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De Magistris: E’ il momento di resistere e di lottare
L’altro giorno, in uno dei tanti viaggi tra Napoli e Catanzaro,
ascoltavo la bellissima canzone di Francesco De Gregori e mi venivano
in mente frammenti di storia scritti da magistrati della Repubblica
italiana.
Pensavo al coraggio del Procuratore della Repubblica di Palermo,
Gaetano Costa, che, da solo, si assunse la responsabilità di firmare
degli ordini di cattura, al coraggio di Rosario Livatino ed Antonino
Scopelliti che non piegarono la testa e decisero di esercitare il loro
ruolo con rigore ed indipendenza, a quello di Paolo Borsellino che
consapevole di quello che stava accadendo ai suoi danni cercava di
fare presto per giungere alla verità e per comprendere anche le
ragioni della morte di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta.
Pensavo a quanta mafia istituzionale accompagna tanti eccidi accaduti
negli ultimi trent’anni.
Pensavo a quello che sta accadendo in questi mesi in cui si
consolidano nuove forme di “eliminazione” di magistrati che non si
omologano al sistema criminale di gestione illegale del potere e che
pretendono, con irriverente ostinazione, di adempiere a quel
giuramento solenne prestato sui principi ed i precetti della
Costituzione Repubblicana, nata dalla resistenza al fascismo.
Pensavo a quello che possono fare i singoli magistrati oggi per
opporsi ad una deriva autoritaria che ha già modificato di fatto
l’assetto costituzionale di questo Paese.
Pensavo a quello che può fare ogni cittadino di questa Repubblica per
dimostrare che, forse, ormai, l’unico vero custode della Costituzione
Repubblicana non può che essere il popolo, con tutti i suoi limiti.
In attesa di quel fresco profumo di libertà – del quale parla il mio
amico Salvatore Borsellino e per il quale ci batteremo in ogni istante
della nostra vita, in quella lotta per i diritti e per la giustizia
che contraddistingue ancora persone che vivono nel nostro Paese – che
ci farà comprendere quanto concreto sia il filo conduttore che
accomuna i fatti più inquietanti della storia giudiziaria d’Italia
degli ultimi 30 anni, non dobbiamo esimerci dall’evidenziare alcune
brevi riflessioni.
In attesa dei progetti di riforma della giustizia (che mi pare trovano
d’accordo quasi tutte le forze politiche) che sanciranno, sul piano
formale, l’ulteriore mortificazione dei principi di autonomia ed
indipendenza della magistratura, non si può non rilevare che i
predetti principi – che rappresentano la ragione di questo mestiere
che, senza indipendenza ed autonomia, è solo esercizio di funzioni
serventi al potere costituito – sono stati e vengono mortificati
proprio da chi dovrebbe svolgere le funzioni di garanzia e tutela di
tali principi.
Dall’interno della Magistratura, in un cordone ombelicale sistemico di
gestione anche occulta del potere, con la scusa magari di evitare
riforme ritenute non gradite, si procede per colpire ed intimidire
(anche con inusitata deprecabile violenza morale) chi, all’interno
dell’ordine giudiziario, non si omologa, non intende appartenere a
nessuno, non vuole assimilarsi alla gestione quieta del potere, ma
rimane fedele ed osservante dei valori costituzionali di uguaglianza,
libertà ed indipendenza che chi dovrebbe garantirne tutela – anche con
il sistema dell’autogoverno – tende, in realtà, a voler governare,
dall’interno, la magistratura rendendola, di fatto, prona ai
desiderata dei manovratori del potere.
Ma non bisogna avere timore. La storia – ed ancora prima la conoscenza
e la rappresentazione di fatti quando essi saranno pubblici – ci
faranno capire ancor meglio di quanto tanti hanno già ben compreso, le
vere ragioni poste a fondamento di prese di posizione anche di taluni
magistrati (alcuni dei quali ritengono anche di svolgere una funzione
di “rappresentanza”, in realtà, concretamente, insussistente).
Quello che rileva in questo momento e che mi pare importante è che, in
attesa del fresco profumo di libertà, che spazzerà via alcuni
protagonisti indecenti di questo periodo, ogni magistrato abbia un
ruolo attivo, non si disorienti, diventi attore principale – nel suo
piccolo ma nella grande “forza” di questo mestiere che richiede oneri
prima ancora che onori – della salvaguardia dei valori costituzionali.
Ognuno di noi, chi ha deciso di fare questo lavoro con amore, passione
e forte idealità, ha un luogo, interno alla propria coscienza, al
proprio cuore ed alla propria mente, dal quale attingere forza e
determinazione nei momenti bui. E’ questa l’ora delle risorse auree:
se insieme sapremo esercitare le nostre funzioni in autonomia,
libertà, indipendenza, senza paura di essere eliminati da
intimidazioni istituzionali o da “clave” disciplinari utilizzate in
violazione della Costituzione Repubblicana.
Per me, le riserve energetiche sono state e sono tuttora, soprattutto,
le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche perché nei
giorni delle stragi mafiose – con riferimento alle quali attendiamo
verità e giustizia anche per le complicità sistemiche intranee alle
Istituzioni – avevo appena consegnato gli scritti nel concorso in
magistratura. Quando Antonino Caponnetto disse che tutto era finito,
nel mio cuore ed in quello di molti altri magistrati è scattata una
molla per dimostrare che non doveva essere così, che, invece, bisogna
lottare e non mollare mai. Anche nella certezza di poter morire - come
diceva Paolo Borsellino nella consapevolezza che tutto potesse
costarci assai caro – vi sono magistrati che ogni giorno cercano di
applicare, nei provvedimenti adottati, il principio che la legge è
uguale per tutti.
Da quando le organizzazioni mafiose hanno dismesso la strategia
militare di contrasto ed eliminazione dei rappresentanti onesti e
coraggiosi delle Istituzioni, il livello di collusione intraneo a
queste ultime si è consolidato enormemente, tanto da rappresentare
ormai quasi una metastasi istituzionale che conduce alla commissione
di veri e propri crimini di Stato. Questo comporta che oggi dobbiamo
difendere, ogni giorno e con i denti, la nostra indipendenza e
l’esercizio autonomo della giurisdizione – nell’ossequio del principio
costituzionale sancito dall’art. 3 della Costituzione – anche da veri
e propri attacchi illeciti, talvolta condotti con metodo mafioso,
provenienti dall’interno delle Istituzioni.
Che può fare, allora, un magistrato? Che può fare un Uditore
Giudiziario che a febbraio prenderà le funzioni giurisdizionali? Che
può fare un Giudice civile? Che può fare un Giudice del Tribunale del
Riesame? Che può fare un Giudice del settore penale? Che può fare un
Pubblico Ministero? Che possiamo fare quelli di noi che non si piegano
al conformismo giudiziario? Che possiamo fare quelli che vogliono
esercitare solo questo lavoro con dignità e professionalità, senza
pensare a carriere interne o esterne all’ordine giudiziario?
Credo che la ricetta è semplice, anche se sembra tutto così complicato
in questo periodo così buio per la nostra Costituzione per la quale
non dobbiamo mai smettere di combattere: si deve decidere senza avere
paura – innanzi tutto di chi dovrebbe tutelarci e che si dimostra
sempre più baluardo di certi centri di interessi e poteri, nonché
fonte di pericolo per l’indipendenza del nostro stupendo lavoro –,
senza pensare a valutazioni di opportunità, senza scegliere per quella
opzione che possa creare meno problemi, decidere nel rispetto delle
leggi e della Costituzione, pronunciarsi nel segno della Verità e
della Giustizia. In tal modo, avremmo adempiuto, con semplicità e
nello stesso tempo con coraggio, al nostro mandato, la coscienza non
si ribellerà con il trascorrere del tempo, magari potremmo anche
capitolare, ma, come dice Salvatore Borsellino, lo avremmo fatto senza
“esserci venduti”. Non avremo svenduto la nostra indipendenza, non
avremo piegato la nostra coscienza, non avremo abdicato al nostro
ruolo, non avremo abbassato la testa: ci ritroveremo con la schiena
dritta, con il morale alto, con il rispetto di tutti (anche dei nostri
avversari). Questo ci chiedono le persone oneste: di non “consegnarci”
e mantenere alto il prestigio dell’ordine giudiziario in un momento in
cui la questione morale assume connotati epidemici anche al nostro
interno. Non bisogna avere paura di un potere scellerato che pretende
di opprimere la nostra libertà ed il nostro destino.
Ai giovani colleghi mi permetto, con umiltà e per l’immenso amore che
preservo per questo lavoro, di esortarli a non temere mai le decisioni
giuste e di perseguire sempre la strada della giustizia e della verità
anche quando questa può costare caro. Io ero consapevole che mi
avrebbero colpito e che mi avrebbero fatto del male, ma non ho mai
piegato, nemmeno per un istante, il percorso delle mie scelte ed oggi
mi sento, come sempre, sereno, ricco di energie, molto forte, perché
dentro il mio cuore e la mia mente sono consapevole di aver espletato
ogni condotta nell’interesse della Giustizia e nel rispetto delle
leggi e della Costituzione Repubblicana.
Non ascoltate quelle sirene, anche interne alla nostra categoria, che
vi inducono – magari in modo subdolo e maldestro – a piegare la testa
in virtù di una pseudo-ragion di stato che consisterebbe nel pericolo
imminente di riforme sciagurate, per evitare le quali dobbiamo,
strategicamente, “girarci” dall’altra parte quando ci “imbattiamo” nei
cd. “poteri forti”. Le riforme – anzi le controriforme – ci saranno
comunque, forse saranno terribili, ma almeno non dobbiamo essere noi a
dimostrarci timorosi e con le gambe molli, malati, come diceva Piero
Calamandrei, di agorafobia. L’indipendenza si difende senza calcoli e
ad ogni costo, l’amore della verità può costare l’esistenza. Ed essa
si difende anche da chi la mina, in modo talvolta anche eversivo, dal
nostro interno. Nella mia esperienza gli ostacoli più insidiosi sono
sempre pervenuti dall’interno della nostra categoria: non sono pochi i
magistrati, oramai, pienamente inseriti in un sistema di potere
criminale che reagisce alle attività di controllo e che si muove, dal
sistema, per evitare che sia fatta verità e giustizia su tanti fatti
criminali inquietanti avvenuti nella storia contemporanea del nostro
Paese.
Sono convinto che la magistratura non soccomberà definitivamente solo
se saprà ancora esercitare la sua funzione senza paura, ma con
coraggio, nella consapevolezza che anche da soli, nella solitudine
propria della nostra funzione, quando ognuno di noi deve decidere e
mettere la firma sui provvedimenti, e, quindi, valutare fatti e
circostanze, lo farà senza farsi intimidire dalle conseguenze del suo
agire. La paura rende gli uomini schiavi, così come le decisioni
dettate con un occhio a carriere e posti di comando sono destinate a
mortificare le funzioni prima ancora che rendere indegne le persone
che le rappresentano.
Quindi, in definitiva, la storia la dobbiamo scrivere anche noi, nel
nostro piccolo mondo, pur nella consapevolezza che alcuni di noi
pagheranno un prezzo ingiusto e magari anche molto duro, ma questo è
per certi versi ineluttabile quando si è deciso di svolgere una
funzione che ci impone di difendere, nell’esercizio della
giurisdizione, i valori di uguaglianza, libertà, giustizia, verità,
quali effettivi garanti dei diritti di cui i cittadini, ed in primis i
più deboli, ci chiedono concreta tutela.
Luigi De Magistris è giudice del Riesame a Napoli
(19 gennaio 2009)
Dr.ssa Ilaria Sabbatini
cel. + 39 349 8733382
skype: ilariasabbatini
http://www.medievista.it
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La pace è una manifestazione della compassione umana
Tenzin Gyatso