il manifesto 1.2.09
Ritorno AL FUTURO - APPUNTI PER PRENDERE DI NUOVO LA PAROLA
Oltre la sconfitta elettorale, la frammentazione, le scorciatoie politiche e la difesa identitaria. I promotori della manifestazione dell'11 ottobre 2008 lanciano il loro «manifesto» per far vivere la sinistra a partire dai contenuti. Un «luo111go» di confronto e azione che si misuri con la crisi economica e le sue drammatiche sfide nella società italiana
L'esplosione della crisi economica a livello mondiale conferma con drammatica evidenza i guasti e i danni del neoliberismo. La «globalizzazione» ha favorito le speculazioni, accentuato gli squilibri e le ingiustizie nel mondo ed all'interno dei singoli paesi. Stanno apparendo ormai chiari i limiti culturali di una concezione «sviluppista» che ha creato enormi disuguaglianze, costretto intere popolazioni a migrare, alterato l'equilibrio dell'ecosistema planetario. In Italia a una limitata capacità innovativa dell'apparato produttivo, con un capitale più rivolto alla finanza che agli investimenti, si sono sommate la crescita di disuguaglianze economiche e sociali, l'aumento della povertà, l'esplodere dei localismi, la crescita della precarietà, l'indebolimento dei diritti. Tutto ciò ha portato a una profonda crisi della politica, a rischi per la stessa tenuta democratica del Paese.
Per evitare che a pagare - come sempre - siano coloro che non hanno alcuna colpa, è necessario che la sinistra esca dalla afasia e recuperi una capacità di azione unitaria.
Noi che abbiamo dato vita alla manifestazione dell'11 ottobre con il convincimento che fosse necessario contribuire alla rimessa in moto di un'opposizione politica e sociale proponiamo questo documento, che non ha l'ambizione di offrire un'interpretazione della crisi, né vuole essere una piattaforma compiuta, ma rappresenta un contributo per aprire la discussione.
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A livello europeo la crisi finanziaria è giunta a contraddire l'orientamento monetarista della BCE e di gran parte dei Governi europei. Per questo vengono meno i vincoli del patto di Maastricht e il Parlamento Europeo ha bocciato la direttiva che allungava l'orario di lavoro. L'Ue può essere l'area del mondo dove portare avanti in una prospettiva di pace una riconversione delle produzioni e dei consumi, nuove politiche di welfare universalistiche in grado di dare valore al lavoro, al rapporto tra produzione e riproduzione della forza lavoro, alla salvaguardia dell'ambiente. E' necessario un piano internazionale per la stabilità monetaria per porre le basi per un nuovo ordine economico internazionale. Bisogna prevedere una sede in cui, sotto l'egida dell'Onu, i Paesi s'incontrino su un piano di parità per stabilire un nuovo sistema di cambi stabili, limitare se non impedire le speculazioni finanziarie, chiudere i paradisi fiscali, decidere forme di tassazione dei movimenti di capitale e di intermediazione finanziaria, i cui proventi potrebbero alimentare un fondo per la difesa dell'ambiente e del sud del mondo.
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La politica del governo italiano è caratterizzata da interventi socialmente discriminatori, sottrazione di risorse al Mezzogiorno, un piano di investimenti in grandi opere ambientamnete insostenibili e spesso inutili, con scarsi risultati occupazionali.
Ciò che manca in Italia è soprattutto una nuova politica industriale. Il solo aiuto alle banche non risolve il problema. In Italia in particolare si deve aggredire la crisi dal lato del lavoro (blocco dei licenziamenti, difesa dei salari e stabilizzazione dei rapporti di lavoro) e da quello della qualificazione del tessuto produttivo, puntando su settori tecnologicamente e socialmente innovativi, dando centralità alla questione della sostenibilità ambientale; affrontando la crisi di coesione del Paese che ha nel Mezzogiorno il suo punto cruciale.
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Le imprese stanno affrontando la crisi con un massiccio ricorso ai licenziamenti, cominciando dai più deboli: i lavoratori immigrati e i precari. Non c'è credibilità in nessun piano anti-crisi se non si assumono come condizioni: 1) il blocco dei licenziamenti e delle interruzioni dei rapporti di lavoro precari, in vista di una loro progressiva stabilizzazione; 2) la sospensione della Legge Bossi-Fini che in questo momento diverrebbe solo uno strumento di espulsione di extracomunitari licenziati; 3) l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutto il mercato del lavoro, comprendendovi ogni tipo di precariato, nel quadro di una politica sociale universalistica ispirata all'obiettivo della piena occupazione e tesa a realizzare misure generali di sostegno al reddito per inoccupati e disoccupati .
Sono tutte richieste poste a base dello sciopero generale proclamato dalla Cgil il 12 dicembre e rilanciate negli scioperi e nelle manifestazioni territoriali e nazionali, generali e di categoria, a partire dagli appuntamenti fissati dalla Fiom e dalla Fp-Cgil per il 13 febbraio. Sono gli stessi contenuti che saranno al centro delle altre iniziative della Cgil. Vanno attivate linee di accesso al credito sostenute e controllate dallo Stato e dalle Regioni per favorire le attività economiche create dai lavoratori che hanno perso il lavoro a seguito della chiusura delle loro aziende o di chi vuole costruirsi autonomamente un futuro in una fase di scarso assorbimento di manodopera.
Diventa urgente la definizione di un diverso e più favorevole regime fiscale per le «partite Iva» e le imprese fino a tre dipendenti. Serve un progetto di riforma dei mercati finanziari e del sistema bancario che stabilisca divieti precisi su prodotti finanziari rischiosi e offra garanzie per i risparmiatori. Il ricorso a Cig a rotazione, orari ridotti, contratti di solidarietà non deve contraddire la scelta di una netta e chiara inversione di tendenza nella distribuzione della ricchezza tra salari, profitti e rendite.
Contemporaneamente è necessario sviluppare un'iniziativa per un radicale cambiamento delle legislazione sul mercato del lavoro e sull'orario. Di fronte allo svuotamento della contrattazione collettiva e del diritto del lavoro, il ripetersi di accordi separati, il tentativo di collocare il sindacato in una dimensione cogestionale e neo-corporativa, si pone il problema urgente di regole democratiche che rendano vincolante il parere dei lavoratori e delle lavoratrici su piattaforme e accordi sindacali.
La ricetta del Presidente del consiglio che affida tutto alla ripresa dei consumi privati è inedaguata e destinata a perpetuare le ineguaglianze tra cittadini. Bisogna superare le politiche neo-liberiste di de-regolazione e rilanciare l'intervento pubblico in economia in un contesto di programmazione democratica, salvaguardare i beni e i servizi pubblici, attraverso l'ampliamento dell'iniziativa democratica dei cittadini, la riforma della politica e il rafforzamento delle reti di sicurezza sociale. Assumono importanza una serie di misure di giustizia fiscale come la tassazione delle rendite finanziarie, una maggiore progressività dell'imposizione per i redditi più alti e la restituzione del drenaggio fiscale, la lotta all'elusione ed all'evasione fiscale.
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Condizione per il cambiamento è il riconoscimento e l'utilizzo a pieno delle capacità e delle competenze formate dalla scuola, dall'università e dai centri di ricerca. L'altra faccia della perdita di efficienza del Paese è proprio l'impossibilità di entrare nel mercato del lavoro di tanti giovani, tra cui molte ragazze. La crisi della scuola e dell'università pregiudica la capacità di rispondere alle domande di mobilità sociale e di riconoscimento professionale che l'istruzione di massa attiva.
Alla base di una nuova idea di società sta la difesa e la qualificazione dello Stato sociale. Il governo, con il suo «Libro verde», ha proposto un arretramento delle tutele collettive per il lavoro; la privatizzazione dei servizi pubblici, la negazione dei diritti universali di cittadinanza e della soggettività delle donne.
Su questa base si sta preparando una nuova aggressione al sistema sanitario ed a quello previdenziale, di cui la proposta di innalzare l'età pensionabile delle donne è il primo avviso.
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Sulla base di questi orientamenti noi proponiamo quanto segue.
Un piano di riconversione per la sostenibilità ecologica dell'apparato produttivo - a cui finalizzare consistenti aiuti di Stato - e un piano alternativo per l'energia basato sul rifiuto della scelta disastrosa del nucleare.
Politiche economiche in grado di risolvere i problemi ambientali e quelli relativi al futuro industriale del paese può venire un contributo decisivo alla soluzione dei drammatici problemi sociali che la crisi sta producendo. La lotta per il lavoro deve collegarsi a un idea di politica industriale che metta al centro scelte di sistema, come nel caso dell'industria automobilistica e del rapporto tra mobilità collettiva e individuale.
Un programma di manutenzione delle strutture pubbliche (dagli edifici scolastici al recupero edilizio, dalle reti idriche alla rete stradale e ferroviaria «minore») e di messa in sicurezza del territorio (valorizzando le produzioni agricole locali oltre che la difesa delle risorse naturali, fermando l'ulteriore consumo di suolo).
Un programma per l'individuazione e valorizzazione sociale dei beni comuni in un ambito di gestione e fruizione collettiva (servizi acquedottistici, servizi alla mobilità, residenza popolare, beni demaniali, patrimonio artistico e paesaggistico, formazione permanente, ecc.) da sottrarre alle logiche del mercato.
Un piano di riqualificazione del lavoro pubblico, per migliorare i servizi, dando più spazio a figure professionali nuove, che contemporaneamente respinga l'attacco del governo contro i dipendenti pubblici e la loro funzione e contro il personale della scuola.
Un progetto per il rilancio di una economia autenticamente mutualistica, cooperativa, indivisa, partecipata, noprofit.
Un piano per un'economia declinata secondo una prospettiva di genere, a partire dal riconoscimento dei bisogni e dei desideri delle donne di autonomia economica e di presenza nel lavoro. Vanno ripristinate le condizioni volontarie e reversibili del part-time, la legge che tutela dal licenziamento le lavoratrici in caso di maternità, i fondi per i centri anti-violenza contro le donne. E' inoltre necessario uno specifico programma per la crescita dell'occupazione delle donne nelle aree meridionali e per ridurre la precarietà delle giovani .
Un progetto per l'innovazione, che sostenga la diffusione delle nuove tecnologie secondo modelli organizzativi concordati e partecipati, che valorizzino la qualità del lavoro, che superino il divario nel territorio, tra Nord e Sud, tra metropoli e piccoli centri urbani.
In questa crisi la sinistra deve porsi l'obiettivo di costituire il principale punto di riferimento del mondo del lavoro e di tutti coloro che sono esposti più di altri ai suoi effetti. La convergenza unitaria di tutte le forze di sinistra su proposte comuni è un primo passo. A questo bisogna far seguire la mobilitazione di tutte le energie intellettuali e sociali disponibili, di una vera e propria rete di forze e di competenze capaci di dar vita a un dialogo e a un confronto, basato sul rispetto delle reciproche autonomie, con il mondo sindacale che oggi stenta a trovare interlocutori politici all'altezza delle domande e dei bisogni di questa difficile fase della vita del Paese.
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