[NuovoLab] Che se ne vadano via tutti! di Naomi Klein

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Autor: Mgow
Datum:  
To: forumgenova@inventati.org
Betreff: [NuovoLab] Che se ne vadano via tutti! di Naomi Klein
¡Que se vayan todos!
Che se ne vadano via tutti!
di Naomi Klein - «The Nation»
traduzione di Paolo Maccioni per Megachip
<http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8670>
/Vedere in Islanda folle di persone che percuotono pentole e padelle fin
quando il governo non cade mi ha ricordato un slogan popolare nei
circoli anticapitalisti del 2002: «Voi siete Enron. Noi siamo l'Argentina»./

Un messaggio abbastanza semplice. Voi -- politici ed amministratori
delegati assembrati in qualche summit del commercio -- siete come gli
spericolati dirigenti della Enron che se la scampano (e di certo non ne
sapevamo neppure la metà). Noi -- la plebaglia qui fuori -- siamo come
il popolo d'Argentina che nel bel mezzo di una crisi economica
tremendamente simile alla nostra, scese in strada battendo pentole e
padelle (il cacerolazo appunto, ndt). Gridavano "¡Que se vayan todos!"
("Che se ne vadano via tutti!") e imposero una successione di quattro
presidenti in meno di tre settimane. Ciò che rese unico il sollevamento
del 2001-2002 in Argentina fu che non era indirizzato ad uno specifico
partito politico né alla corruzione in termini astratti. Il bersaglio
era il modello economico dominante: quella fu la prima rivolta nazionale
contro lo sregolato capitalismo contemporaneo.

C'è voluto un bel po', ma dall'Islanda alla Lettonia, dalla Corea del
Sud alla Grecia, i paesi del resto del mondo stanno finalmente avendo il
loro ¡Que se vayan todos!

Le stoiche matriarche islandesi che battono le loro pentole mentre i
loro ragazzi saccheggiano i frigoriferi alla ricerca di proiettili
(uova, certo, ma yogurt?) riecheggiano le tattiche rese famose a Buenos
Aires. Così pure la rabbia collettiva contro le élites che hanno gettato
via un paese un tempo florido pensando di potersela scampare. Gudrun
Jonsdottir, trentaseienne impiegata islandese dice: «Ne ho avuto fin
troppo di tutto ciò. Non ho fiducia nel governo, non ho fiducia nelle
banche, né nei partiti politici né nel Fondo Monetario Internazionale.
Eravamo un bel paese e l'hanno rovinato.»

Un'altra eco: a Reykjavik i manifestanti chiaramente non si berranno un
semplice cambio di facciata ai vertici, benché la nuova premier sia una
lesbica. Chiedono aiuti per la popolazione, non solo per le banche;
indagini che facciano luce sulla débâcle e profonde riforme elettorali.

Richieste simili si possono registrare in questi giorni in Lettonia, la
cui economia si è contratta più bruscamente che in qualsiasi altro paese
della UE, e dove il governo si trova sull'orlo del baratro. Da settimane
la capitale è scossa da proteste, fra cui una esplosiva rivolta con
sassaiola il 13 gennaio. Come in Islanda, i lèttoni sono allibiti dal
rifiuto dei loro leader di prendersi alcuna responsabilità della crisi.
Alla domanda fattagli da Bloomberg TV su cosa abbia causato la crisi, il
ministro delle finanze della Lettonia ha scrollato le spalle dicendo:
"Niente di speciale".
Ma i problemi della Lettonia in realtà sono speciali: le politiche che
permisero alla "Tigre Baltica" di crescere ad un tasso del 12% nel 2006
sono le stesse che stanno causando la violenta contrazione del 10%
prevista per quest'anno: il denaro, liberato da tutti i paletti, va via
tanto velocemente quanto viene, e grandi quantità di esso vengono
dirottate verso le tasche dei politici. Non è un caso che molti dei casi
disperati di oggi siano i "miracoli" di ieri.

Ma c'è qualcos'altro di argentinesco nell'aria. Nel 2001 i leader
dell'Argentina risposero alla crisi con un pacchetto di austerità
prescritto dal Fondo Monetario Internazionale: 9 miliardi di dollari in
tagli alla spesa, molti dei quali colpirono la sanità e l'istruzione.
Questo si dimostrò un errore fatale. I sindacati organizzarono scioperi
generali, gli insegnanti spostarono le loro lezioni nelle strade e le
proteste non si fermarono più.

Questo stesso rifiuto dal basso di sostenere il peso maggiore della
crisi unisce molte delle proteste odierne. In Lettonia molta della
rabbia popolare si è rivolta contro le misure di austerità del governo:
licenziamenti in massa, riduzione dei servizi pubblici e abbattimento
dei salari nel settore pubblico; tutto per poter essere ideonei ad un
prestito d'emergenza del Fondo Monetario Internazionale (no: non è
cambiato niente). In Grecia le sommosse di dicembre sono seguite
all'uccisione da parte della polizia di un ragazzo di 15 anni. Ma ciò
che ha fatto sì che continuassero, con i contadini che sono subentrati
agli studenti nel capeggiarle, è la diffusa reazione di rabbia nei
confronti della risposta del governo alla crisi: le banche hanno goduto
di un bailout di 36 miliardi di dollari mentre i lavoratori hanno visto
le loro pensioni decurtarsi e gli agricoltori non hanno ricevuto
pressoché nulla. Nonostante i disagi causati dal blocco delle strade con
i trattori, il 78% dei greci ritiene che le richieste degli agricoltori
siano ragionevoli. Allo stesso modo in Francia il recente sciopero
generale -- in parte innescato dal piano del presidente Sarkozy di
ridurre pesantemente il numero degli insegnanti -- ha ottenuto il
sostegno del 70% della popolazione.

Forse il maggiore filo conduttore di questa forte ribellione globale è
il rigetto della logica delle "politiche straordinarie": la frase
coniata dal politico polacco Leszek Balcerowicz per descrivere come, nel
corso di una crisi, i politici possono ignorare le regole legislative e
precipitare verso "riforme" impopolari. Un trucco che ormai mostra le
corde, come ha scoperto di recente il governo sudcoreano. A dicembre il
partito al governo ha cercato di usare la crisi per introdurre un molto
controverso accordo di libero commercio con gli Stati Uniti. Spingendo
le politiche a porte chiuse verso nuovi estremi, i parlamentari si sono
chiusi a chiave nel palazzo così da potere votare in privato, barricando
le porte con scrivanie, sedie e divani.

I rappresentanti dell'opposizione, non arrendendosi, con martelli e
seghe elettriche hanno fatto irruzione e promosso un sit in di 12 giorni
in parlamento. Il voto è slittato, permettendo così un maggiore
dibattito: una vittoria per un nuovo tipo di "politiche straordinarie".

Qui in Canada la politica è marcatamente meno "stile YouTube", tuttavia
è stata sorprendentemente ricca di eventi. Ad ottobre il Partito
Conservatore ha vinto le elezioni nazionali su una piattaforma poco
ambiziosa. Sei settimane più tardi il nostro primo ministro
conservatore, trovato il suo ideologo interiore, presenta una manovra
che ha spogliato i lavoratori del settore pubblico del loro diritto di
sciopero, che ha cancellato il finanziamento pubblico dei partiti e che
non conteneva alcuno stimolo economico. I partiti di opposizione hanno
risposto formando una storica coalizione a cui fu impedito di prendere
il potere solo per una brusca sospensione del parlamento. I Conservatori
sono appena ritornati con un piano di budget rivisto: le politiche di
destra dapprima coltivate sono scomparse, ed ora il piano è infarcito di
stimoli economici.

Il modello è chiaro: i governi che rispondono alla crisi creata dalle
ideologie del libero mercato con un'accelerazione della stessa agenda
ormai screditata non sopravvivono se credono di ri-raccontare la favola.
Come gridavano gli studenti nelle piazze italiane: «Non pagheremo noi la
vostra crisi!»

traduzione di Paolo Maccioni per Megachip

Articolo originale:
http://www.thenation.com/doc/20090223/klein?rel=hp_currently
4 febbraio 2009
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Le pulci sognano di comprarsi un cane,
e i nessuno di smarrire la miseria:
sognano un giorno magico
che piova d'improvviso la fortuna,
che la fortuna piova a catinelle.
Ma la fortuna non piove mai,
né ieri, né oggi, né domani,
nemmeno a goccioline,
per tanto che la invochino i nessuno,
o gli pruda la mano sinistra,
o scendano il letto col piede destro,
o comincino l'anno nuovo rinnovando la scopa.
I nulla: figlio di nulla , padroni di nulla.
I nessuno: i niente, gli annientati, i senza fiato,
morti di vita, fottuti, fottutissimi.
Quelli che ci sono senza essere.
Che non parlano lingue, ma dialetti.
Che non professano religioni, ma superstizioni.
Che non fanno arte, ma artigianato.
Che non fanno cultura, ma un folklore.
Che non sono esseri umani, ma espedienti umani.
Braccia senza volto.
Numeri senza nome,
che non figurano nella storia universale,
ma nella cronaca nera della stampa locale.
I nessuno,
che costano meno della pallottola che li uccide.

Eduardo Galeano
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