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Autor: ANDREA AGOSTINI
Data:  
A: forumgenova
Assumpte: [NuovoLab] tra le guerre di religione l'unico dio è la legalità
DA IL SECOLO XIX
Data        31-01-2009


Tra le guerre di religione l'unico dio è la legalità
MICHELE MARCHESIELLO

Le vicende della moschea e dei bus "atei" mostrano il dilagare dell'intolleranza in nome della religione
Se il senso diffuso della legalità si affievolisce, alla violenza si risponde con la violenza, in nome di un Dio falso

Riflettendo   sulle   due questioni    "religiose" che hanno polarizzato l'attenzione di questa città (la Moschea, i bus "atei"), è lecito temere che prima o poi anche le canzoni di John Lennon finiranno per essere messe al bando, a cominciare da "Imagine" ( "no religion too..."), e poi "God" ("Dio è un concetto con cui misuriamo le nostre pene") e addirittura "Give Peace a chance", dove il vero scandalo è la Pace, che non si cura di Imam, Rabbini, Vescovi e "Pop-eyes".
Aveva forse ragione, il grande Lennon, nell'additare la religione come uno dei principali ostacoli sulla strada della pace. Le reazioni alla questione della moschea e alla vicenda dei bus "atei" ( lo stesso farne una "questione"') testimoniano del dilagare dell'intolleranza in nome della religione, somministrata e assunta come antidoto alla paura: paura del troppo pieno (siamo sempre più costretti a contenderci spazio vitale e risorse ) e del troppo vuoto (il "vuoto di Dio" che affligge     l'uomo d'oggi).
Va di nuovo in scena quel conflitto di religioni (o "di religione", perché è proprio di una religione non ammetterne altre) che ha insanguinato l'Europa tra il 16° e il 17° secolo, ed è tornato a farlo negli anni '90 del secolo scorso, in Jugoslavia: lo stesso che anima il terrorismo e i più truci conflitti armati di questo inizio di millennio.
La paura domina la condizione dell'uomo e si traduce nell'insofferenza, nell'odio verso il vicino. Non siamo più soccorrevoli né capaci di pietà o simpatia. Il sentimento religioso, vissuto ciecamente e con spirito di massa, torna a essere veicolo di odio e intolleranza. Una religione (nel senso etimologico) può legare tra loro gli adepti, ma può anche dividerli fatalmente dagli altri, i "non eletti". Ogni disegno o delirio totalitario ha sfruttato questo strumento.
Quali rimedi si possono opporre a questa tentazione ?
Lo Stato moderno - nella sua forma "assoluta" come in quella liberal-democrática- è stato la risposta principale all'esigenza di assicurare la pace: quella sociale e quella civile ("...give peace a chance").
In una democrazia liberale lo Stato persegue questo obiettivo attraverso due strumenti - sintetizzati nella parola "legalità": la Costituzione e la separazione dei poteri.
Intesa in questo senso, la legalità non è popolare nel nostro paese. Non dà ragione all'uno piuttosto       che all'altro, non è "dalla nostra parte", se non accidentalmente, ma impedisce che la diversità degeneri in un conflitto (come accade quando si vuol negare a una minoranza religiosa il luogo e la stessa lingua del culto, quando è impedita la libera espressione del proprio pensiero, e quando si pretende di imporre un Dio, o l'assenza di Dio, indifferenti alla consolazione che il credente trae dalla sua fede).
Se il senso diffuso della legalità si
affievolisce, alla violenza si risponde con la violenza, in nome di un Dio falso o falsificato.
In Italia - ogni giorno e ovunque - va in scena lo scontro, lo spettacolo indecoroso di una battaglia tra animali allevati alla ferocia. Ma lo spettacolo ci coinvolge, rendendoci tutti responsabili di quella comune ferocia. La mansuetudine - e la "mitezza" del diritto - sono virtù disprezzate.
Come la legalità, anche i suoi capisaldi non riscuotono oggi grande consenso.
La Costituzione è considerata alla stregua di una legge ordinaria, sempre più negoziabile e adattabile al momento. Quelli che Zagrebelsky ha chiamato i "diritti su cui non si vota", i diritti fondamentali, sono minacciati dalla crescente dittatura di una pseudo-maggioranza che indossa la maschera del consenso mediático.
Anche la separazione dei poteri, l'altro caposaldo della legalità, è diventata una lotta senza quartiere per la supremazia. Altro che anglosassoni "checks and balances", altro che equilibrio, rispetto e collaborazione tra poteri! L'esecutivo ha preso in ostaggio il legislativo e cerca ora di completare l'opera fagocitando il giudiziario, negandone addirittura la natura di autentico potere costituzionale, per trasformarlo in un obbediente ramo della pubblica amministrazione, blandito o minacciato a seconda delle situazioni.
Un potere "nullo" non - come dovrebbe essere -rispetto alla legge, ma rispetto al nuovo sovrano, il
dèspota della comunicazione.
Viene meno, con l'indipendenza della magistratura, la sola difesa del cittadino contro lo strapotere di uno Stato claudicante.
Con la crisi della legalità si spiegano una infinità di "casi" nazionali e genovesi, in preoccupante sintonia: il tragico "caso" Englaro, ma anche quello della moschea (che ne è dellalibertà di culto e di riunione?) sino aquello - minimo manonirri-levante - dei bus "atei": un peccato veniale contro il buongusto e la sensibilità, anche quelli dei non credenti.
La legalità cerca di far sentire la sua voce, ma viene trattata come un importuno, uno che non è stato invitato alla festa ma, non potendo es-
serne allontanato con metodi sbrigativi, condannato all'irrilevanza. La legalità non è mai di parte.
Meglio allora costringerla a esserlo, utilizzandola per; rivestire il "particulare"con l'abito irreprensibile della legge, nascondendo tra le pieghe di
quell'abito le ingiustizie che si consumano ai danni delle cosiddette minoranze.
Solo "cosiddette", a questo punto, perché non
le si considera in termini numerici o quantitativi, ma le si identifica, più drasticamente, con i tanti, gli innumerevoli "senza potere" .
Esiste per fortuna un'altra religione ( quella del Vescovo di Kabul, per intenderci) che predilige i "senza potere": una religione che non ha paura dello scandalo né della perdita di consenso. Essa cerca di dare voce alla legalità laica dello Stato, in cui vede l'alleato più prezioso, invece di erigersene a improprio censore.
Se l'affermazione dei diritti fondamentali diventa scandalosa, sarà allora un obbligo per tutti - credenti o no - aderire a questa nuova religione.