Author: xDxD Date: To: hackmeeting Subject: Re: [Hackmeeting] degli hacklab e dei libri
ello'
bomboclat@??? ha scritto: > saro' pessimista forse, ma secondo me tanto del capitale umano di
> relazioni, progetti e azioni per trasformare il presente sono un po'
> persi nei nostri ricordi e nelle nostre polemiche riemergono pure un
> po' distorti ed incomprensibili per chi dieci anni fa manco aveva i peli
> sul cazzo.
> forse ricominciare a discutere delle questioni e provare a leggere il
> presente insieme ci puo' aiutare a non depauperare definitivamente quel
> che la nostra generazione ha sognato, vissuto e costruito.
> e spero nessuno se ne voglia male se non l'ho citato come realta'
> presente, ma con l'augurio a tutti di volersi riconoscere e farsi
> sentire, collaborare e creare rete. la posso raccontare una storiella?
io, alla fine, gli hackerspaces/hacklabs/hackmmetings non me li sono mai
filati di pezza.
e non perchè non condividessi con i medesimi centinaia di migliaia di
idee, desideri, orientamenti politici.
semplicemente per inclinazione personale.
imparo le cose, faccio le cose, ne parlo con gli altri, distribuisco
liberamente tutto quel che esce, casa mia funziona (e ha sempre
funzionato) meglio di un bed'n breakfast per chiunque abbia mai voluto
venire da 'ste parti a far qualcosa senza la rete "di mezzo". io stesso
vado e vengo dove posso. per quel poco che posso insegno pure ad altri a
far le cose.
con continuità sono andato a conoscere e a fare delle cose sia dentro
centri sociali, che in diversi squat, che in festival. ma anche in un
sacco di posti atipici.
mi son trovato a collaborare con okkupanti :) , imprenditori, studenti,
professori, dirigenti d'azienda "illuminati" (sì, esistono pure quelli),
avvocati e giudici.
ho pure fatto un festival di 3 mesi al linuxclub di roma, prima di
reputare "inutile" continuare. "inutile continuare" perchè al linuxclub
stavano troppo impicciati con altre cose, totalmente diverse da quelle
che potevo condividere io: erano sempre alla ricerca dell'istituzione,
del finanziamento pubblico, del pubblico riconoscimento. al festival,
che si chiamava AOS (come in Art is Open Source), ho chiamato un sacco
di gente (all'epoca avevo chiamato pure il jaromil quando faceva
tubocatodico, ma stava impicciato uff) e sono praticamente andato in
bancarotta :) : finanziavo tutto io perchè mi sembrava buono-ed-urgente
creare una nicchia-esplosiva in mezzo al clou della
roma-che-balla-musica-house-e-pippa-cocaina. mi sembrava un hackeraggio
geografico :)
dopo l'esperienza di AOS sono praticamente sempre stato in stato di
bancarotta perenne e, tra un lavoro e l'altro ho fatto un sacco di altre
cosette in giro per l'italia e per il mondo.
sempre da solo, però: collaborando con un sacco di persone, dando tanto
e prendendo tanto uguale.
ora è da un paio di anni che sto ricominciando ad affacciarmi in mezzo a
gruppi e comunità, perchè la situazione mi sembra piu' che mai tragica.
nessun riferimento politico valido, individualismo dilagante, una
incredibile dose di americanismo o (forse ancor peggio) nordeuropeismo
sfegatato, un sacco di gente che cerca la svolta (di qualsiasi genere
sia, nelle loro capocce, una cosa che si chiama "svolta"), un sacco di
gente che usa le mailinglist come bacheca per pubblicare comunicati,
tanti tanti tanti siti web scombinati e s-coordinati, ognuno a dire la
sua, ma con poca voglia (e tempo/risorse, non lo metto in dubbio) di
integrarsi.
anche tante delusioni da fuori dell'italia, naturalmente. una per tutte,
il brasile: i pontos de cultura, che sembravano il paradiso-in-terra per
la sperimentazione tecnologica-sociale-politica, hanno subito una serie
di repulisti e rigerachizzazioni che hanno reso più che evidente chi
comanda e chi è sottoposto o, addirittura, strumento. col risultato che
lì ora ci sono un sacco di gruppetti che felici felici fano hiphop video
e altre robe, ma il resto è tutto marketing, e chi ci lavora è una
specie di precario dell'hacking, mentre la dirigenza se ne va in giro a
far conferenze a NY e LA.
e questa specie di design-markettoso è forse la più grande innovazione
che stiamo vivendo in mezzo a tantitanti "movimenti" (per chiamarli in
qualche modo): dirigenze che comunicano bene e che trasformano il
"sotto", la base, in strumenti per la propria promozione. ovvero anche
per la promozione del "sotto", ma fatta in un modo in cui al "sotto" non
arriva nessun beneficio, se non un po' di visibilita' e tante belle
strette di mano.
a parte il rilevare come sia di fondamentale importanza la
riappropriazione del design in questo suo ruolo strategico che gli è
affibiato nel contemporaneo (nelle sue varie declinazioni pare che il
design sia l'unica disciplina in grado di comunicare e penetrare con
efficacia trasversale, ad oggi), torno a quel che dicevo prima: il
ritorno a leggere, a discutere e ad appartenere.
diventa urgente, mi sembra, un serrare le fila. pena lo scomparire.
di tutto lo sproloquio :) sul libro, jaromil diceva una cosa ottima: il
valore culturale delle comunita' (e usiamola sta parola) che si sono
create nel corso del tempo. in un momento in cui lo scontro puo' essere
solo culturale. la situazione globale e' pesante, non si puo' pensare di
scontrarsi sui media o sulle piazze: troppe cose contro, troppo
dirompente lo strapotere, troppo distratto il resto del mondo, troppo
abituati - i "non attivisti" e "non acculturati" - ad altre dinamiche ad
impatto rapido, efficace e comunicativo. In un mondo post-industriale in
cui marx oramai c'entra ben poco, in cui la merce non esiste piu',
perche' e' diventata comunicazione, in cui la nike ti viene a parlare
faccia a faccia, non ti vende le scarpe, ma uno stile di vita. lavorando
sul linguaggio, non sulla catena di montaggio (opportunamente spostata
lontana dalla nostra vista con processi globalizzati e comunicazione). e
così tutti gli altri, tanto che chi ride nella tomba non e' poi tanto
marx, ma forse orwell, o anche huxley :)
io, a parte tutta 'sta cosa che ho scritto (scusassero), son qui che
leggo (nuovamente), che scrivo (ogni tanto, magari mettendo in mezzo dei
progetti che mi capita di fare, per veder se a qualcuno va di fare
qualcosa), e che mi sa che al prossimo hackmeeting ci faccio un salto,
magari a far qualcosa.
col desiderio, fondamentalmente, di ricordare come esista anche la
differenza, i modi differenti che tante persone hanno di fare le cose e
che non per questo devono fare schifo per forza. pure nel caso dei niu
iorch chesi e compagnia bella: non sono male per niente, in realtà. si
muovono bene e si fanno un discreto mazzo a promuovere questo e quello.
parlarci non vul dire per forza "compromesso". ovvero: può essere un
compromesso significativo ed efficace. l'importante è, mi pare, parlare,
aprirsi, farsi un proprio modello (culturale) e fare le cose.