necessaria - conclude Megu - per far emergere un altro Lagaccio, un laboratorio che verifichi i bisogni della città. La moschea è un pezzo in un quartiere da recuperare».


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