[Forumumbri] Il 27 gennaio, giorno della memoria...genocidio…

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Aihe: [Forumumbri] Il 27 gennaio, giorno della memoria...genocidio in palestina





Il 27 gennaio è il giorno della memoria. Ricordare è importante, perchè consente anche di fare dei confronti...
Vi giro questa mail che mi è arrivata da un compagno e amico attraverso la lista del Coordinamento milanese contro la guerra.
Non credo sia necessario aggiungere molte parole o tradurre le didascalie. Spero aiuti a far riflettere e a cercare, al di là della propaganda, le vere ragioni del massacro in corso.
Non sarebbe male, credo, che stampe di queste “coppie di foto” siano esposte in ogni scuola, in ogni posto di lavoro, in ogni posto di aggregazione. Lo so che c’è il solito rischio: “siete antisemiti” ci verrà detto.
Potremmo aggiungere alle foto, a interpretazione inequivocabile del loro significato, la lettera all’ambasciatore di Israele di un vecchio ebreo di 86 anni scampato allo sterminio nazista (la allego in fondo). Antisemita anche questo vecchio combattente antifascista?
O potremmo riportare alcune parole di ebrei che hanno avuto il coraggio di documentare come stanno le cose o di esprimere opinioni controcorrente; o addirittura di rifiutare di imbracciare le armi (allego in fondo anche le parole di costoro). Antisemiti anche tutti loro?
( Tiziano Bagarolo )
 
 
THE GRANDCHILDREN OF HOLOCAUST SURVIVORS FROM WORLD WAR II ARE DOING TO THE PALESTINIANS EXACTLY WHAT WAS DONE TO THEM BY NAZI  GERMANY … …PLEASE FORWARD… BUILDING WALLS & FENCES TO KEEP PEOPLE IN PRISONS CHECK POINTS NOT TO ALLOW PEOPLE BASIC FREEDOM OF MOVEMENT ARRESTS & HARASSMENTS DESTROYING HOMES & LIVELIHOODS GIFTS (WITH LOVE) FROM THE CHILDREN OF PEACE-LOVING & CIVILIZED COUNTRIES THE CLASSIC PROPAGANDA MACHINE - YOU WILL FIND THE PICTURE IN BLACK & WHITE IN ALL AMERICAN AND SOME OTHER WESTERN COUNTRIES HISTORY BOOKS, ENCYCLOPAEDIAS, LIBRARIES, MUSEUMS… THAT DEPICTS A YOUNG JEWISH BOY WITH HIS HANDS UP WHILE NAZI TROOPS POINT THEIR GUNS AT HIM AND HIS FAMILY IN ORDER TO EXPEL THEM FROM THEIR HOMES… (IT'S SUPPOSED TO MAKE YOU SYMPATHIZE WITH THE VICTIMS & TO SUPPORT THEIR CAUSE FOR JUSTICE & A HOMELAND) THE ISRAELIS PRACTICE THE SAME TACTICS …PLEASE FORWARD…

 
Lettera del prof. André Nouschi all'ambasciatore di Israele
Il professor André Nouschi, 86 anni, ebreo nato a Constantine, storico di fama mondiale, Professore onorario all'Università di Nizza, ha inviato questa lettera all'ambasciatore di Israele a Parigi.

Signor Ambasciatore,
Per lei oggi è shabbat, dovrebbe essere un giorno di pace ma è un giorno di guerra. Per me, da molti anni, la colonizzazione e il furto israeliano delle terre palestinesi mi esaspera. Le scrivo dunque a diversi titoli: come francese, come ebreo per nascita e come autore degli accordi tra l'Università di Nizza e quella di Haifa.
Non si può più tacere davanti alla politica di assassinii e di espansione imperialista di Israele. Vi comportate esattamente come Hitler si è comportato in Europa con l'Austria, la Cecoslovacchia. Disprezzate le risoluzioni dell'ONU come quelle della Società delle Nazioni ed assassinate impunemente donne, bambini. Non invocate gli attentati, l'Intifada. Tutto questo è conseguenza della colonizzazione ILLEGITTIMA e ILLEGALE. CHE É UN FURTO.
Vi comportate come ladroni di terre e voltate la schiena alla morale ebraica. Vergogna a voi! Vergogna a Israele! Scavate la vostra tomba senza rendervene conto.
Perché siete condannati a vivere con i palestinesi e con gli stati arabi. Se vi manca questa intelligenza politica, allora non siete degni di far politica e i vostri dirigenti dovrebbero andare in pensione. Un paese che assassina Rabin, che glorifica il suo assassino, è un paese senza morale e senza onore. Che il cielo e il vostro Dio condanni a morte Sharon, l'assassino.
Avete subito una disfatta in Libano nel 2006.
Ne subirete altre, spero, e manderete a morire giovani israeliani perché non avete il coraggio di fare la pace.
Come gli ebrei che hanno sofferto tanto possono imitare i loro boia hitleriani? Per me, dal 1975, la colonizzazione mi trae a mente vecchi ricordi, quelli dell'hitlerismo.
Non vedo nessuna differenza tra i vostri dirigenti e quelli della Germania nazista.
Personalmente, vi combatterò con tutte le mie forze come l'ho fatto tra il 1938 e il 1945, fino a quando la giustizia degli uomini distrugga l'hitlerismo che sta nel cuore del vostro paese. Vergogna, Israele. Spero che il vostro Dio scaglierà contro i suoi dirigenti la vendetta che si meritano. Come ebreo, come ex-combattente della Seconda Guerra mondiale, sento vergogna per voi. Che Dio vi maledica fino alla fine dei secoli! Spero che sarete puniti."

André Nouschi, professore onorario all'Università.

Fonte: il quotidiano algerino " Le Matin DZ " http://www.lematindz.net/news/2332-le-professeur andre-nouschi-ecrit-a-lambassadeur-disrael-a-paris.html

La profezia di Einstein nel 1938: “Sono contrario a uno Stato ebraico in Palestina perché...”
"Just one more personal word on the question of partition. I should much rather see reasonable agreement with the Arabs on the basis of living together in peace than the creation of a Jewish state. Apart from practical consideration, my awareness of the essential nature of Judaism resists the idea of a Jewish state with borders, an army, and a measure of temporal power no matter how modest. I am afraid of the inner damage Judaism will sustain - especially from the development of a narrow nationalism within our own ranks, against which we have already had to fight strongly, even without a Jewish state. We are no longer the Jews of the Maccabee period. A return to a nation in the political sense of the world would be equivalent to turning away from the spiritualization of our community which we owe to the genius of the prophets."
 
Tanya Reinhart: “Israele ha offerto ai palestinesi di Gaza una sola alternativa: accettare la prigione o morire”
Tanya Reinhart, ebrea israeliana, già docente all’Università di Tel Aviv e Utrecht, ha pubblicato qualche anno fa un libro (“Distruggere la Palestina”) in cui analizzava la politica di Israele dagli accordi di Oslo (1993) in poi. Nel libro si esamina con lucidità il modo in cui il governo israeliano ha tradito le speranze di pace dei due popoli, quello israeliano e quello palestinese, realizzando in realtà una forma più sofisticata di occupazione e persecuzione. Tanya Reinhart preannunciava già sette anni fa quello che sarebbe accaduto nelle scorse settimane a Gaza: “Israele ha offerto ai palestinesi di Gaza una sola alternativa: accettare la prigione o morire”. Qui sotto alcuni brevi stralci dal suo libro.
Lo Stato di Israele fu fondato nel 1948, dopo la guerra che gli israeliani chiamano d’Indipendenza e i palestinesi Naqba, la catastrofe. Un popolo vessato e perseguitato tentò di trovare rifugio in uno stato indipendente e ci riuscì a danno di un altro popolo. Durante la guerra del 1948, l’esercito italiano cacciò dalla sua terra oltre la metà della popolazione palestinese che all’epoca era composta da 1 380 000 individui e, nonostante fonti ufficiali affermassero che per la maggior parte si trattava di persone fuggite e non espulse, Israele si rifiutò di concedere l’autorizzazione al loro rientro, come imponeva una risoluzione approvata dall’ONU al termine del conflitto. La Terra di Israele fu dunque conquistata grazie a un’operazione di pulizia etnica, l’allontanamento di chi vi risiedeva, i palestinesi. …
Sharon, oggi [nel 2002], primo ministro di Israele, descrive l’attuale guerra contro i palestinesi come “la seconda metà di quella del 1948” e, a questo proposito, va ricordato che gli alti gradi militari israeliani avevano usato la stessa espressione nell’ottobre 2000, all’inizio della seconda Intifada, l’insurrezione palestinese ancora in atto. Ormai restano pochi dubbi, l’analogia significa che nel 1948 l’operazione di pulizia etnica era rimasta a metà e aveva lasciato troppe terre ai palestinesi. Benché la maggioranza degli israeliani sia stanca della guerra e dell’occupazione, la leadership politica e militare è spinta dall’avidità di terra, di risorse idriche e di potere. Da questo punto di vista, la guerra del 1948 rappresentò solo il primo passo di una strategia più ambiziosa e di vasta portata. …
Forse Israele ha intenzione di concedere in futuro ai palestinesi  il permesso di chiamare la loro prigione “stato palestinese”, ma la dinamica complessiva della dominazione israeliana non cambierebbe. Se i prigionieri  cercano di ribellarsi, come sta avvenendo ora, le strade interne vengono chiuse e l’area divisa in piccole unità carcerarie circondate dai carri armati israeliani. I palestinesi possono essere bombardati dal cielo senza la possibilità di cercare riparo altrove. I rifornimenti alimentari, l’elettricità e il combustibile sono sotto il controllo israeliano e possono essere bloccati in qualsiasi momento dalle guardie carcerarie. Israele ha offerto ai palestinesi di Gaza una sola alternativa: accettare la prigione o morire.
Estratti da: Tanya Reinhart, “Distruggere la Palestina. La politica israeliana dopo il 1948” , Il Saggiatore, 2004 (pp. 9, 10, 20-21).
 
Ilan Pappe, storico ebreo e israeliano (oggi in esilio): “La minaccia è tuttora incombente e la sua fonte è il sionismo…”
Ilan Pappe, è nato ad Haifa nel 1954 da ebrei sfuggiti alle persecuzioni naziste. Storico presso l’università di Haifa, nel 2005 ha sostenuto il boicottaggio di Israele e per questo è stato costretto ad emigrare. Oggi insegna all’università di Exeter (Gran Bretagna). Nel 2006 ha pubblicato il libro “La pulizia etnica della Palestina”. Qui sotto alcuni brevi estratti dall’Epilogo.
L’ideologia che reso possibile spopolare la Palestina di metà della popolazione nativa nel 1948 è ancora operante e continua a guidare l’inesorabie, talora impercettibile pulizia etnica nei confronti dei palestinesi che oggi vivono lì.
E’ tuttora un’ideologia potente, non solo perché le fasi precedenti della pulizia etnica della Palestina sono passate inosservate, ma soprattutto perché, con l’andar del tempo, la dissimulazione sionista delle parole è stata molto abile nell’inventare un linguaggio nuovo che ha mascherato il devastante impatto delle sue pratiche. Comincia con ovvi eufemismi quali “ritiro” e “rilocazione” per camuffare ampie dislocazioni di palestinesi dalla Striscia di Gaza a e dalla Cisgiordania che sono in corso dal 2000. Continua con il termine “occupazione” per descrivere la vera e propria legge militare israeliana vigente all’interno della Palestina storica, oggi più o meno il 15%, mentre presenta il resto del territorio come “liberato”, “libero” o “indipendente”. E’ vero, oggi la maggior parte della Palestina non è sotto occupazione militare, parte di essa è in condizioni molto peggiori. Consideriamo ad esempio la Striscia
di Gaza dopo il ritiro, dove neppure gli avvocati che si occupano di diritti umani possono proteggere gli abitanti, poiché essi non sono più tutelati dalle convenzioni internazionali relative all’occupazione militare. Una parte della popolazione gode di condizioni apparentemente migliori all’interno dello Stato di Israele; molto meglio per loro se sono cittadini ebrei, un po’ meglio se sono cittadini palestinesi di Israele. Meglio, per questi ultimi, se non risiedono nell’area della Grande Gerusalemme, dove negli ultimi sei anni la politica di Israele è stata quella di trasferirgli nella parte occupata o nelle aree, senza legge né autorità, della Striscia di Gaza e della Cisgiordania create dai disastrosi accordi di Oslo degli anni Novanta.
Molti palestinesi non sono sotto occupazione, ma nessuno di loro, compresi quelli che vivono nei campi profughi, sono esenti dal potenziale pericolo di una prossima pulizia etnica. Sembra si tratti più di una questione di priorità israeliane che non di una graduatoria tra palestinesi “fortunati” e “meno fortunati”. Quelli che risiedono nell’area della Grande Gerusalemme stanno subendo la pulizia etnica mentre questo libro va in stampa. E’ probabile che poi toccherà a coloro che abitano nelle vicinanze del Muro dell’apartheid che Israele sta costruendo e che in questo momento è completato per metà. Anche quelli che vivono nell’illusione di una maggiore sicurezza, i palestinesi di Israele, potrebbero essere coinvolti prossimamente, se è vero che, secondo un recente sondaggio, il 68 per cento degli ebrei israeliani ha espresso il desiderio che essi siano trasferiti.
Né i palestinesi né gli ebrei saranno in salvo gli uni dagli altri o da se stessi, se non sarà correttamente identificata l’ideologia che tuttora guida la politica israeliana nei confronti dei palestinesi. Il problema di Israele non è mai stato il giudaismo: il giudaismo presenta svariate facce e molte di queste forniscono una solida base per la pace e la coabitazione; il problema è la natura etnica del sionismo. Il sionismo non ha gli stessi margini di pluralismo che offre il giudaismo, meno che mai per i palestinesi. Essi non potranno mai essere parte dello Stato e dello spazio sionista e continueranno a lottare, e c’è da sperare che la loro lotta sia pacifica e coronata da successo. In caso contrario sarà disperata e desiderosa di vendetta e, come un turbine, si porterà via tutto in una perpetua tempesta di sabbia di enormi dimensioni che infurierà non soltanto nel mondo arabo e in quello islamico, ma anche in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti, le potenze che, a turno, alimentano la tempesta che minaccia di condurci alla rovina.
Gli attacchi di Israele contro Gaza e il Libano nell’estate del 2006 stanno a indicare che la tempesta sta già infuriando. Organizzazioni come Hezbollah e Hamas, che osano contestare il diritto di Israele di imporre unilateralmente la propria volontà alla Palestina, hanno contrastato la potenza militare israeliana e per il momento per il momento (mentre scrivo) riescono a resistere all’assalto. Ma è tutt’altro che finita. In futuro potrebbero essere presi di mira i paesi che nella regione sostengono questi due movimenti di resistenza: Iran e Siria; il pericolo di un confltto ancor più devastante e di un bagno di sangue non è mai stato così grave.
Da Ilan Pappe, “La pulizia etnica della Palestina”, Fazi Editore, 2008 (pp. 308-310).
 
Ebrei di New York contro l'occupazione e la guerra di Israele
Appello degli ebrei per l'immediata fine della guerra di Israele a Gaza, iniziativa a sostegno dei palestinesi.
Venerdì mattina 16 gennaio, membri dell'organizzazione "Ebrei contro l'occupazione" di New York hanno esposto un grande striscione presso la West Side Highway di New York, recante la scritta "Mettere fine alla guerra di Israele contro Gaza, ORA!" Lo striscione è stato visto da migliaia di pendolari durante l'ora di punta. "Ci solleviamo in nome della giustizia", ha detto Niuta Teitelboim, uno degli attivisti dell’organizzazione. “Troppi hanno approvato una guerra che ha coinvolto Israele in una continua serie di crimini di guerra: le uccisioni di massa dei bambini e delle famiglie in una scuola delle Nazioni Unite designata come luoghi di rifugio, ospedali e ambulanze divenuti obiettivi colpiti da bombe e il fuoco di artiglieria, e più recentemente la distruzione di prodotti alimentari e forniture mediche di aiuto in una struttura delle Nazioni Unite ". Uno striscione è stato esposto presso l'U.S.S. Intrepid per evidenziare il ruolo degli Stati
Uniti di sostegno a Israele nella guerra e nei massacri in corso: "Medici, autisti di ambulanza, bambini palestinesi sono stati uccisi dalle bombe pagate con il denaro dei contribuenti statunitensi, lanciate da aerei pagati con i soldi degli aiuti statunitensi dati ad Israele. Il governo d’Israele non avrebbe potuto mantenere uno degli eserciti più grandi del mondo senza il flusso costante di denaro che arriva dagli Stati Uniti", afferma R. Rosenthal, un altro attivista dell’organizzazione. "Ciò significa che tutti noi siamo coinvolti in questa guerra sanguinosa. Di certo ci sono usi migliori dei 3 miliardi di dollari all’anno dati al governo israeliano per commettere crimini di guerra."
Nel corso della settimana passata, in tutto il Nord America e in Europa si sono svolte numerose manifestazioni di ebrei contrari alla guerra, all’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e di Gerusalemme Est e per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Gruppi ebraici hanno organizzato sit-in presso i consolati israeliani a Toronto, Los Angeles e San Francisco; hanno partecipato attivamente a molte manifestazioni chiedendo che si ponga immediatamente fine al i bombardamenti e all'invasione di Gaza e hanno aderito alla campagna mondiale per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele fino a quando i diritti dei palestinesi non siano rispettati. "La nostra azione è un piccolo contributo al crescente movimento di solidarietà con i palestinesi di Gaza sottoposti ai bombardamenti e alle granate dell'esercito israeliano," ha aggiunto Sholom Schwartzbard. "Sappiamo dalla nostra storia che cosa significhi essere
sigillato dietro un filo spinato. Per noi 'Never Again' significa, semplicemente, e per chiunque e ovunque: MAI PIU'” .
Fonte: indymedia ny


Contro la guerra a Gaza, scendono in campo anche i soldati israeliani di Courage to Refuse
(dal sito web Peacereport)
"Non possiamo restare in disparte mentre centinaia di civili vengono macellati dall'Idf (l'esercito israeliano). In questo momento la cosa più pericolosa è la falsa speranza che questo tipo di violenza possa portare sicurezza a Israele. Invitiamo i dunque soldati a rifiutarsi di partecipare alla campagna di Gaza". Queste parole segnano il ritorno dei refusenik, i soldati israeliani di Courage to Refuse, che si oppongono alla politica di oppressione militare del loro governo ai danni della popolazione palestinese.

Fondata nel 2002. l 'organizzazione era rimasta inattiva per almeno tre anni, ma i recenti eventi nella Striscia hanno spinto i suoi animatori a riprendere le iniziative pubbliche, manifestando questa settimana insieme ai pacifisti israeliani. Lo scorso 8 gennaio gli attivisti di Courage to Refuse si sono radunati davanti al ministero della Difesa, insieme a quelli di Gush Shalom, Peace Now, Taayush e altri gruppi dei cosiddetti pacifisti radicali israeliani. Ex soldati e pacifisti oggi manifestano assieme, per chiedere la fine della politica fatta con le armi e per dare un segnale alla società israeliana, che pare oggi compatta a favore del massacro di Gaza. "Dobbiamo contenere la nostra rabbia" dicono gli obiettori israeliani, che spiegano come, per rivolgersi ai militari chiedendo loro di non obbedire agli ordini, sia necessario usare un vocabolario diverso da quello del campo pacifista in senso stretto. "Evitiamo di definire 'assassino' il ministro
della Difesa e 'organizzazione terrorista' l'Idf (anche se in questo momento sembrano definizioni corrette)". Gli slogan degli ex soldati, invece, puntano altrove: "Vendetta non è sicurezza", "No all'uccisione di civili a Gaza e Sderot", "La distruzione di Gaza produce terrore" era scritto sui loro striscioni. Oggi però queste differenze non contano, l'importante, spiegano, è "contrastare l'atmosfera guerrafondaia che prevale nei media e nel sistema politico israeliani".


"Quest'ultima è stata una delle peggiori settimane nella storia del conflitto israelo-palestinese" dice a peaceReporter Arik Diamant, uno dei fondatori del moviento dei refusenik. "Centiniaia di civili uccisi, così tante vittime tra i bambini ... questo è troppo anche per una terra sanguinosa come questa. Non ci aspettavamo un simile sviluppo della crisi, e ne siamo rimasti sconvolti. Così, dopo tre anni di inattività abbiamo deciso di riprendere le attività per dire 'smettete!'. Ci siamo resi conto che nel discorso pubblico sugli eventi di Gaza mancava una voce. Ci sono state diverse proteste contro la guerra, ma la nostra è particolare perchè viene dall'interno dell'esercito".

Con l'inizio delle operazioni militari, molti soldati della riserva sono stati richiamati in servizio, tra loro anche alcuni attivisti di Courage to Refuse, che hanno subito rifiutato la chiamata. Normalmente un simile rifiuto comporta l'arrtesto, un processso e la carcerazione, ma in questo caso pare che gli ordini di arresto non siano ancora partiti. "Al momento - spiega ancora Diamant - sappiano di sette soldati che una settimana fa hanno rifiutato la chiamata, e da allora attendono di essere processati. Solo che non è successo nulla. Credo che lo scopo dell'Idf sia lasciare correre, per evitare che i media possano dare risalto alla storia. Forse li processeranno a guerra finita, ma non credo".
Come coordinate le vostre azioni e il tono della vostra protesta con gli altri movimenti pacifisti israeliani?
"Abbiamo già fatto due manifestazioni con loro e abbiamo anche organizzato degli incontri pubblici assieme. Credo che non ci sia differenza tra noi e loro. Tutto ciò che ci distingue dai cosiddetti pacifisti radicali è il fatto che noi siamo stati soldati e pensavamo che fosse una cosa buona. Usiamo un linguaggio pù soft perché conosciamo bene le dinamiche delle forze aramate e la situazione in cui si trovano i soldati prima di rifiutarsi di obbedire".


La maggioranza della popolazione israeliana non accetta di dialogare non i pacifisti, è più semplice per voi?
"Questa è l'unica ragione per cui esistiamo e abbiamo deciso di riprendere le attività. Non perché non crediamo nei metodi dei pacifisti, ma perché ci rendiamo contro che sono inefficaci se ci si rivolge al grande pubblico. Il pubblico israeliano ha bisogno di ascoltare qualcuno che non sia totalmente contrario alla guerra, qualcuno che sia stato un soldato e sappia cosa significa fare il proprio dovere in difesa del proprio paese... anche se quelle stesse persone pensano che l'attuale offensiva sia un'azione criminale. Il nostro ruolo è strategico e consiste nel prendere il discorso dei pacifisti e tradurlo in modo che il grande pubblico lo possa consumare".

Come giudichi la copertura dei media israeliani sulla guerra e sulle proteste contro la guerra?
"Molto male. L'atteggiamenti dei media rispetto alle manifestazioni contro la guerra è molto ostile, le proteste vengono presentate come esternazioni marginali organizzate da traditori. In generale si può certamente dire che i media presentano la linea dell'esercito e hanno un pregiudizio nei confronti dei refusenik e degli attivisti contro la guerra. Questa situazione, però, sta lentamente cambiando. Ad esempio, durante la prima settimana a protestare erano pacifisti, comunisti e anarchici, dunque le notizie su di loro sono state accantonate. Ma una settimana dopo alle proteste hanno partecipato anche ex soldati, allora anche la stampa ha iniziato a dare più spazio al movimento. É difficile, ma poco alla volta le ragioni di chi si oppone a questa guerra stanno guadagnando spazio e attenzione".

…PLEASE FORWARD…