Lampedusa - Dieci migranti tentano di suicidarsi
da lasiciliaweb.it del 7 gennaio 2009
Sono almeno dieci gli immigrati ricoverati la notte scorsa al
poliambulatorio di Lampedusa dopo avere ingoiato lamette e bulloni o
avere tentato il suicidio impiccandosi con i loro indumenti. Uno di loro
è stato trasferito d'urgenza a Palermo in nottata con l'eliambulanza del
118 a causa di profonde ferite alla trachea.
Gli extracomunitari protestano per l'imminente rimpatrio deciso dal
ministro, dell'Interno Roberto Maroni. Ieri sera un gruppo di tunisini
ha anche cominciato lo sciopero della fame. Nell'isola sta operando uno
staff del Viminale (due prefetti e diversi funzionari di polizia) per
monitorare la situazione.
"La situazione a Lampedusa è ormai insostenibile - dice il sindaco
dell'isola, Dino De Rubeis -: per questo motivo giovedì sarò a
Bruxelles, con una delegazione di amministratori, per incontrare il
commissario europeo alla Giustizia, sicurezza e libertà, Jacques Barrot".
Per De Rubeis "l'accanimento del governo nel volere trasformare il Cpa
in un Centro di identificazione ed espulsione sta portando questi
disperati alla morte. Noi vogliamo invece che all'interno della
struttura via siano pace e serenità e soprattutto che vengano garantiti
i diritti dell'uomo".
I problemi legati all'assistenza sanitaria dei tunisini che hanno
compiuto gesti di autolesionismo vengono sottolineati dall'assessore
comunale alla salute, Antonio Mirabella, che è anche un medico del
poliambulatorio: "Ci siamo trovati in emergenza - spiega -; il 118 ha
infatti trasferito in ospedale a Palermo solo uno dei feriti, che era in
pericolo di vita. Gli altri sono stati nuovamente accompagnati al
Centro, dove sono in osservazione in attesa di essere portati in un
ospedale per una gastroscopia e l'estrazione dei corpi estranei".
Grecia - Dove l'Italia respinge i richiedenti asilo
di Alessandra Sciurba
http://www.meltingpot.org/articolo13978.html
Arriviamo al campo la mattina e sembra che ci stiano aspettando. Hanno
ancora moltissime cose da dirci, da farci vedere. Un uomo è senza una
gamba e in una mano sono rimaste solo due dita e un pezzetto. A molti
hanno strappato le unghie dei piedi. Succede in Afghanistan, a chi non
vuole fare la guerra dei talebani, che oggi sono più forti che mai,
oppure accade al confine tra l'Iran e la Turchia, dove alcune bande
curde fermano i migranti in transito. Ad un ragazzo afghano di ventitre
anni è nato un figlio proprio in Iran, otto mesi fa.
"tutti pensano che ho più di trent'anni, mi dice. Perché nella vita sono
stato schiacciato dalla violenza". Tira fuori pezzetto per pezzetto
quello che era il suo documento di espulsione dalla Grecia. mentre cerca
di ricomporlo dice che anche lui si sente come quel pezzo di carta.
Alì ha dodici anni. Al confine tra Iran e Turchia hanno rapito suo
fratello maggiore. Lui invece in Turchia ci è arrivato, e ha lavorato
per mesi come piccolo schiavo nella casa dei contrabbandieri. Con altri
due ragazzini ha tentato anche lui la strada che da Patrasso porta
all'Italia. È stato respinto da Ancona quando la polizia lo ha trovato
dentro il camion in cui si era nascosto. Alì piangeva ma non diceva
niente perché al suo amico che urlava di essere minorenne e che in
Grecia, al campo, non ci voleva tornare, avevano già dato un pugno sullo
sterno. Alì è alto un metro e cinquanta, è un bambino.
Samir invece ha perso una falange della mano destra. Quel che resta del
dito è rattoppato alla meno peggio. I grumi di sangue sono ancora
freschi. Panos, un ragazzo greco dell'associazione Kinisi che sta
aiutando la nostra delegazione, ci racconta di averlo accompagnato in
questura, di avere cercato di fare denuncia, di averlo aiutato anche a
rilasciare un'intervista in televisione. Ma non è servito a niente.
Dicono che è troppo difficile identificare il poliziotto greco che al
porto di Patrasso gli ha fatto saltare il dito a colpi di manganello.
Samir, però, lo descrive nei minimi dettagli.
I cellulari degli afghani sono pieni di immagini di sangue. Fanno paura
le foto della gente picchiata dalla polizia greca. I commandos, li
chiamano loro, perché hanno le tute militari e i manganelli sempre spianati.
Tutta la giornata va via così. Ferite e moncherini. Storie di violenza
mai punita che si assomiglia tutta, dall'Afghanistan all'Italia passando
per Patrasso.
Anche i poliziotti italiani picchiano, a sentire le voci dei ragazzi del
campo. E te lo dicono come fosse una cosa normale. Non sono pagati per
questo?
Scopriamo molte cose, in queste giornate, le storie che ci raccontano
compongono un puzzle sempre più nitido. La prima tappa della fuga è
l'Iran, dove gli afghani hanno anche cercato di rimanere per molti anni.
Da qualche mese, però, la polizia iraniana ha iniziato dei
rastrellamenti per trovarli e rimpatriarli, e in massa sono dovuti
fuggire. Moltissimi, rimandati indietro, sono andati incontro alla
morte. La seconda tappa è la Turchia, quasi sempre Istanbul, dove i
contrabbandieri nascondono i profughi per settimane dentro case
sottoterra. Se la polizia turca trova gli afghani li rimanda
direttamente in patria. La terza tappa è il nord della Turchia, sulla
costa di fronte alla Grecia. Lì sta una striscia di mare dove la polizia
turca e quella greca giocano a rimandarsi a vicenda le piccole barche
che tentano di attraversarla. Non di rado, come succede nel
Mediterraneo, qualcuno si tuffa tra le onde per sfuggire i controlli e
muore annegato sotto gli occhi dei suoi compagni di viaggio.
Questo tragitto costa svariate migliaia di dollari. Chi non può pagare
subisce ogni forma di violenza.
Solo dopo avere oltrepassato tutte queste frontiere, quindi, si arriva
in Grecia, consapevoli che non è neppure quello un luogo dove potersi
fermare e trovare un po' di pace. A Mitilene, dove sbarcano la maggior
parte dei profughi provenienti dalla Turchia c'è un centro di detenzione
che tutti qui dipingono come un girone dell'inferno. Molte isole greche
ne hanno uno e le descrizioni sono quasi identiche. In questi centri
stanno centinaia di persone con un solo bagno rotto. Tutti raccontano di
essere stati picchiati quotidianamente dalla polizia mentre erano in
fila per un pezzo di pane o cercavano di distrarsi parlando tra loro.
Anche il piccolo Alì è passato in uno di questi centri, ed è stato
picchiato perché aveva caldo e ha cercato di aprire una finestra per
respirare. Qualcuno ci è rimasto un mese, qualcuno dodici giorni. Tutti,
alla fine, sono stati mandati per strada con l'espulsione in mano a
ingrossare le fila dei migranti irregolari che non hanno altra scelta
che restare tali. "Stessa faccia, stessa razza", si usa dire qui in
Grecia, non a caso, quando si parla dell'Italia.
Dopo il centro di detenzione si parte alla volta di Patrasso, senza un
soldo in tasca e nulla da mangiare. Qualcuno si ferma ad Atene e prova a
chiedere asilo in questura. Ottiene solo che scambino l'espulsione data
a Mitilene o in un'altra isola con una fresca di giornata degli uffici
della capitale. È successo anche ai bambini, anche agli uomini in
carrozzella, anche a quelli senza gambe.
Partire per l'Italia non è una scelta. È l'unica speranza. Del resto
queste persone rischiano la loro vita da quando sono nate. Nonostante
sia sempre più difficile continuano a provarci. Hanno sentito parlare
del centro per rifugiati del Comune di Venezia. Lo sognano. Un ragazzo
che adesso è al campo c'è anche stato per qualche mese. Ad un certo
punto però, la questura si è accorta che si trattava di un 'caso
Dublino' e lo ha rimandato in Grecia. Parla italiano, ci da una mano a
capire, ci chiede cosa possiamo fare per lui. Nel suo documento c'è
scritto che l'Italia riconosce la sua necessità di chiedere asilo
politico ma che la Grecia è il paese deputato a farlo. Quel documento
qui è carta straccia. Anche altri ne hanno uno identico in mano e
raccontano a chi non le ha mai viste le meraviglie dell'Italia che li ha
sbattuti fuori.
L'Italia dovrebbe sospendere la convenzione di Dublino quando si tratta
di rimandare richiedenti asilo in Grecia. Qui vengono picchiati, qui non
esiste l'asilo. Da qui vengono rispediti direttamente nel paese da cui
sono fuggiti per sopravvivere. Ma la maggior parte delle volte la
Convenzione di Dublino non c'entra nulla. I profughi che arrivano alle
frontiere dell'Adriatico vengono rimandati indietro senza nessuna base
giuridica. E infatti non hanno in mano nulla, come se loro non avessero
mai toccato il suolo di Venezia o di Ancona, come se non avessero mai
incontrato la polizia delle frontiere dell'Adriatico.
Scopriamo che quando le navi tornano dall'Italia con il loro carico di
profughi respinti a bordo, sanno benissimo che devono fermarsi prima a
Igoumenitsa per scaricare i curdi, mentre gli afghani devono arrivare
fino a Patrasso, dove la polizia greca avrà buona cura di loro.
Scopriamo che i migranti fanno il viaggio a ritroso chiusi dentro un
bagno della nave dove arrivano spesso con le mani legate dietro la
schiena, e che se battono contro i muri per avere cibo e acqua a volte
arriva qualcuno che li picchia con un bastone.
E quando tornano a Patrasso e vengono fatti sbarcare, a seconda
dell'umore della polizia greca vengono picchiati e lasciati liberi,
oppure sbattuti dentro un container di tre metri quadri al gate 6 del
porto, per giorni. Verso sera, quando andiamo via , il campo è un po'
più vuoto. Tanti sono già andati a provare il gioco di nascondersi sotto
i tir in attesa al porto. Rimangono comunque centinaia di persone mentre
alcune piccole luci si accendono e si alternano ai fuochi accesi per
scaldarsi o per cucinare.
Stamattina nel centro di Patrasso c'è stato un presidio
dell'associazione Kinisi per chiedere asilo per i profughi e un luogo
decente dove possano vivere. C'era poca gente. Non c'erano neppure gli
afghani perché non hanno più la forza di credere che le cose qui, per
loro, possano cambiare.
Secondo Report della delegazione della rete di associazioni veneziane
Tuttiidirittiumanipertutti
Vedi anche:
Ecco l'inferno di Patrasso <
http://www.meltingpot.org/articolo13977.html>
Primo Report della delegazione della rete di associazioni veneziane
Tuttiidirittiumanipertutti
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Le pulci sognano di comprarsi un cane,
e i nessuno di smarrire la miseria:
sognano un giorno magico
che piova d'improvviso la fortuna,
che la fortuna piova a catinelle.
Ma la fortuna non piove mai,
né ieri, né oggi, né domani,
nemmeno a goccioline,
per tanto che la invochino i nessuno,
o gli pruda la mano sinistra,
o scendano il letto col piede destro,
o comincino l'anno nuovo rinnovando la scopa.
I nulla: figlio di nulla , padroni di nulla.
I nessuno: i niente, gli annientati, i senza fiato,
morti di vita, fottuti, fottutissimi.
Quelli che ci sono senza essere.
Che non parlano lingue, ma dialetti.
Che non professano religioni, ma superstizioni.
Che non fanno arte, ma artigianato.
Che non fanno cultura, ma un folklore.
Che non sono esseri umani, ma espedienti umani.
Braccia senza volto.
Numeri senza nome,
che non figurano nella storia universale,
ma nella cronaca nera della stampa locale.
I nessuno,
che costano meno della pallottola che li uccide.
Eduardo Galeano
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