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Susa 6 dicembre. 30.000 no al Tav
I conti senza l'oste
La partita sulla nuova linea ad Alta Velocità tra Torino e Lyon è arrivata ad un punto cruciale.
Il 5 dicembre l'Unione Europea ha annunciato che il finanziamento di 671 milioni di euro deciso nell'estate del 2007 era stato confermato. Le condizioni richieste dall'UE erano state rispettate e il Tav, fermato ai blocchi di partenza dalla rivolta popolare del 2005, poteva ripartire. L'UE richiedeva la presentazione dei progetti e la conferma che vi fosse l'approvazione delle popolazioni coinvolte. I governi italiano e francese hanno consegnato un dossier con i nuovi tracciati, garantendo che l'opposizione all'opera era ormai residuale.
L'Osservatorio Virano, il tavolo tecnico che avrebbe dovuto discutere le questioni inerenti all'opera, è stato lasciato all'oscuro di tutto: i progetti non sono stati presentati né discussi lì.
Il 2 dicembre Antonio Ferrentino, presidente della Comunità Montana Bassa Val Susa e l'ingegner Angelo Tartaglia, uno dei due tecnici che hanno rappresentato le Amministrazioni valsusine all'interno dell'Osservatorio, si sono recati a Bruxelles per un incontro con Laurens Brinkhorst, il coordinatore del progetto europeo n. 6, la Torino Lyon. Brinkhorst, dopo aver appreso che l'Osservatorio non aveva né letto né discusso il dossier presentato congiuntamente dai governi italiano e francese, si è dimostrato stupito, asserendo di essere in continuo contatto con Mario Virano, il presidente dell'Osservatorio, che lo avrebbe altresì rassicurato sul fatto che l'opposizione all'opera era ormai solo residuale.
La farsa del tavolo tecnico sta arrivando alle ultime, buffissime, battute comiche.
Facciamo un passo indietro.
La notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005 la polizia assalì il presidio No Tav di Venaus, spezzando le barricate, distruggendo le tende e la baracca comune, mandando molti all'ospedale.
Erano i giorni della resistenza e della rivolta, i giorni in cui un'intera vallata si sollevò contro l'occupazione militare.
I No Tav hanno rivendicato la salvaguardia dei beni comuni, della terra, dell'acqua, dell'aria e si sono ripresi la facoltà di decidere, espropriata dalla politica dei potenti.
Di fronte alla violenza e all'occupazione militare, hanno eretto barricate, fatto scioperi e blocchi, non si sono fermati di fronte allo sbarramento di sbirri che impediva l'accesso a Venaus, ma sono andati oltre aggirando la polizia, scendendo la montagna, abbattendo la rete.
Una rete fisica ma anche simbolica perché migliaia di uomini, donne e bambini non si sono chiesti se quello che facevano fosse legale perché sapevano che era legittimo, perché sapevano che il governo chiamava ordine il disordine di chi difende il diritto di pochi alla devastazione ed al saccheggio del territorio, della vita, del futuro. In Val Susa come ovunque.
Poi la parola passò alla politica: il governo Berlusconi offrì un tavolo in cambio della tregua per le Olimpiadi.
In tantissimi avevano appreso il gusto di decidere in prima persona, di praticare la politica al basso, elidendo le mediazioni istituzionali. Tutto ciò faceva paura, perché incrinava la legittimità stessa delle istituzioni. Di tutte le istituzioni. Così la via d'uscita fornita dal governo Berlusconi venne accolta al volo dagli amministratori valsusini.
Il movimento, sin dall'assemblea popolare del 10 dicembre 2005, si oppose al tavolo politico e tecnico sulla Torino Lyon, consapevole che non fosse altro che un modo per prendere tempo, consentendo di lavorare ai fianchi il movimento, per spezzare il fronte di resistenza.
L'Osservatorio tecnico ha svolto il suo compito di cavallo di Troia del Tav. Il suo presidente, Mario Virano, che nel frattempo era stato nominato da Prodi anche Commissario straordinario per la realizzazione dell'opera, si è mosso con abilità e pazienza.
In tre anni di trattative la maggioranza dei sindaci si è poco a poco schierata su posizioni "come Tav", abbandonando l'opposizione all'alta velocità.
L'azione diretta aveva fermato il Tav: la delega ai politici l'ha fatto ripartire.
Ma la gente non ha cambiato idea. Contrariamente ad una vulgata molto rassicurante per il potere, nel 2005 gli amministratori non guidarono la lotta ma ne furono trascinati, spesso dietro robusta spinta popolare. Forte è la consapevolezza che oggi come allora il futuro è nelle mani di ciascuno di noi.
Chi sperava che la mediazione proposta dai tecnici della Comunità montana, il "F.A.R.E." - Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti, potesse spaccare il movimento si è sbagliato: tutti hanno capito che il F.A.R.E. non era che un nuovo nome per il Tav e hanno rifiutato la pillola amara di Ferrentino & C.
Il 6 dicembre un gran vento tendeva le migliaia di bandiere No Tav. "Ancora in marcia per non F.A.R.E. il Tav" era scritto sui manifesti di convocazione del corteo. Un'indicazione chiara ad opporsi senza se e senza ma alla realizzazione dell'opera.
C'erano tutti. Gli striscioni dei comitati dei vari paesi si susseguivano senza fine. In apertura i bambini di Bruzolo e alcuni anarchici con finte fasce tricolori a dimostrazione che - con o senza sindaci - il vero protagonista della lotta è il movimento popolare.
Si è attraversato il paese, passando davanti alla ditta dei fratelli Martina, si tav per interessi di portafoglio, attraversando le zone che sarebbero devastate dai cantieri.
Dopo essere passato per il centro del paese, il corteo si è concluso nel piazzale dietro la stazione, da dove era partito.
Significativa la presenza di piazza degli anarchici. Lo spezzone rosso e nero, aperto dallo striscione "Azione diretta autogestione. No Tav", ha raccolto centinaia di persone. Numerosi cittadini con bandiere No Tav che hanno scelto di sfilare nello spezzone a fianco delle bandiere rosse e nere dei compagni e delle compagne.
A fine corteo i più ottimisti parlavano di 30.000 partecipanti, i pessimisti felici ne avevano contati 20.000. In ogni caso un segnale forte e chiaro al governo, che ha promesso di usare la forza contro i No Tav e alla lobby del cemento e del tondino pronta ad incassare i soldi dell'UE.
Un successo sperato ma non scontato, dimostrazione inequivocabile dell'autonomia e della maturità del movimento contro l'alta velocità tra Torino e Lyon.