[NuovoLab] "Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti…

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Author: Edoardo Magnone
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To: Mailing list del Forum sociale di Genova
Subject: [NuovoLab] "Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni" di Naomi Klein - «the Nation»
da http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8517

Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni
di Naomi Klein - «the Nation»

È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore
per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare
Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine
all'apartheid in Sud Africa.
Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un
piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in
tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di
pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al
Sudafrica all'epoca dell'apartheid». Nasce così la campagna
"Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni" (Boycott,
Divestment and Sanctions), BDS per brevità.

Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi
alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a
rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli
ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l'assalto, circa 500
israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno
inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele.
La lettera chiede «l'adozione immediata di misure restrittive e
sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta
antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele
invece viene trattato con guanti di velluto.... Questo sostegno
internazionale deve cessare.»

Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse,
emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le
sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell'arsenale
nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito
le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da
contro-argomentazioni.

1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani.
Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava "impegno costruttivo".
Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente
la propria criminalità: l'espansione degli insediamenti, l'avvio di
una scandalosa guerra contro il Libano e l'imposizione di punizioni
collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa
escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma
anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che
gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante
questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento
nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con
moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il
primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero
scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni
israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di
scambi commerciali con l'Unione europea è destinato a raddoppiare le
esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l'8 dicembre i
ministri europei hanno "rafforzato" l'Accordo di Associazione
UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme.
È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro
ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi.
È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la
guerra, l'indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del
10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono
necessari.

2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza
del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere
efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni,
pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono
reminiscenze dell'apartheid profondamente desolanti: documenti di
odentità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo
dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie
Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che
l'architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a
Gaza nel 2007 è "infinitamente peggiore dell'apartheid".

3. Perché mettere all'indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran
Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in
Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione
per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è
pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio
potrebbe effettivamente funzionare.

4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c'è bisogno di più
dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia
personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele
da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho
pubblicato "Shock Economy" ho voluto rispettare il boicottaggio. Su
consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore
chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente
coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l'unico editore
israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi
scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che
tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In
altre parole, io sto boicottando l'economia di Israele, ma non gli
israeliani.

Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate,
e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a
Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una
strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente.
D'altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede
infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano
bene. L'argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci
taglieremo fuori l'un l'altro è particolarmente specioso data la gamma
di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo
sommersi dalla gamma di modi di comunicare l'uno con l'altro oltre i
confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.
Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno
preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di
quei giocattoli molto high-tech provengono da parchi di ricerca
israeliani, leader mondiali nell'Infotech? Abbastanza vero, ma mica
tutti. Alcuni giorni dopo l'assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey,
direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato
una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa
dell'azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più
in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con
qualsiasi altra società israeliana.»
Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la
sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di
perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva
commerciale.»
È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a
tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo
di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia,
così a lungo negata, alla Palestina.

Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip
Articolo orginale: http://www.thenation.com/doc/20090126/klein?rel=hp_currently